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E' bello sentire la brezza salmastra del
mare col sole che volge a ponente.
E' piacevole udire la sferza del vento
che ulula e sibila al riparo sul
monte.
Ma è dolce ascoltare la flebile e
tenera voce
portata da onde partite da terre lontane.
DA VEDERE:
Ciccio
Licata Caro Zietto
Auguri buone feste L'aquilone
Lu capuni Tulumello-1
Tulumello-2 Santa Lucia
Pisapia sindaco Tulumello-3
Bompensiere
Migneco-Pappalardo Piccola-mostra-messana
La-senia
Jammu a lu Castiddruzzu
LA STORIA DI LUCIA
Montedoro,
6 gennaio 1955
Tra meno
di due mesi Lucia avrebbe compiuto 13 anni. A tredici anni, una
ragazzina in quel paese e negli anni quaranta del secolo scorso, era
considerata una bambina, ingenua e soprattutto senza alcuna esperienza
di vita. E tale era da ritenersi Lucia Mantione se, dopo aver
frequentato la quinta elementare era rimasta, come tante sue coetanee,
in famiglia per accudire alle faccende domestiche ed alle tante
necessità quotidiane. Il paese poteva definirsi sicuro, perciò anche
una bambina poteva muoversi indisturbata per vicoli e vie, per giocare
con le amiche coetanee o per sbrigare i piccoli servigi richiesti dalla
mamma. A recente memoria nulla di particolarmente sgradevole era stato
denunziato, nessuna azione di violenza verso minori e nessun atto
riprovevole che lasciasse presagire il sia pur minimo allarme. Si diceva
del resto che in paese ci si conosceva tutti, che i 3700 abitanti
accalcati in un fazzoletto di terra erano tutti amici o parenti, e che
regnava il rispetto reciproco tra tutte le famiglie. In quegli anni il
paese aveva raggiunto il massimo numero di abitanti, nonostante l’emigrazione
verso le Americhe, e solo negli a venire la forte emigrazione verso il
nord li avrebbe dimezzati.
Nel piccolo paese non erano ubicate fabbriche né stabilimenti di alcun
tipo; unico lavoro possibile era quello dei campi, ed all’agricoltura
erano normalmente avviati i figli degli agricoltori che possedevano un
pezzo di terra ed un mulo per lavorarla. L’alternativa per i giovani
era di dedicarsi allo studio, e pochi ne avevano la possibilità, oppure
di andare a bottega presso un artigiano, come sarto o fabbro ferraio. Le
ragazze invece avevano un’altra occasione di lavoro e d’apprendimento.
In quegli anni era scoppiata la moda del ricamo, perciò le sarte si
circondavano di ragazze che volessero imparare quel mestiere. Ed erano
diventate veramente brave se i loro pregiati prodotti erano richiesti
dai tanti commessi che giungevano da ogni parte per acquistarli a buon
prezzo. Si vedevano questi signori giungere con macchine capienti e
grosse valigie, ripartire carichi di biancheria finemente lavorata, per
poi tornare ogni inizio settimana per altri acquisti. Prodotti molto
apprezzati che finivano nelle vetrine di eleganti e prestigiosi negozi.
Pizzi e merletti, capi di biancheria intima, corredi, stole e tanti
altri prodotti di sartoria. Non a caso, la nostra paesana Vita Sciandra
donerà a Papa Giovanni Paolo II una stola finemente lavorata, frutto
del suo lavoro e della sua lunga esperienza di ricamo. La nostra Lucia
invece non s’era dedicata alla sartoria come alcune sue amiche.
La conformazione orografica divideva in due il paese: una parte bassa
comprendeva la piazza e le vie principali, come la via dei santi, così
chiamata perché attraversata dalle processioni nelle feste solenni, la
chiesa, i bar ed i locali pubblici, mentre la parte alta la circondava
da ovest a nord come una conchiglia, con le vie che s’inerpicavano
ripide. In fondo ad una scalinata verso nord sorgeva un vecchio edificio
che ospitava i locali scolastici. E proprio in una via laterale all’inizio
di questa scalinata, in via Aspromonte, abitava Lucia con la propria
famiglia, mamma, papà, fratelli e sorelle. Una famiglia modesta, come
tante in paese. I dammusi e le case ad un solo piano pullulavano
di marmocchi di tutte le età, e la vita quotidiana normalmente si
svolgeva fuori l’uscio di casa, data l’esiguità dello spazio dell’abitazione.
Fuori dell’uscio veniva esposto il banchetto di chi aveva un’attività
artigianale, fuori era stesa la biancheria ad asciugare, le mandorle o
il pomodoro da essiccare. Era quindi impossibile che una persona che
usciva di casa per una qualche incombenza non venisse notata.
Normalmente si scambiavano due chiacchiere coi vicini, pettegolezzi tra
comari, notizie sull’andamento della semina o del raccolto.
Vigevano i vecchi costumi per cui tra ragazze e ragazzi che non avevano
una conoscenza diretta parentale o di vicinato o di studio, gli unici
rapporti erano "visivi", ci si incontrava cogli occhi durante
le interminabili passeggiate in piazza o all’uscita dalla chiesa dopo
le funzioni domenicali. Così ci si intendeva per eventuali
fidanzamenti, senza aver profferito parola, quando invece non era la
famiglia, tramite una sensale o un amico compiacente, a comunicare che
sarebbe stato gradito il fidanzamento della propria figlia o figlio,
senza che i due si conoscessero. I
bambini potevano quindi giocare e scorrazzare per vie e piazze fino a
tarda ora, per fare ritorno alla propria abitazione quando, venendo meno
la luce del giorno, si accendevano i lampioni posti agli angoli delle
strade. A quel punto un urlo di gioia copriva il silenzio che regnava
per le vie, silenzio rotto soltanto dal rumore degli zoccoli dei muli
che con in groppa i loro stanchi padroni facevano ritorno dai campi dopo
una lunga e faticosa giornata di lavoro. E forti e rauchi si sentivano
gli incitamenti dei contadini che ordinavano al mulo d’accelerare l’andatura
o di fermarsi perché giunto davanti l’uscio di casa, prima di legarlo
al classico anello ed alleggerirlo della pesante soma.
Era un giovedì, il sei di gennaio del 1955, giorno della befana. Anche
se il giorno precedente aveva piovuto, le basse nubi, che al primo
mattino coprivano la parte inferiore del paese ed i campi circostanti, s’erano
dissolte sotto un timido sole, sufficiente per asciugare la piazza e le
vie del paese. In paese la befana per tradizione era alquanto povera, e
non portava regali importanti ai bambini, come nel giorno dei morti, ma
solo qualche dolciume e caramelle. E così dev’essere stato per la
povera Lucia appartenente ad una modesta famiglia contadina che sbarcava
il lunario col duro lavoro dei campi.
Nel tardo pomeriggio di quella giornata uggiosa dei primi di gennaio, un
leggero vento freddo di tramontana soffiava da nord; scendendo per la
scalinata che portava alle scuole elementari, investiva la via
principale del paese fino alla piazza. Poche erano le persone in giro
per le strade, e solo un gruppo di ragazzi si attardava a giocare a
pallone nella piazza detta "del dopolavoro". Rimaneva ancora
aperta la sala del bigliardo frequentata dai tanti amanti di quel gioco,
come il farmacista don Tatà Lima che, accanito fumatore, alternando una
sigaretta all’altra, studiava mosse sul tappeto verde e faceva
proseliti. Era in corso una delle tante infuocate partite a carambola
tra don Tatà e don Giovanni, e fin verso la piazza s’udiva il rumore
delle palle che sbattevano una sull’altra, seguito dagli incitamenti e
dagli applausi che gli astanti tributavano ai due contendenti.
La sera incipiente cominciava ad oscurare le vie, mentre rimanevano
aperte ed illuminate le porte dei negozi per offrire ai clienti
ritardatari le ultime mercanzie della giornata. Aperte erano le imposte
del macellaio "la Vampa", quelle della "Scarpareddra"
che vendeva generi alimentari, quelle del forno "La Mariuzzeddra"
con andirivieni di clienti che portavano a casa la classica focaccia
calda per la cena. Tutto secondo un rituale scandito dai rintocchi dell’orologio
della chiesa che batteva ogni quarto d’ora. Anche il negozio dei Salvo
(Nnummarùni), situato all’inizio della scalinata, era aperto ed
esponeva davanti l’uscio frutta e verdura d’ogni genere. Ogni tanto
qualcuno della numerosa famiglia faceva capolino ed urlava (vanniàva) i
suoi prodotti, portando i palmi delle mani aperti ai lati della faccia
per meglio veicolare la sua voce in una certa direzione.
L'AFFANNOSA RICERCA di LUCIA
Il
buio era già calato da un pezzo e tutto sembrava tranquillo come ogni
sera; chi si fosse trovato a percorrere la via principale Vittorio
Emanuele, come le altre del resto, avrebbe sentito il tintinnio delle
stoviglie e la voce dei genitori che invitavano i figli a tavola, segno
che la cena era imminente.
"Avete
visto per caso Lucia? Era uscita per andare a chiamare il fratellino che
giocava per strada, ma ancora non è tornata a casa", disse la
donna con voce concitata.
Era
la mamma di Lucia, che cercava la figlia di appena tredici anni. Solo
adesso con l’avanzare del buio s’era resa conto della sua assenza,
distratta dalle faccende domestiche, o perché pensava che fosse davanti
casa a giocare con qualche amica. Il fratellino era tornato da solo,
senza Lucia, da circa mezz’ora, ed evidentemente non s’erano
incontrati.
"No,
da qui non è passata oggi pomeriggio. Non è ancora tornata a
casa?", domandò la proprietaria del negozio.
"Solo
adesso ci siamo accorti che manca da circa un’ora. Il fratello è
tornato, lei no".
"Provate
a chiedere a mastro Rosario o al forno. Magari è rimasta a
chiacchierare con le sue amiche", disse quella di rimando.
"Avete
visto Lucia’", andava gridando sempre più concitata e disperata,
bussando ad ogni portone, ad ogni negozio ancora aperto, a chi
incontrava per strada.
La
risposta era sempre negativa, nessuno l’aveva vista per le vie del
paese.
Alla mamma s’erano aggiunti i figli ed i parenti, sparpagliandosi per
le vie appena illuminate, altri volenterosi ed amici spontaneamente si
misero alla ricerca di Lucia, setacciando tutte le vie del paese, la
piazza, i bar, le trattorie. Ma nessuno forniva notizie sul suo
passaggio, nessuno l’aveva vista quel tardo pomeriggio, Lucia sembrava
essere svanita nel nulla. A quel punto furono avvisati i carabinieri,
correndo nell’unica piccola caserma situata nella parte alta di via
Diaz. Questi si diedero subito da fare coadiuvando i familiari alla
ricerca della scomparsa. Prima lungo le vie del paese, già setacciate
dai parenti senza alcun esito, quindi con una camionetta cominciarono a
perlustrare l’immediata periferia e lo stradale appena fuori dell’abitato.
Non ottenendo alcun risultato, rimandarono le ricerche alle prime luci
dell’alba del mattino seguente, il 7 di gennaio.
Intanto nella casa di Lucia era scesa la più cupa disperazione,
singhiozzi, pianti ed urla s’udivano a distanza, le luci rimasero
accese tutta la notte. Ormai tutti disperavano che la piccola potesse
fare ritorno a casa, ed un triste presagio aveva preso il sopravvento su
ogni pur minima speranza. Disperato il padre, infermo ed impossibilitato
a collaborare alle ricerche, disperata la madre, i fratelli e le
sorelle. Inutilmente i vicini cercavano di consolare quei poveri
disgraziati. Solo a notte fonda giunse un po’ di quiete, in attesa
delle prime luci della nuova e speranzosa alba.
Di
buon mattino i carabinieri di Montedoro, capeggiati del tenente Marzollo,
ripresero le ricerche nel circondario, sicuri che la ragazzina, viva o
morta, non poteva trovarsi in paese ma in qualche anfratto o in una
delle tante casette abbandonate nei campi immediatamente fuori del
paese. Si sbagliavano? Chi lo sa; per essere certi ed escludere ogni
ipotesi, avrebbero dovuto mettere a soqquadro tutte le abitazioni del
paese, cosa non facile d’attuarsi, e con risultato non prevedibile.
Allora indirizzarono i controlli cominciando dai viottoli che portavano
verso la campagna, discesero le trazzere dietro il cimitero, poi quelle
che passando per la Cuba portavano verso Fontana Grande, risalendo verso
l’Albanello fin sotto il monte Ottavio. Girarono verso la parte est
del paese fin sotto il Calvario, poi verso la Madonna delle grazie per
risalire fin verso la Chiesa. Due giorni di affannose ricerche senza
trovare tracce o indizi di un eventuale passaggio della giovane Lucia.
Alle 8,30 della domenica 9 gennaio, quindi dopo tre giorni dalla
scomparsa di Lucia, il fratello di lei Rosario, che insieme al cognato
Giuseppe aveva ripreso le ricerche, scoprì il corpo della ragazzina.
Giaceva dentro un piccolo tugurio, da tempo abbandonato e senza tetto,
in contrada Cuba, a sinistra della trazzera che porta verso contrada
Fontana Grande. Giaceva per terra a bocca aperta, le narici dilatate e
le vesti scomposte sul corpo. Un carabiniere, impegnato nelle ricerche e
che si trovava nei pressi, corse in paese a comunicare la triste notizia
che subito rimbalzò di bocca in bocca e di casa in casa. Grande fu lo
strazio dei familiari che, ormai rassegnati al triste ed inevitabile
evento, poterono perlomeno darsi momentanea pace. L’autorità
giudiziaria di Caltanissetta, informata del ritrovamento del corpo,
accorse immediatamente sul posto. Fu chiamato ad esaminare il cadavere
il dott. Mancuso che, constatata che la morte era avvenuta per asfissia
prodotta da strangolamento, dispose la rimozione del corpo della povera
Lucia. Senza ombra di dubbio fu quindi un assassinio, e quasi certamente
delitto a scopo sessuale. Fino a quel momento ignoto fu l’assassino (o
assassini) e nessun dubbio poté sussistere verso parenti o amici della
ragazza, data la sua condotta assolutamente irreprensibile e che mai
aveva dato adito a pettegolezzi di alcun genere.
Molti misteri s’accavallarono intorno alla sua morte e molte illazioni
e commenti si sentirono per le vie del paese. Chi sarà stato il
misterioso assassino? L’avrà strangolata perché si opponeva ai
tentativi di violenza o ha compiuto l’efferato delitto dopo averla
violentata per atroce voluttà di sadico? Domande, illazioni e
supposizioni che potranno essere chiariti solo dopo che verrà
effettuata l’autopsia sul povero corpo. Intanto i carabinieri con a
capo il tenente Marzollo, insieme alla squadra mobile di Caltanissetta,
continuano ad indagare attivamente per fare luce sull’efferato
delitto. Certo è che una giovane ragazza, figlia di una famiglia di
contadini col padre infermo, è stata barbaramente uccisa da un mostro
senza nome: almeno per ora. Intanto la madre disperata implora un’esemplare
vendetta verso l’assassino, se mai sarà smascherato.
Così
riferirono il triste evento i giornali dell’epoca, i primi giorni dopo
la scoperta del cadavere.
Intanto emergevano nuovi particolari sul rinvenimento del cadavere di
Lucia, evidenziati anche dalla stampa locale. Infatti vicino al corpo
della ragazza erano stati rinvenuti un coltello a serramanico, chiuso,
ed un bottone. E’ stato accertato che il coltello a serramanico
sarebbe appartenuto all’individuo, o agli individui, che assassinarono
Lucia, mentre il bottone apparteneva alla camicetta della ragazza. Da
elementi raccolti dalla polizia pare non doversi escludere che più d’un
individuo fu con la ragazza sul luogo del delitto. Frattanto il mistero
s’è fatto più fitto che mai, perché non solo sono caduti i sospetti
che si erano addensati sui due giovani fermati e poi rilasciati dalla
polizia, uno di questi da poco uscito dal riformatorio di San Cataldo,
ma anche la perizia necroscopica non ha potuto fornire alcun elemento.
La ragazza, infatti, è risultata perfettamente integra nel corso dell’autopsia
eseguita dal prof. Stassi dell’Università di Palermo, né traccia
alcuna di violenza è stata rilevata sul suo corpo tranne un graffio al
mento. Al collo della vittima, che è certamente morta per asfissia,
nessuna traccia delle impronte dello strangolatore. Poiché però la
ragazza era in possesso di un fazzoletto da collo, le dita dell’assassino,
premute sulla stoffa, non hanno lasciato tracce sulla pelle. Anche
questa però è un’ipotesi perché in effetti nessuno sa dire se al
momento del rinvenimento la ragazza portasse al collo tale fazzoletto
che invece al cimitero le è stato rinvenuto in tasca. Altra ipotesi è
che la ragazza sia stata asfissiata dalla mano dell’assassino scesa a
turarle la bocca per non farla gridare, e inavvertitamente o
volontariamente calata anche sul naso provocando la morte della
fanciulla per asfissia. Gli abiti in ordine della ragazza e l’assenza
assoluta di tracce di lotta sul luogo del delitto starebbero a
dimostrare che Lucia si recò sul posto volontariamente, e che colui o
coloro che le si accompagnavano lo facevano col suo assenso. Gente,
quindi, perfettamente conosciuta dalla vittima? Si può pensare che la
ragazza sia andata all’appuntamento di uno spasimante il quale ad un
dato momento volle andare oltre il segno del consentito e la ragazza
deve aver minacciato di gridare, o addirittura deve aver preso a
gridare. Questo deve aver fatto perdere la testa all’accompagnatore
che cercò di zittirla con la mano o col fazzoletto da collo. C’è chi
suppone che l’accompagnatore della ragazza fosse un uomo sposato, e
che proprio tale sua condizione lo avesse spinto ad eliminare la
fanciulla nel momento in cui lei minacciò di svelare l’intenzione di
violentarla. Quanto al coltello rinvenuto per terra è chiaro che esso o
fu smarrito casualmente dall’assassino o di esso egli si servì,
benché chiuso, per minacciare la vittima. Ora il coltello è rimasto l’unica
debole traccia in mano alla polizia.
La perizia necroscopica oltre ad appurare che la ragazza era integra, ha
potuto accertare che ella è morta circa trentasei ore prima del
rinvenimento del suo cadavere. Resta da stabilire dove e con chi sia
stata nel periodo di tempo intercorso tra la sua scomparsa da casa e la
sua morte. A ciò si aggiunga quest’altro particolare: una mano della
ragazza aveva le dita aperte e i muscoli contratti, era insomma
artigliata, come nel tentativo di afferrare qualcosa cui appigliarsi, o
di graffiare chi stava per ucciderla. Se la ragazza fosse caduta nel
luogo dove è stata rinvenuta, cioè in aperta campagna dove la terra
era molle e fangosa per la pioggia, le sue dita al contatto con la terra
bagnata avrebbero dovuto sporcarsi. Poiché questo non è avvenuto, e
rifacendosi all’interrogativo dove e con chi ha trascorso un giorno e
mezzo prima di essere uccisa, possiamo avanzare l’ipotesi che la
ragazza non sia stata assassinata sul luogo dove è stato rinvenuto il
suo cadavere, ma sia stata trasportata dall’assassino quando era già
cadavere. Il mistero insomma si infittisce. Sempre nuovi elementi
vengono a galla, ma non fanno che rendere ancora più difficili le
indagini.
Dopo le indagini iniziali, in seguito al rinvenimento del corpo della
povera Lucia, cosa fu fatto per appurare la verità su quel nefando
delitto? Immagino nulla. I tanti fermati a caso, dopo i due iniziali,
nulla ebbero a riferire in merito, nessun indizio serio venne alla luce,
nessun colpevole. Nessuno aveva visto, nessuno aveva sentito, nulla era
successo come nei peggiori delitti di mafia. Eppure la ragazza, uscita
di casa alla ricerca del fratellino, come aveva riferito la mamma, non s’era
potuta allontanare più di tanto dalla sua abitazione, avrebbe potuto
svoltare a sinistra verso via Roma o verso la via Vittoria che porta
alle vecchie case popolari. Poteva avere un appuntamento
"amoroso" con qualche amico, come riferirono le cronache, ed
essere andata a casa di questo? Non credo sia plausibile data l’ora e
l’incarico che aveva avuto dalla mamma, e soprattutto da come viene
descritta: una ragazzina "molto ingenua, innocente, schietta".
Non resta altra ipotesi che nel breve tragitto sia stata avvicinata da
qualcuno ed attirata "ingenuamente" in trappola, portata in
casa oppure verso la campagna, distante poche centinaia di metri. Io
propendo per la prima ipotesi perché, se fosse stata portata subito in
campagna, l’omicida l’avrebbe abbandonata sul posto. Invece, da come
risulta, è stata portata nel casolare da morta. Al pomeriggio del
sabato, infatti, c’era stato un temporale, e se Lucia si fosse trovata
distesa nel casolare senza un tetto, sarebbe stata trovata bagnata.
Quindi l’omicida ha provveduto a disfarsi del cadavere tra il sabato
notte e la domenica mattina; alle otto e trenta il fratello ed il
cognato scoprirono il corpo. Viene da chiedersi però se quel casolare
fosse stato controllato nei giorni successivi alla scomparsa. Purtroppo
tutto l’incartamento delle indagini, dopo ben 63 anni, è stato
distrutto o scomparso. I carabinieri di Montedoro dicono d’averlo
consegnato in procura a Caltanissetta, mentre a questa nulla risulta. In
tempi moderni sarebbero intervenuti i RIS, avrebbero prelevato tracce di
DNA, avrebbero fotografato la scena del crimine nei minimi particolari.
Ma eravamo nel 1955 con forze dell’ordine poco competenti e con
attrezzature inefficienti. E se "dall’alto" fosse arrivata
una confidenza a lasciar perdere, le indagini potevano concludersi
immediatamente con un nulla di fatto. Come spesso era successo per altri
gravi fatti. Con ciò non voglio adombrare nessun dubbio sull’onestà
e sulla buona fede dei nostri carabinieri, che spesso giungevano dal
nord, ignari dei luoghi e della mentalità della gente del posto, e che
operavano in condizioni disagiate.
Io tredicenne, e quindi suo coetaneo, all’epoca non ebbi contezza del
fatto perché mi trovavo a Randazzo, in collegio dai Salesiani, ma ho
sempre saputo ed avuto pena e compassione per la povera ragazza. Ho
voluto riepilogare questa storia affinché, data l’evoluzione, la
distrazione e la volatilità delle notizie di questi tempi frenetici,
soprattutto presso i giovani, il suo ricordo non cada nell’oblio, e
serva da monito a tutti.
Ai parenti della povera Lucia può lenire il dolore solo la consolazione
che la ragazza non sia stata violata dal sadico omicida, perché è
stata lei ad opporsi ed a non dare modo allo sciagurato di farlo. Tutto
il paese è rimasto scosso da quel triste evento, e conserva ancora
memoria del fatto. Sulla sua tomba infatti, entrando nel cimitero appena
a sinistra, mani pietose depongono sempre un fiore, a memoria della
povera ed incolpevole Lucia.
|
Aprile 1955
Cugini in
campagna |
A Lillo
Anche se da lontano, da Milano,
vorrei indirizzare due parole di commiato a Lillo, anche lui sempre
lontano dalla sua Sicilia, in Piemonte. Non parole d’elogio funebre,
ma in ricordo dei bei momenti passati insieme, dell’affetto che ci
legava da sempre non solo per parentela ma per simpatia e comunanza di
sentire le cose di questo mondo. Mai triste, mai scontroso, ma sempre
allegro e pronto alla battuta si parlasse di politica, di letteratura,
di poesia, o di vecchi ricordi dei nostri antenati che prendevamo in
giro per il loro strano modo d’essere, per la loro meticolosità, per
fatti e fatterelli che ci facevano sorridere. Fatti per noi risibili e
di poco conto, ma che per loro assumevano una gravità indescrivibile.
Ricordavamo spesso per telefono
le battute di caccia in zone impervie sotto un sole cocente, le
avventure col nonno Federico sulla torre campanaria di questa Chiesa,
proprio qui sulle nostre teste, ufficialmente per aiutarlo a tirare su
le "mazzare" dell’orologio, ma col segreto d’inseguire le
colombe sui tetti. E poi le telefonate da Milano a Torino e viceversa,
la compilazione delle schedine, quel filo del telefono anni cinquanta,
ancora lì appeso alla parete, che spesso faceva le bizze e troncava la
comunicazione. Lillo era così, ordinato nel suo disordine, con tanti
amici che quotidianamente andavano a trovarlo, vecchi colleghi di quella
scuola, a due passi dalla sua casa, che lo vide insegnare per lunghi
anni. Casa che ho rivisto in questi giorni per l’ultima volta, con la
chitarra appesa al solito posto, montagne di libri sparsi dappertutto,
il cortile ricco di piante che lo ispiravano, il tavolo intorno al quale
gratis impartiva lezioni ad alunni ed amici, faceva ricerca di strane
parole, vecchi aneddoti e racconti.
Che brutto scherzo hai fatto a
tutti noi! Così all’improvviso, senza un saluto, senza un piccolo
avvertimento di una definitiva partenza, con tutti i progetti che ancora
avevamo in essere. Speriamo di rimediare noi oggi, standoti vicino per l’ultimo
saluto, ma non con la tristezza di chi compiange un amico, anche se i
nostri occhi sono umidi di commozione. Di certo tu, laico da sempre,
anche se dalle larghe vedute, avrai superato l’imbarazzo di queste
circostanze, e starai sorridendo alle tue nipoti che volevi bene oltre
ogni cosa, ai tuoi parenti, ai tuoi amici.
Che, tutti insieme, ti
ricorderanno sempre.
Tuo cugino Federico da Milano
|
COMPAGNI
DI LICEO
Lo sguardo laggiù, verso il liceo,
mi rivedo tra i banchi ad ascoltare
di storia lezioni e di latino.
Vaganti i pensieri, onde sul mare,
sentivo il declamar di poesie,
di filosofi antichi astruse idee,
di protoni e di ioni eterno agone.
Com’eran bravi i miei compagni a dire,
a recitar di grandi autori i versi,
i passi a commentar con foga e ardore!
E come un ladro teme d’esser scoperto
e contro il muro piatto e immobil posa,
tratto il respiro e manco ciglio batte,
sì me ne stavo sprofondato e assorto
col banco fuso, come è d’ape cera.
Inesorabile il dito già si posava
su quel registro, e lento giù giù scendeva:
passata la emme oh che respiro,
tornavo a vita pel periglio andato.
Ma uno scatto all’insù del dito ostile
dritto puntava con crudele ardire
su quel fantasma ancor tremante: io!
Belli quegli anni, però, da liceale,
tra compagni fidati, amici veri,
quanti dolci pensieri, quanto desio
di ritornare in su quei banchi assiso!
Ne son passati lustri, amici miei,
in un baleno volati or che ci penso,
e a retro gli occhi ed il pensiero volgo.
Adesso un po’ acciaccati, un po’ pensosi
per i fatti di vita e gli anni avanti
ci riuniamo a meditar sui fatti,
di insegnanti severi o stralunati,
di compagni a migliore vita andati.
Siam quelli che furon prima di noi,
insegnanti, ingegneri od avvocati,
dente di ruota in un perenne giro,
di mulino una ruota ch’acqua tira,
ruota di biga in gran sfrenata corsa.
Ma ci arride e ci culla e ci conforta
dei figli l'arco de l'ardente affetto,
dei nipoti che un dì del chiostro antico
varcheranno l’androne lieti e festosi:
colmi di speme come allora i nonni.
Federico
|
Ho ricevuto da NICOLO' FALCI una poesia:
LU CINAMU DI LA ZZA' NARDA
Mi sono permesso un piccolo commento.
Bella e piacevole poesia di
Nicolò che ci fa tornare agli anni della giovinezza, in quel paese
sempre amato e ricordato, soprattutto da chi da tanto tempo se ne è
allontanato. Rievoca fatti e personaggi curiosi e caratteristici dell’epoca,
la maggior parte emigrati in terre lontane in cerca di fortuna, e che di
tanto in tanto fanno ritorno per rivedere parenti ed amici. L’oggetto
principale è il cinema, quel locale misterioso che attraeva grandi e
piccoli per un’ora di svago, per vedere la fine degli indiani, sempre
cattivi e perdenti, o le avventure di Tarzan nella giungla più
misteriosa. Ma le vere avventure le correvano gli spettatori in quel
locale malandato, vuoi per la pioggia che il tetto malsano non riusciva
a trattenere a dovere, vuoi per le "poltrone" di legno o di
ferro che spesso graffiavano i malcapitati o laceravano i vestiti. Non
mancavano i battimani quando il cattivo veniva punito a dovere, non
venivano lesinati fischi ed improperi quando la pellicola vetusta,
chissà quante volte usata, si spezzava e la luce prendeva il
sopravvento alla scena, magari nel punto più emozionante del racconto.
Poi c’era il venditore di "simenza" e caramelle che girava
tra gli spettatori durante la proiezione ed a parolacce veniva invitato
a ritirarsi al suo posto.
Spesso la stessa pellicola veniva proiettata nel paese vicino, ed allora
l’incaricato, tra un tempo e l’altro, faceva una corsa per scambiare
la pizza del primo col secondo tempo, o viceversa: tutto per risparmiare
il noleggio del film. A volte il ritardo era insopportabile e dava adito
a schiamazzi.
Storie e ricordi d’altri
tempi, quando il cinema dava emozioni a non finire, e nell’attesa
spasmodica si visionava e commentava in piazza il cartellone con le
immagini salienti del film.
Adesso nell’era digitale
tutto è cambiato, il film si vede in tv nel salotto di casa o nei pochi
cinema rimasti attivi comodamente seduti su vere poltrone, con effetti
spettacolari, in un silenzio assordante, quando gli altoparlanti non
sparano frequenze a tutto volume, in assenza di fumo, ognuno al suo
posto rigorosamente assegnato dal computer.
Devo confessare che qualche volta mi torna la
nostalgia del cinema "di la ‘zza Narda", di quel locale da
"nuovo cinema paradiso", dei battimani e dei commenti spesso
indecenti come avveniva in occasione di una scena amorosa. Allora c’era
vera partecipazione all’azione, si scambiavano col vicino consensi o
disapprovazione su quanto succedeva nella scena, a volte si piangeva,
spesso s’imprecava, si era come in una grande famiglia. Adesso prevale
la solitudine, il commento te lo tieni in corpo, l’indifferenza ha il
sopravvento su fatti scontati in partenza. Manca la partecipazione, non
c’è più il pathos coinvolgente di quando portavamo i calzoncini
corti.
Federico
LU CINAMU DI LA ZZA’ NARDA
Fin’a la fini di l’anni
cinquanta
mmiazz’a la chiazza un cinamu c’era,
e ci abbadava assìami a li figli
la Zza Narduzza di la Gentura.
Picca custava ddru passatìampu:
pi dù pilliculi sulu un biglìattu.
Li primi fili cu poltroncini
e doppu l’antri cu seggi e panchini.
Ni ci assittavamu, scomodamenti,
ma ni giravamu tuttu lu munnu,
ed arrivavamu ni lu far uest
‘n’capu un cavaddru cu Barba di Capra.
Jivamu ‘n mari cu ùarbi
pirata,
cu n’equipaggiu d’avvinazzati,
dannu la caccia a li bastimìanti
di Sò Maistà lu re di la Spagna.
C’eranu Tarzan, cu Gen e la
scimia,
‘ncapu li lìani ‘mpinnuliàti,
addifinnuti d’oranghi e liùna
contru li tinti espluratura.
Sansuni ed Erculi belli furzusi,
ca si facivanu guerra ‘ntra d’iddri,
blocchi di marmaru jittannu ‘n terra
comu si fussiru fogli di carta.
Ni ci ammiscavamu cu ddri
figuri:
eramu nantri surdati ed eroi
e ci cupiavamu li trainìaddri
pi la battaglia di Serra e Pinninu.
Ma la pillicula vecchia e
stravecchia
nun c’era vota ca nun si lassava:
e li carusi, forza! a friscari,
ca si sintivanu di li cannola.
………………….….
………………….….
Ma doppu vinni la televisioni
e cu putiva si l’accattava.
E di du cinami a Muntidoru
ci n’era unu c’assupirchiava.
Nun era cosa di cuntinuari! …
Allura Narda piglià li so figli
e si nni jì ddr’abbanna lu mari,
unni currivanu indiani e cau boi.
Certu, la lingua nun era la
stessa:
larghi stratuna chiamavano "stritti".
E pua d’armari nun ni capivanu
si li cavaddri chiamavanu "ursi".
Jìaru straniati ni n’antru
munnu,
avìannu ‘n’testa a Muntidoru.
Ci n’eranu tanti di paisana
E chissa cosa li cunurtava:
li frati Mìannula, Viciu
Farruggia,
cu Ristuccìaddru e li Campanella,
tanti Galanti (frati e cuscini),
Turiddru ed Ancilu di la Gentura,
Piatru Marranca di lu
tabbacchinu
(lu vidu ancora ca vinni trinciatu)
Calogerinu, valenti firraru
(ca martiddrìa ‘ncapu la ‘ncunia).
……………………..
……………………..
Li vidu assìami… Chi stannu
facìannu?
stannu talìannu a Stallio e Ollio
comu si fussiru in Piazz’Umbertu
quannu avìanu ancora vint’anni.
Ma mentri arridinu e sunnu
cuntenti
na lacrimuzza di l’ùacchi ci scinni:
lu cori d’iddri è ddr’abbanna lu mari
unni c’è ancora n’amicu, un parenti.
Nicolò Falci
|
FABRIZIO
ORGANARO |
LE OPERE di AGOSTINO TULUMELLO
Dal 22 al 28 Novembre
(Testo
di Nino Arrigo)
L’arte di
Agostino Tulumello sembra rispondere a due domande essenziali: una di
carattere conoscitivo ed una di carattere estetico. E’ un forte
impulso conoscitivo, infatti, che lo porta ad indagare lo spazio. Uno
spazio astratto quello di Tulumello, dove domina ancora una geometria di
tipo razionale ed euclideo, scandita da triangoli e trapezi che si
materializzano su assi cartesiani, ma che nascondono – in filigrana
– una visione reticolare e complessa, quasi frattale. E lo spazio si
fa, così, labirinto, come la piantina in scala di una metropoli, dove
le fugaci apparizioni di colore ci ricordano la ragione decorativa del
gesto. Una ragione che, chi avvicina lo sguardo, perde di vista a favore
di quella conoscitiva, che ci rapisce in un viaggio nel tempo, il
"tempo di sempre", agostinianamente "distensio animae".
Una non realtà. Quella di Tulumello è una poetica dell’essenza,
austera e severa. Un viaggio nel "noumeno", al di là delle
apparenze fenomeniche, dove il "reale non è vero, si accontenta di
essere" (come affermava Atlan) e, come in Matrix, il mondo ci è
stato messo davanti agli occhi per nasconderci la verità. Quella
verità che Tulumello indaga con pazienza e ostinazione, come tutti i
ricercatori. Perché, come affermava Pirandello nel romanzo che uccide
il naturalismo ("I quaderni di serafino Gubbio operatore"),
"c’è un oltre nelle cose". Anche Tulumello, alla maniera di
Serafino Gubbio, di fronte allo scacco della rappresentazione, incapace
– ormai – di fotografare un perfetto dal vero, preferisce indagare
il meccanismo di funzionamento della macchina da presa. Preferisce
conoscere la sua conoscenza. Altrove, però, il suo segno si fa
"primitivo", pre-logico, supportato da un forte impulso
decorativo, quasi un "horror vacui". La sua poetica dell’essenza
preferisce la scrittura (archi-scrittura) alla voce, derridianamente. L’essenza
divenendo, così, "differenza". Molteplicità, caleidoscopio.
Ora, però, se assumiamo (vichianamente) che la prima forma di
conoscenza della realtà possa essere di carattere estetico, la domanda
cui risponde Tulumello rimane una. E di carattere estetico, dunque. E la
risposta è declinata sempre all’insegna dell’eleganza e della
classicità, nonostante la forte spinta avanguardistica. Anche nella sua
dimensione "pop", infatti, Tulumello rimane un esteta austero
e severo. Ostinato ricercatore dell’essenza.
An inflexible
researcher of the essence.
Agostino Tulumello’s
art seems to answer two essential questions: a cognitive and an
aesthetic one.
Indeed, a strong cognitive effort makes him investigate the space.
Tulumello’s space is an abstract one where a rational and Euclidian
geometry still reigns. It is made up of triangles and trapezoids which
materialize on Cartesian axes but which hide – in backlight – a
webbed and complex vision, nearly a fractal one. And the space becomes a
labyrinth, like a scale drawing map of a metropolis, where the fleeting
appearances of color remind the decorative meaning of his painting. But
this feeling is immediately lost in favor of a cognitive dimension which
brings in a special travel in time. It is an "endless time",
or a "distensio animae" – to quote Saint Augustine. It is a
"non-reality".
Tulumello’s
poetics is an essential, stern and severe one. It is a journey to the
"noumenon", beyond the phenomenal appearances, where "the
real is not real, it is just pleased to be" (quoting Atlan).
Moreover, as with Matrix, because of the world before us we do not see
the truth. Tulumello is searching for such a truth; he looks for it with
patience and in a persistent way as all the researchers do. That’s
because, - as Pirandello wrote in I quaderni di serafino Gubbio
operatore (a novel which kills the naturalism) – "there is ‘a
beyond’ in things". As Serafino Gubbio, Tulumello takes into
account the defeat of representation and being unable to photograph –
by now – a "perfect from the true", he prefers to
investigate how the camera works. He prefers to know his knowledge.
Yet, somewhere
else, his painting becomes primitive, pre-logical, held by a strong
decorative urge, similar to a "horror vacui". His essential
poetics prefers writing (arche-writing) to the presence of "form-voice",
as Derrida did. In such a way, essence becomes "difference".
But quoting Vico
and assuming that the very first experience of reality is an aesthetic
one, Tulumello answers just one question, the aesthetic one. And the
answer is always refined and classic despite the strong avant-gardian
urge.
In fact, even in
his "pop" dimension Tulumello remains a severe aesthete. An
inflexible researcher of the essence.
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NON
APPARTENGO PIU’
Non
appartengo più a quella collina dove sono nato,
a quelle vie polverose che mi videro correre e giocare,
a quella piazza immensa che mi vide passeggiare,
a quella chiesa che mi vide pregare.
Non appartengo più alle campagne gialle di grano,
ai grigi maggesi appena arati e concimati,
all’odore amaro dei mandorli in fiore,
alle colline luccicanti di gesso a scaglie.
Neppure il respiro del giallo zolfo
che calpestavo e che fu pane e vita,
non le grotte, non gli anfratti,
non le memorabili battute di caccia.
Nulla, nulla più mi appartiene.
Alla grande Milano ormai appartengo:
ai suoi viali alberati,
al magnifico Duomo dalle mille guglie,
ai canali sempre colmi d’acqua,
ai grandi navigli sempre pregni di vita,
alle alte e moderne torri che sfidano il cielo,
alle storiche porte che grondano sangue
ma che fecero argine a tanti feroci nemici,
ai negozi, ai mercati, al glorioso castello,
alla grande Milano, insomma.
Come ti cambia il tempo!
Lontano dagli occhi, lontano dal ……cuore!
Eh, no, amico, non è così.
Il mio cuore batte a suo modo,
sento il suo ritmo e lo seguo.
I miei occhi vedono Milano grande e bella,
ma il mio cuore è rimasto là, su quella dolce collina,
su quelle vie, su quella piazza,
sull’aia colma di spighe pigiate dai muli
e tra la paglia il tenero generoso grano,
sulle scoscese trazzere che grondano ancora sudore,
sulle lucenti scaglie di gesso e zolfo.
Il mio cuore respira ancora quell’aria calda e secca,
batte per i disastri nella miniera,
per l’infame ed omicida lupara,
per la miseria, la fame, la sete.
Batte forte al ricordo di quei fiori di mandorlo
ora bianchi, ora appena rosati,
per il campanile di quella chiesa che,
bambino, scortato dal nonno,
mi vide salire i cento gradini
tra rimbrotti, brontolii e dolci carezze.
Solo lui, il mio cuore, sa a chi appartengo.
Federico
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MILOCCA-CHAPMAN
LE OPERE DI
CICCIO LICATA
Castiddruzzu di RACALMUTO
Jammu a lu Castiddruzzu
Facìa friscu ddra matina ed era prestu
e tanti stiddri si vìdìanu in cìalu,
anchi si un po’ di neglia già acchianava
di li vaddruna ca a la ciumi vannu.
"Unni jammu, voscenza, stamatina",
dissi Lisciànniru ca cu l’autru amicu,
armati di scupetta e cartuccera,
scurtavanu Luisa gran signura.
Quannu passaru davanti a la Madonna,
e fìciru un signu ca parìa ‘nu vasu,
finarmenti parlà donna Luisa,
ca finu addura si ni stava muta.
"Jammu a Racarmutu, si vuliti,
pi vidiri ‘u Castìaddru, ca si dici
essiri granni e tanta storia havi
ca Muntidoru mancu po’ sapiri.
Nun putivanu ca essiri d’accordu
ddri du’ campìari ca facìanu scorta.
E tirannu li cuddrani a li jumenti
si diriggìaru versu ddu paìsi.
Caminannu pi trazzeri e pi viola
passaru la pirrera tutta gialla.
Doppu la strata era cchiù varia
tra arbuli di ulivi, viti e ficu.
A Racarmutu c’era ‘na funtana
unni li fimmini anchivanu quartari,
lavavanu li robbi intra ‘na vasca,
e tanti crapi di culuri biancu.
Pariva sulitariu e silinziusu ddru paìsi;
ma quannu giraru di ‘na chiazza granni
improvvisu si vitti un gran castìaddru
cu li turriuna ca facìanu scantu.
Lisciànniru ca canusciva un gran parrinu
vìacchiu ma di lu munnu sapituri,
di cursa lu mannà a chiamari
e cci spiegà ogni cosa a la "signura".
"Ncapu lu munti Castiddruzzu
cchiù anticu ancora c’è un gran castìaddru,
cu un panurama ca nun lassa jiàtu:
lu Mungibellu si vidi e puri ‘u mari".
Camina ca ti camina pi trazzeri
e pi viola, di ciuri chini a tutti i lati,
a mazziùrnu arrivaru a lu turriuni
l’ùacchi sgranati pi tanta meraviglia.
A orienti l’Etna si vidiva, china di nivi,
di Sicilia li chiani e li muntagni,
a sud c’era lu mari, c’eranu varchi,
c’era Girgenti e tanti paisuzzi.
Ah chi spittaculi signuri, chi biddrizza!
C’era un viali di sataredda chinu,
e pùa rosi e viole e rosmarinu,
e ‘na chisuzza pi jìri a prigari.
Donna Luisa si misi a fantasiari,
vidiva fantasmi tra li spessi mura,
vidiva pirati acchianari di lu mari,
abbinturi sunnava, e sciarri e spati.
Lisciànniru taliava a destra e a manca
e circava ‘na via pi scappari
si quarchi saracinu fussi ammucciatu
e tintassi ‘n’assartu a li cumpari.
A questo punto i pensieri di Luisa sembravano riflettersi
in quelli del dantesco Alessandro, lingue e pensieri
andarono in confusione, su quella piazza sentivano
idiomi disparati, dal francese all’inglese, dal normanno
al greco, al latino, all’arabo, al siciliano, al turco, allo
spagnolo.
Tutti insieme, in una confusione totale.
Alessandro immaginava chissà quali e quante battaglie
si fossero svolte su quella piazza d’arme,
quanti intrighi, omicidi, quanto sangue avesse bagnato
quelle pietre e quel selciato che portavano nelle stanze
più segrete del castello, quanti cavalli e quanti cavalieri
si erano sfidati all’ultimo assalto.
La confusione fu totale. Alessandro afferrò il polso di Luisa
e lo strinse con forza.
"Ma che fai, Alessandro, mi fai male! Hai bevuto soltanto
un bicchiere di vino", fu il lamento che emise Luisa, mentre
questi farneticando andava dicendo:
"Bianca, Bianca, dove sei?".
Lo strattone di Luisa lo fece tornare alla realtà.
"Mi perdoni, voscenza, mi perdoni!" esclamò Alessandro,
intanto che il custode del castello depositava sul tavolo
di pietra, intorno al quale si erano accomodati per il desinare,
alcuni grappoli d’uva ed osservava la scena
tra l’incredulo ed il meravigliato.
"Ma chi è questa Bianca che stai invocando",
chiese Luisa al suo campiere che finalmente sembrava
essere tornato in sé.
"Stavo quasi sognando, disse, e vedevo Bianca di Navarra
correre su questo piazzale, inseguita dal suo spasimante.
Ah! Bianca, la viceregina di Sicilia, contesa dai caporioni
di tutta l’Isola, bellissima, desiderata e corteggiata.
Ah! quanto avrei voluto conoscere questa avvenente
vedova ventenne! Fu cercata da tanti, dal Moncada al Peralta,
dal Chiaramonte al Cabrera. Ma fu quest’ultimo che
impazziva per la giovane regina, ammaliato dalla sua bellezza,
dalla sua sensualità e dai suoi tesori, e la inseguì per tutta l’Isola.
Questa si rifugiò nel castello di Chiaramonte e si sentiva al
sicuro,
quando nottetempo giunse il Cabrera irrompendo nella sua stanza.
Ma questa fece in tempo a scappare lasciando lo spasimante
con tre palmi di naso. Allora il Cabrera, disperato, svestite le
armi,
si tuffò sulla tiepida piuma del suo letto ancora caldo esclamando.
"Se mi sfugge la pernice, qui tengo il suo nido!",
annasando di qua e di là, inebriandosi di quella voluttà,
come il cane da caccia va fiutando il covo della sua preda".
"Ma che storia!" disse Luisa esterrefatta, "una
storia degna
di questa bella Sicilia, di questo posto incantato, di questo
panorama
mozzafiato, degli effluvi di questi alberi e fiori!".
"Questo è un luogo veramente incantevole, e solo delle
persone molto intelligenti avrebbero potuto immaginarlo e
realizzarlo",
sentenziò Alessandro.
Saliti sui rispettivi cavalli, malvolentieri imboccarono la via del
ritorno,
muti e pensierosi.
Luisa pensava allo spettacolo offerto da quel luogo incantato,
e meditava la storia che il dantesco Alessandro era riuscito a
raccontare con l’acume e la perizia che ben gli riconosceva.
A BIANCA di NAVARRA
Libidinoso,
vecchio bavoso impudico,
Cabrera,
scorda la Bianca regina!
Pernice dorata di Sicilia,
accelera
il fremito d'ali
ché il corvo è vicino!
Il porco,
immondo fetido furetto,
ha annusato il tuo caldo nido,
e già segue l'odorosa scia
dei tuoi passi regali.
Prepara il fulmine,
Giove,
se toccare oserà la giovane
appetitosa fanciulla di Navarra.
Fiore,
inebriante profumo
di mandorlo amaro isolano,
corri,
ché la prua sicura è già in porto!
|
MEN
OF MONTEDORO - IL CLAN DEI MONTEDORESI
Fa un certo senso rileggere la storia dei Montedoresi emigrati negli
Usa. Avevamo sentito raccontare tante storie sui Bufalino e Santo Volpe,
soprattutto. Gente che tornava in paese con le tasche piene di dollari e
che faceva beneficenza.
Rileggendo questa ricerca
giornalistica si capisce la vera natura dell’arricchimento, dovuto
allo sfruttamento di tanti lavoratori nelle miniere di carbone, molti
dei quali, anche Montedoresi, trovarono la morte nelle viscere nere di
quelle terre.
L’articolo racconta le vicende
dei tre principali personaggi coinvolti nella malavita organizzata: Rosario
Bufalino, Santo Volpe e Stefano La Torre. (Quest’ultimo non ha un
cognome Montedorese, ma era figlio di una donna di Montedoro imparentata
con Santo Volpe).
I tre sono alla ribalta per
tutto il secolo scorso. Prima come piccoli appaltatori nel lavoro di
estrazione dell’antracite e gradualmente, divenuti proprietari delle
miniere, diversificano i loro interessi in parallelo con quello della
Mafia Americana, di cui sono parte integrante: traffico di alcool, armi,
droga e bische clandestine diverranno i loro business dopo la fine dell’epopea
del carbone.
Leggiamo il racconto cosi
come viene presentato (anche se vi sono alcuni passaggi non sempre
coerenti con fatti già noti in paese) per sapere qualcosa di più su
questi nostri paesani che nel bene e soprattutto nel male hanno scritto
una pagina sulla storia di Montedoro.
Calogero Messana |
LA MAFIA MONTEDORESE IN AMERICA
"CARUSI" americani
Versione integrale inglese (pdf)
TRADUZIONE IN ITALIANO A CURA di:
CALOGERO MESSANA
|
FABRIZIO AL MARE
ALCUNE FOTO
|
Papà a Nisida (NA)
aeronautica
Miniera Gibellini 1954
(incontra il famoso trasvolatore
da Sx in piedi: Giuseppe Marinaro, Pietro Piccillo,
De Pinedo)
Giovanni Morreale, zzi' Simuni Randazzo,
da Sx seduti: Guarneri, Pietro Messana
|
IL PRIMO "APPUNTAMENTO"
Fabrizio, 18 mesi, alla cuginetta
Sofia:
"Domani facciamo una bella passeggiata al sole!"
|
Le
poesie di NICOLO' FERLISI
Mi sono tornati alla mente i
momenti passati nelle "botteghe d'arte" di lu zi
Ciccu e Tanu Alfanu, o in quella di lu Zi Ciccinu e Giuvanninu o ancora
in
quella di Caluzzu Paci, quando in certe giornate invernali non avendo
altre
cose da fare ci si attardava al solo scopo di passare il tempo e si
imparava
l'arte delle furbizie ( la velocità di pensiero che doveva prevenire
un'eventuale
presa per il culo). Gli adulti in questo modo saggiavano la perspicacia
dei poco
più che adolescenti traendo da ciò un metro di valutazione che
definiva il carattere dell'uomo che sarebbe diventato: da qui ho
immaginato la scena che
ho ambientato in un angolo della nostra piazza.
|
ADDITA LA
LUNA
La cerca nel cielo di sera
la testa rivolta all’insù
verso tetti e camini,
pretende compaia al mattino
appena fuori in giardino,
sia limpido il cielo
o incupito da pioggia e grigiore,
continua a implorarla e cercarla
per nulla scorato e abbattuto.
"Luna!", implora, guardando nel cielo
esigendo risposta da me.
"La luna dorme a quest’ora,
è andata a fare la nanna e dopo ritorna".
Ma se la vede, ah! s’illumina tutto,
addita la luna con grande stupore
volgendo lo sguardo alla candida palla;
commossi i suoi occhi
sembran perle che ha bagnate rugiada
in un freddo mattino d’aprile;
le sue guance a sorriso dilatano il volto estasiato,
che sia falce o rotonda,
che risplenda di luce di sera
o che timida appaia al mattino
sopraffatta dal sole nascente
che presto la mette a riposo.
E batte le mani, le allunga a volerla afferrare,
si agita tutto, compiaciuto sorride,
e vorrebbe star lì col nasino all’insù
a svelare l’arcano che in cielo perdura da sempre.
Ha solo quattordici mesi, Fabrizio!
Il nonno Federico
|
Ultimi
aggiornamenti su: BALATAZZA
La masseria Balatazza nel 1600
La ferrovia di Montedoro |
NUOVE POESIE DI
NICOLO' FERLISI
|
CONSIGLIA TULUMELLO,
la
"nonnina" di Montedoro,
compie 100 anni
|
Sabato, 23 ottobre, é avvenuta la
premiazione del
1^ Concorso Nazionale
Alda Merini - Guido Bertuzzi
presso "La Famiglia Artistica Milanese", Circolo
Culturale I Navigli, a Milano, alla presenza delle due figlie della
Merini.
Con grande soddisfazione sono stato
selezionato tra i numerosissimi concorrenti che hanno partecipato
all'importante manifestazione. Ogni concorrente era abbinato ad un
pittore che ha realizzato un quadro, esposto insieme alla poesia
collegata.
La manifestazione é stata rallegrata dalla
recita di poesie della Merini da parte di Giovanni Nuti, suo cantore,
accompagnato da un'orchestra.
|
Quando
le persone care se ne vanno le fotografie ci rimandano, assieme al
ricordo che resta di loro, a momenti di spensieratezza. Tra le foto di
famiglia ho recuperato questa. Si tratta di una schiticchiata nella
Putìa di lu zzi Nofriu Guarnieri. Era il 2 Marzo 1957. La data,
scritta nel retro della foto da mio papà stesso, potrebbe far pensare
che l’occasione fosse stato il suo 34° compleanno che compiva
proprio quel giorno. E il fatto che fosse a capotavola potrebbe
confermare questa supposizione. Ma il resto della scritta, oltre a
quanto mi raccontava papà, dice che nel gruppo c’era anche parte
della maestranza incaricata di montare il famoso forno “Roma” a
Gibellini. Tra le persone presenti nella foto c’erano anche
racalmutesi.
Si possono
riconoscere:
A capotavola: mio padre; a dx, per chi guarda la foto, potrei essere
io o mio fratello Gaetano. Dietro mio papà Ustinu Duminucu, Maggiuri.
Alla sx, con in braccio l’infante, la moglie di lu zzi Nofriu
Guarnieri. L’infante potrebbe essere la nipotina Giuseppina (oggi
S.ra Piccillo). Alla sx , per chi guarda la foto, potrebbe esserci un
fratello di Caliddru Piccillo, prima di lui un cugino racalmutese di
mio papà, Luigi Taverna, prima di questo mio zio Caluzzu Marsala.
Alla dx di chi guarda la foto: Diego Galante (?) (potrebbe essere
perché erano compari con papà), prima di lui un compaesano di cui mi
sfugge il nome, che doveva abitare in Via Garibaldi/Via Alighieri (Randazzo?).
Nicolò
Falci
Nota: le vicende del "Forno Roma" si possono leggere
nel sito:
http://www.messana.org/MINIERE-MONTEDORO/le-miniere-di-montedoro.htm
|
FESTA DELL'ALBERO ANNO 1956
(foto di Calogero Pace)
|
PRESENTAZIONE
AGGIORNAMENTO
|
La Baronessa Lucrezia De Domizio Durini in visita
a Montedoro,
nella casa dell'artista Tulumello Agostino mentre visiona i rotoli
dedicati alla nozione Tempo
|
MONTEDORO - Marzo 1955
- Festa di
fidanzamento
|
Foto
della Mostra di Pittura di Vincenzo Ingrascì, Rosa Maria Taffaro e
Sebastiana Vitello, in Piazza Europa dal 30 luglio al 5 agosto promossa
dalla Pro loco. Lillo Paruzzo
|
AGLI
AMICI POETI
In quel di Montedoro, a luci accese,
stanno gli amici miei a poetare,
a raccontar le glorie del Paese
e tutti i loro versi a recitare.
Scritti in un libro e ai pronipoti dato
stanno tanti ricordi, storie e amori,
in lingua ed in dialetto declinato
per meglio tramandare i propri ardori.
Io me ne sto solingo qui a Milano
all’ombra delle guglie e dei merletti
che adornano il tempio, e parmi strano
lasciar cotanti amici soli soletti.
Se in mano palpita a Milano il cuore
sul Monte Ottavio il mio volando sbatte,
e in quella sala aleggia in queste ore
che attenta ascolta e poi le mani batte.
Vedo la poetessa amica mia,
di onori piena e gloria in ogni dove,
mostrare i suoi bei quadri in poesia,
che tutta l’anima aprono ed il core.
Sento di Falci ogni sua avventura
che a "spirlicchiu" giocava ancor bambino,
e l’altro Nicolò che i mali cura
in lingua ci racconta il suo "becchino".
Di Lina ascolto i suoi versi d’amore
la "follia" ed il "tempo" e
"primavera",
e di sua mamma ammiro il grande ardore
raccontar la "vaneddra" sì com’era.
Il nipotino assiso stringe la mano
ed ascolta le mie storie e "La mia terra":
sperando che un bel dì senta il richiamo
del profumo che l’avo in cuor rinserra.
Plauso a Paruzzo che autore è stato
della raccolta, promotore e anello:
sicuri che del tempo ormai passato
andrà orgoglioso in nostro Paesello.
Federico Messana
|
Il pittore
montedorese Agostino Tulumello con la Baronessa Lucrezia De Domizio
Durini, mecenate dell'arte contemporanea, personaggio
interessante,anche nel mondo letterario.
|
FABRIZIO ..........cresce !! |
Foto avuta da Lillo Paruzzo |
Il battesimo di FABRIZIO
|
DEDICA DEL MUSEO DELLE MINIERE ALLO SCRITTORE ANGELO PETIX
Alcune foto scattate in occasione della dedica del
Museo delle miniere allo scrittore Angelo Petix. Sono
intervenuti il Sindaco Federico Messana che ha motivato la
scelta , già avvenuta diversi anni addietro e che
solo adesso ne vede l'ufficializzazione, la figlia che ha
ricordato la figura di Petix con diversi episodi familiari del
periodo legato alla Resistenza nel Cuneese e l'incontro
con la famiglia della futura moglie. Hanno ricordato la figura del
Petix il Prof. Giovanni Milazzo ed il critico letterario Dott. Ferlita,
impegnato nella "riscoperta" di molti autori
"minori" del panorama letterario siciliano del dopoguerra.
Interessante
recensione di Gaspare Agnello su "La miniera occupata"
di Angelo Petix
|
Il piccolo
"dittatore" |
MARIA SALAMONE declama le sue poesie nel Principato di Monaco
A MONTECARLO LA LINGUA ITALIANA E' REGINA
Quest’anno, nel Principato di Monaco, l’italianità è stata
degnamente celebrata. Ricorreva infatti, ovunque, la
"settimana della lingua italiana nel mondo." La
manifestazione, giunta alla sua IX edizione, è stata occasione,
per le molteplici associazioni presenti sul territorio monegasco,
di organizzare differenti attività dedicate all’Italia e alla
lingua di Dante, riscuotendo tutte notevoli consensi.
Ad iniziare dall’Associazione
Monaco-Italie che, reduce del successo della bella iniziativa a
scopo benefico organizzata a bordo della Silver Sea, partner dell’evento,
per raccogliere fondi destinati ad un ambulatorio infantile di
S.Gregorio, in provincia dell’Aquila ( raccolti ben 85.000 euro
di cui 50.000 provenienti dal governo monegasco) è riuscita ad
invitare, nel pomeriggio del lunedi’ 19 ottobre, la poetessa
italo-francese Maria Salamone. Declamate diverse poesie scritte ed
interpretate dalla stessa Salamone che, di fronte agli studenti
delle ultima classe del liceo Albert I di Monaco, non ha nascosto
emozioni intense e a volte commuoventi, condividendo cosi’
pensieri e sentimenti scritti con un italiano di esemplare
linearità. Un dono, quello della Salamone che poetessa lo è nell’animo
ma anche per passione e per mestiere, scegliendo di vivere in rime
la sua vita dai ricchi ricordi legati alla sua bella Sicilia, di
cui vanta i natali.
|
|
FOTO D'EPOCA di NICOLO' FALCI
Nonna Turidda, zza Cuncetta e Peppi
Rizzo
retro della foto |
Link per leggere il
testo originale inglese di
Louise Hamilton Caico
|
MONTEDORO IERI ed OGGI
Proponiamo una serie di
immagini attuali di Montedoro per confrontarle cogli scatti fatti cento
anni addietro da Louise Hamilton
Caico, presentate nel suo libro "Sicilian ways and days",
edito nel 1910. Sarebbe interessante aggiungere anche fotografie
antecedenti o posteriori a quelle della Caico, in modo d'avere una
visione completa delle modifiche avvenute al panorama cittadino.
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|
NUOVE POESIE di NICOLO' FERLISI
-
L'urticìaddru di la veniddruzza
- Etlista sobrio militante
- Per Grazia-Rosa
|
(Anche a un picconiere può venire una buona
idea...... Luisa Caico)
Don
Eugenio sui figli ancora piccoli: Lina
(la buona), Giulia (la
ribelle), Federico
(il vivace), Letizia
(la pasticiona -castagnara bella)
Alcuni domicili dei Caico:
Palermo C.so
Pisani
Palermo Via
Mazzini
Palermo Via
Isidoro Carini,62
Palermo Via
Gargallo,4
Palermo Via
Cassaretti
Caltanissetta Grand Hotel "Concordia" - Villa Mazzone
A volte dimenticavano dove si trovavano:
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FABRIZIO "il pianista"
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Due bellissime foto d'epoca
di PINA BUCCOLERI
Altare in Via
Trovatore 1949
3^ elementare anno 1952
in occasione del Corpus Domini
|
A
TUTTI UN CARISSIMO AUGURIO DI
BUONE FESTE
|
AUGURONI AD ELISA
FALCI, figlia del nostro
amico Nicolò,
che oggi si é laureata in: SCIENZE DEI
BENI CULTURALI
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Nuova poesia di Nicolò Falci
L'AQUILUNI
La poesia descrive fatti reali. Lo zio di mio papà, Gaetano Alfano,
fratello di lu zzì Ciccu (entrambi calzolai) e di mia nonna Calù, per
fare divertire noi nipoti (io, Tanino, Alessandro, Pierina, Lillina;
Totò era ancora troppo piccolo) ci portava "a li serri" dove
facevamo volare un aquilone che lui aveva costruito con carta lucida e
canne di bambù. A far da sfondo era il paesaggio con Gibellini e più
oltre la collina dietro cui sorge Racalmuto. Tutto giallo, d’estate,
se non bruciato. Ma il colore del cielo, che nel tardo pomeriggio (quannu
lu suli tanticchia ammansiva) passava dall’azzurro intenso all’arancione,
fino al rosso del tramonto resta un’immagine visiva che il tempo non
è mai riuscito a cancellare dalla mia memoria e, penso, di quanti hanno
assistito, almeno una volta, a quello spettacolo.
Nicolò
La foto del
tramonto, vista dalla "serra" di Montedoro è opera del nostro
compaesano americano,
l’artista fotografo Peter Mantione.
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MONTEDORO
I RADIOAMATORI
ALL’OSSERVATORIO DI MONTE OTTAVIO
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AUGURONI AI
NEO-LAUREATI
PIETRO
MESSANA
MARTA MESSANA
"Ingegneria delle telecomunicazioni"
"Scienze della Comunicazione" |
Oggi, 7 ottobre 2009 abbiamo "scoperto" che
LA LEGGE E' UGUALE PER TUTTI
e che
TUTTI SIAMO SOGGETTI ALLA LEGGE
anche RE, PUPI,NANI e PSICONANI
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Oggetto: Un primo successo! Sospesi i lavori per la realizzazione
dell'impianto eolico sul Castelluccio!
Il Tar di Palermo ha accolto il ricorso presentato dal Comune di
Montedoro avverso la realizzazione dell' impianto eolico sul
Castelluccio. Il ricorso è stato motivato dal fatto che,
quell’impianto eolico, pur ricadendo nel territorio di Racalmuto, è
vicino al centro abitato di Montedoro.
Il sindaco Federico Messana: «Siamo molto soddisfatti perchè il
Tar ha riconosciuto quelle che sono
le nostre ragioni su questa vicenda».
«Il Tar - ha precisato Messana - nell’accogliere il nostro
ricorso, ha fatto rilevare come Montedoro, dati alla
mano, sia un comune a forte vocazione turistica; lo dimostrano le
presenze turistiche che ogni
anno si registrano nel nostro paese, ma anche le strutture ricettive che
esistono e che stanno nascendo;
insomma - ha ribadito il sindaco - è passato il concetto in base al
quale, con la realizzazione
di un impianto eolico con pale alte 150 metri e rumorose quanto mai, la
bellezza del paesaggio sarebbe
venuta meno compromettendo anche la vocazione turistica del territorio».
A questo punto, in attesa del presumibile ricorso al Cga da parte della
società costruttrice e
del comune di Racalmuto, le sorti di questa controversa vicenda sembrano
pendere dalla
parte del comune di Montedoro. Il quale, contro la realizzazione di tale
impianto, promosse una
petizione popolare che fece registrare un’adesione record da parte
della sua cittadinanza che si
pronunciò per la quiete e la bellezza del suo paesaggio, piuttosto che
per un impianto eolico
ritenuto, oltre che rumoroso ed ingombrante, anche dannoso sul piano
dell’impatto ambientale.
CARMELO LOCURTO
(La Sicilia VENERDÌ 25 SETTEMBRE 2009)
|
FILM PORNOGRAFICO IN UNA PANETTERIA
Nicolas et
Céline refusent que leur boulangerie devienne un point chaud / Photo
Laurence Loison
Des films
pornographiques ont été tournés dans une boulangerie de Pusignan.
Embarrassant pour les nouveaux propriétaires, qui aimeraient une
publicité moins... croustillante.
Pusignan : sa place,
ses commerces et... ses films X : c'est la mauvaise blague de l'année
pour Céline et Nicolas, qui ont repris le 1er avril (!) la boulangerie
située sur la place de ce village de 3000 habitants. " Quand ma
vendeuse m'a dit que des films pornos avaient été tournés dans la
boulangerie et que des DVD circulaient dans le village, j'ai cru à un
canular ", raconte Céline. Mais en pianotant sur internet, le
jeune couple en reste sur les fesses : il découvre les chaudes
aventures de " Lætitia, la boulangère de choc ". C'est un
film pornographique tourné, semble-t-il, par des amateurs. Et on
reconnaît très bien l'enseigne extérieure de leur boulangerie. "
Pas l'intérieur, parce qu'on a tout refait quand on a repris la
boutique ", précise Céline. A leur connaissance, deux films de 90
minutes existent, et sont vendus en DVD ou sur internet. Avec comme
sous-titre " Une libertine à disposition : il n'en laissera pas
une miette ", les films mettent en scène une jeune femme dans
toutes les pièces de la boulangerie et dans toutes les positions, avec
différents partenaires agités de la baguette. Ils auraient été
diffusés sur la chaîne pour adultes " Frissons extrêmes "
La situation prête à sourire, et le jeune
couple ne s'en prive pas, mais elle est également très embarrassante
pour eux, et leur commerce. " On s'est tout de suite demandé 'Que
vont dire nos clients?' Quand on en parle, ça amuse. Mais beaucoup sont
choqués. Notre avocat a hurlé de rire, avant de dire qu'on ne pouvait
rien faire ", affirment-ils.
L'affaire fait petit à petit le tour du
village. Les boulangers ont décidé d'en parler au Progrès
quand des gamins de quatorze ans sont rentrés dans la boutique pour
demander en ricanant : "C'est ici que vous tournez des pornos?"
"Nous avons questionné quelques
commerçants, et ils étaient au courant. Nous voulons faire savoir à
tout le monde que nous n'avons rien à voir avec ces films, qui ont
été tournés avant notre arrivée ", affirment-ils.
En face, sur le café de la place, Ludo, le patron, sourit : "Quand
la boulangère est venue me voir, je n'ai pas voulu l'alarmer, mais ça
cause beaucoup. Tout le monde en parle. Les gens en rigolent, mais ça
peut choquer les anciens ", affirme-t-il, en lançant à la
cantonade sur la terrasse : "Qui connaît le film de la boulangère?"
Sur une table un peu plus loin, quatre grands gaillards sourient d'un
air entendu. " C'est quand même taré cette histoire!"
Agostino
Alfano (Carmelu Burrusu)
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LI JITA DI LA MANU
Eranu uri ca stav’assittatu,
ed aspittava d’essiri chiamatu,
intra ddra stanza ca già era un furnu
e mai arrivava lu ma turnu.
Nirbusu dissi allura a lu ‘mpiegatu:
"chi t’a pagari, p’essiri chiamatu,
ca genti c’arrivà doppu di mia
adenzia appi ed è già via via?"
M’arrispunnì ddru serbu di
patruni
-ca cci l’avissi datu c’un mastuni-
"Ci sunnu cincu jita ni la manu,
quarcunu è gruassu, quarchi antru è nanu".
La girarchìa mi fici di li jita,
ddra facci ca parìa lumìa purrita,
e forsi si sintì omu putenti
ddru nuddru ch’era ammiscatu a nenti.
Nicolò Falci |
A FABRIZIO TANCREDI
La guancia adagiata sulle piccole mani
riposa Fabrizio, venuto alla luce da giorni.
Dormiva tranquillo e beato
nella pancia di mamma,
ed a nascere manco pensava;
cullato nei sogni, ascoltava
del cuore materno il lento sospiro.
Adesso, è tornato a sognare,
adagiato nella culla del nonno,
le braccia distese in un volo infinito,
gli occhi socchiusi,
le palpebre in un fremito di ali sospese nel nulla.
Lontano, lontano dal mondo,
in un cielo striato da nubi sottili e gentili,
su valli e colline abitate da fate turchine.
Nei miei occhi ho il suo viso stampato,
le mie mani protese alle sue,
delicate e leggere,
in una dolce e tenera carezza,
tra infiniti dolci sguardi amorosi.
Signore, ondeggia cullato da una timida
brezza,
e noi, mille e più mila soldati,
onorando il suo nome regale,
scrutando ogni minima mossa
ci muoviamo al suo cenno in concerto.
Continua a sognare, piccolo e tenero
cuore:
presto il mandorlo sarà adornato di candidi fiori
ed allora giocheremo insieme.
|
FABRIZIO E LA NACA
E sbatti di ccà, e sbatti di ddà,
sta naca ca vola 'mpazziri lu fa,
Fabriziu bìaddru ca sùannu nun voli
ma la so' mamma cci teni di cori.
Tirannu la corda la naca camina
lassànnula iri ritorna ‘nni prima,
tirannula ancora ti pari vulari
ormai è un piaciri vidìrla annacari.
La mamma canta la ninna e la nanna
pi dari sùannu a ‘sta picciula arma,
ma ‘stu Fabriziu si senti annacatu
e ridi di cori, cuntentu e priatu.
Dda musca ca vola vicinu a la naca
'ncuièta e distrai l'armuzza biata,
lu tocca e tiddìca facìannu dispìatto
pùa vola e firrìa vicinu a lu lìattu.
Cuntinua a tirari la corda la mamma
e dici cuntenta cantannu la nanna:
"Addolalò, addolaledda,
lu lupu si mancià la picuredda!".
Lu piccirìddu già dormi e riposa,
chiuiùti l’ùacchi assumiglia a ‘na rosa.
La mamma allura rallenta la cursa:
ferma è la naca, e Fabriziu già russa.
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E' NATO FABRIZIO ROSSI-MESSANA
Il 26 agosto Maria Elena ha dato alla luce un bel
bimbo
Il nome imposto é FABRIZIO TANCREDI
Vedi
foto
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IL SOMMACCO SICILIANO
|
CALIDDU E FEDERICU
MESSANA facevano gli "ortopedici"!
Alla pagina 219 del LIBRO MASTRO si legge:
1^
aprile 1903 Mammano Angelo - ci abbiamo riparato la
gamba - Lire 4
La solita annotazione "misteriosa" da decifrare. Si fosse
trattato di una gamba di tavolino, si sarebbero rivolti ai Marranca,
esperti falegnami. Di che gamba si tratta, allora?
Indagando abbiamo scoperto che Angelo Mammano (Mastrangilu), il padre di Sebastiano
che tutti ricordiamo per il negozio in fondo a Via Cavour, era detto
"lu tùartu" (lo storpio): poiché gli mancava una gamba.
Avevano quindi provveduto a riparare i meccanismi dell'articolazione di
quella povera gamba di legno!
|
La
Sede Siciliantica di Racalmuto invita a visitare il monte Castelluccio
prima della collocazione dei mostruosi pali eolici che lo deturperanno.
Pertanto Gibillina, il Castelluccio Svevo di Racalmuto , sarà aperto
gratuitamente tutti i sabato e domenica di luglio ed agosto dalle 18
alle 22
|
PER CHI VUOLE INTENDERE...........!
"Assistiamo - lamenta il segretario della Cei - ad un disprezzo
esibito nei confronti di tutto ciò che dice pudore, sobrietà,
autocontrollo e allo sfoggio di un "Assistiamo - lamenta il segretario della Cei - ad un disprezzo
esibito nei confronti di tutto ciò che dice pudore, sobrietà,
autocontrollo e allo sfoggio di un libertinaggio
gaio e irresponsabile che invera la
parola lussuria salvo poi, alla prima occasione, servirsi del richiamo alla moralità, prima
tanto dileggiata a parole e con i fatti, per altri scopi, di tipo
politico, economico o di altro genere".
Secondo monsignor
Crociata, con un riferimento che appare in tutta evidenza diretto alle
polemiche degli ultimi mesi che hanno coinvolto il presidente del
Consiglio Silvio Berlusconi, "nessuno deve pensare che in questo
campo non ci sia gravità di comportamenti o che si tratti di affari
privati; soprattutto quando sono implicati minori, cosa la cui gravità
grida vendetta al cospetto di Dio. Dobbiamo interrogarci tutti sul
danno causato e sulle conseguenze prodotte dall'aver tolto l'innocenza
a intere nuove generazioni. E innocenza vuol dire diritto a entrare
nella vita con la gradualità che la maturazione umana verso una vita
buona richiede senza dover subire e conoscere anzitempo la malizia e
la malvagità. Per questa via - osserva il presule - non c'è
liberazione, come da qualcuno si va blaterando, ma solo
schiavizzazione da cui diventa ancora più difficile
emanciparsi".
In proposito, mons. Crociata ha
citato anche quanto detto di recente dal presidente della Cei, card.
Angelo Bagnasco: 'Le responsabilità sono di ciascuno ma conosciamo
l'influsso che la cultura diffusa, gli stili di vita, i comportamenti
conclamati hanno sul modo di pensare e di agire di tutti, in
particolare dei più giovani che hanno diritto
di vedersi presentare ideali alti e nobili, come di vedere modelli di
comportamento coerenti".
(da La Repubblica 6
luglio 2009
)
Il gaio impenitente
( click per leggere)
|
Poesia di LUCA DEVIZZI,
10 anni, 5^ elementare
L'INSIPIENZA DELL'UOMO
Forse un giorno l'uomo
scomparirà,
scomparirà la sua crudeltà e la sua
sapienza.
Le sue
opere verranno inghiottite dalla natura
che non sarà più sottomessa,
gli animali vivranno in libertà e
torneranno selvatici,
come era all'inizio.
Forse di
quell'animale che aveva comandato il mondo
non rimarranno che pilastri di
cemento
ed il brutto ricordo dei danni che
inflisse alla Terra.
Luca Devizzi
(Luca é figlio di Cristiano e di Katia
Duminuco,
amante dell'archeologia e promettente poeta)
|
HANNO
DISTRUTTO IL "VECCHIO" MONTEDORO
Ciò che restava di "AL-MINZAR", il vecchio "casalinu" a Pupiddu
AL MINZAR E’ MONTEDORO
di Calogero Messana
|
MONTEDORO - PROGRAMMA PER I FESTEGGIAMENTI DI
SAN GIUSEPPE
(Lillo Vella - Enzo Zaccaria - Angelo Morreale)
31 Luglio - 7 Agosto 2009
|
Calogero Messana lascia l'ENEL dopo 33/anni
|
Mino
Rovella da Lucca, ex compagno d'armi di Nicolò Falci, ci racconta
questa "Storia Vera"
che ha per protagonisti il farmacista Dott. Francesco Messana ed il dott.
Salvatore Rovella, padre di Mino
Salvatore
Rovella ed il figlio
Mino
Francesco Messana e Salvatore
|
A
SOFIA
Era attesa con ansia, Sofia,
da quella birba sorella che é Sara.
Accarezzava il pancione di mamma
e parlava, con aria curiosa e intrigante,
ascoltando i flebili battiti del piccolo cuore.
"La mia sorellina la voglio
chiamare Sofia!",
sentenziò sicura e decisa,
sollevando da ambasce e fatiche
chi quel nome doveva cercare.
E venne alla luce un visino
che a piccola fata assomiglia,
di colore vermiglio le gote
la boccuccia un piccolo fiore.
Sofia dorme tranquilla e beata
ignorando gli amici e i parenti;
intorno al capo le mani arcuate
sogna un mondo abitato da fate.
Ogni tanto si sveglia, e gli occhioni
svela a quanti la stanno osservando;
un sorriso pervade il suo volto
poi ritorna tranquilla a sognare.
|
Quando è l’ora di fare la pappa,
puntuale la senti frignare;
corre Sara, che a suo modo la calma,
e le stampa un bacione sul viso.
La solleva come fosse un ranocchio
per portarla al seno di mamma;
timorosa questa accorre in aiuto
ed al petto le stringe amorosa.
Zio Fé
|
Dal "LIBRO MASTRO" di Caliddu e Federico
Messana
1891 - 1908
|
LA TESI di ANTONELLA CUTRONA
LA TERRA CHIAMA
Analisi di una realtà italiana a Lione
|
Calogero Messana
VIABILITA' NEL VALLONE
|
E' nata SOFIA TANZI BALCONE
Oggi,
per la felicità di Sara, é nata la sorellina SOFIA.
Auguri alla mamma Rosangela Marranca, ed ai nonni Gina e Paolo.
|
CIRCOLO dei MONTEDORESI di MILANO e DINTORNI
Abbiamo in animo, io, Nicolò e Pippo di
"creare" un circolo che possa riunire di tanto in tanto i
Montedoresi sparsi per Milano e dintorni.
Negli anni passati sono stati fatti alcuni
tentativi (con il.buon Paolo Augello che purtroppo ci ha lasciati),
ma con esiti negativi. Nella speranza di essere più fortunati che nel
passato, chiediamo a quanti siano interessati di lasciare il loro
nominativo per essere contattati.
Sarebbe bello ed interessante poterci riunire per raccontare la nostre
storie, sentire un po' di musica, leggere poesie e racconti che evocano
le nostre non dimenticate ed indimenticabili contrade.
Gli indirizzi e-mail sono in alto in questa pagina.
Federico
|
Storica postazione del napoletano Salvatore
Capasso,
venditore di fiori in Piazzale Libia a Milano, da 37 anni
|
Monumento ai caduti
1915-18,
in Via Tiraboschi a Milano |
A casa di Nicolò Falci in occasione del passaggio
per Milano di Calogero Pace
|
LE POESIE DI MARIA SALAMONE
Articoli apparsi su giornali francesi che testimoniano il grande
successo dell'esposizione di poesie a Nizza il 6 marzo presso il centro
Culturale di Fabron
|
Maestro: Angelo Mammano
Classe
seconda elementare A.S. 1963/64
(foto Totò Scalia)
|
LA VITA E LA MORTE
di Federico Messana
|
Mille
Agavi, tradotta in francese dalla
poetessa
MARIA SALAMONE
|
UN TRISTE FATTO DI ORDINARIA DEMENZA
MINACCE AL SINDACO di MONTEDORO
POVIRU
MUNTIDORU
Povira terra di lu ma’
paisi,
ca mi cridìa cchiù onestu addivintatu!
Chianci la genti ca si senti offisa,
pi un bruttu fattu ca parìa scurdatu.
Chiancinu l’onesti a Muntidoru,
scatta lu cori pi ‘na vigliaccata
di quarchi babbu ca si senti spertu
ma di babbìa abbunna, chistu è certu.
Manna signali, mancu fussi indianu,
cu’ bammula e cartucci comu richiamu,
pi diri ca si senti lu cchiù forti
e ca ni pensa cìantu, jùarnu e notti.
Malandrinu si senti, chista è la scusa,
forsi porta lu tascu a la mafiusa,
di villutu ‘na giacca, e a testa ‘anta
porta la vara ni la simana santa.
Si fussi omu e non quaquaraquà,
putissi addumannari senza pritisi,
comu fannu l’onesti e sunnu assa’,
senza essiri babbi e mancu offisi.
E’ ura di finirla, sìanti a mìa,
ritorna a la raggiuni e a la mimoria:
ssì vigliaccati un su’ cosa pi ttìa.
Sulu l’onesti stannu intra la storia.
Federico
|
LA COMMOVENTE BIOGRAFIA
DI BARACK OBAMA
|
LA NACA
|
Abbiamo il piacere di ospitare, in questo sito, le
poesie di un nostro compaesano, il
Dott. Nicolò Ferlisi
Medico a Montedoro e dintorni, ha conservato nel
"solito" cassetto le sue composizioni che ora vengono alla
luce grazie alle insistenze di Nicolò. Sono sensazioni personali ed
esperienze di vita che consiglio di leggere con attenzione.
POESIE
|
Ceci n’est
pas une pipe (opera di Magritte)
Ceci n’est pas un president (opera
… dei pupi)
(Nicolò) |
I
TRENI di PIETRO LAURICELLA
|
DON DUVICU TULUMELLO
Poesia di Nicolò Falci sulla giumenta "Pataffia"
Negli anni trenta del novecento Don
Duvicu Tulumello fu uno dei
protagonisti più attivi della vita politica di Montedoro
(vedi).
Furono anni irrequieti poiché all'interno dello stesso partito fascista
scoppiarono lotte per la supremazia politica e la gestione del piccolo
comune.
All'epoca la situazione era questa:
Salvatore Messana
Comandante della 9^ Centuria
Luigi Guarino
Segretario Politico
Pappalardo Giosuè, Caico Eugenio, Salvo Giuseppe (capurali)
Membri Direttorio Fascista di Montedoro
Tulumello Ludovico
Potestà
Tulumello Ignazio
(oltraggiò il Guarino per difendere Don Duvicu, e
fu
condannato a quattro mesi di carcere)
Angelo Fiocchi, figlio dell'Ing.
Giacomo membro
Federale
Scoppiò una lotta feroce tra don Duvicu Tulumello (Podestà) e Luigi
Guarino (segretario politico del fascio). Per sedarla dovettero
intervenire a più riprese i "capi" da Caltanissetta.
Tutti contro tutti, al punto che i "federali" si fidavano più
dei Carabinieri che della struttura del partito fascista. La piccola
Montedoro teneva in scacco l'intera Provincia.
|
AGOSTINO TULUMELLO
IL MAESTRO
"DISPENSATORE" DI ARMONIA ED ALLEGRIA
|
MONTEDORO ALTAMENTE
MILITARIZZATA
|
INCONTRO A NIZZA CON
LE
POESIE DI MARIA SALAMONE
|
Località Calvario - 1960 |
Montedoro 24 marzo 1933
Il maestro Salvatore Messana
e la sua 4^ classe
(leggi
didascalia) |
La nostra carissima amica
MARINELLA
FIUME
ha pubblicato un suo nuovo
libro:
CELESTE
AIDA
una storia siciliana
|
|
Nuova
poesia di Nicolò
(Altri tempi quando gli angeli ti
svolazzavano intorno e dovevi stare attento a ciò che facevi. Ora, come
dice Nicolò con la sua fervida fantasia, gli angeli sono volati via e
non hai più timore neanche dei diavoli!).
PASSA L’ANCILU E ARRIASTI
ACCUSSI’ |
Calogero
Messana (pipinu)
Giuseppina Montagna (pipina) |
Sciandra Calogera (nonna)
Montagna Maria (bisnonna)
Sciandra Calogero (America) |
Messana
Federico (nonno)
Montana Calogera (nonna) |
Spitaleri Giovanni
Messana Giuseppina
|
MILLE AGAVI
Mille agavi vorrei piantare
sulla "collina della vergogna", a Gaza;
un'agave per ogni vita spezzata,
mille per ogni piccolo eroe innocente
caduto sotto la vile mitraglia.
Vorrei piantare un'agave
per ogni pallottola impressa sui muri di casa,
una per ogni colpo di vigliacco cannone,
una per ogni gamba spezzata,
cento, mille per ogni lacrima di terrore
che ancora bagna i piccoli visi infantili.
Vorrei piantare un'agave
per ogni donna disperata,
per ogni casa abbattuta,
per ogni pianta divelta con sadico ardore;
|
un'agave per ogni padre che ancora
compone i brandelli dei piccoli figli.
Non mille croci
vorrei piantare sulla collina della vergogna,
ma mille e più mila agavi verdi
dalle generose radici e dai lunghi pungiglioni,
a difesa di quella collina
che ancora alita di morte e vergogna.
Ma che tutti, presto, potranno additare
come la collina della speranza.
Federico
|
Le poesie di
MARIA SALAMONE
articolo pubblicato sul
periodico "l'Alfiere" di Firenze
|
L'ITALIANO
da.... ridere o
da.... piangere!
|
Inviata da Pietro Galante, da Buffalo
(da sinistra) Calogero Montagna, Giuseppe Mendola, Giovanni
Mendola, Pietro Galante, Pietro Marranca, e Angelo Mantione di la ‘zza
Narda (venditore di "cannola")
|
(da Lillo Marranca)
5^ elementare 1956
|
I SOGNI DI ISSAH
Ha gli occhi atterriti, il
piccolo Issah,
e trema, trema di paura,
cedono le tenere gambe,
un sussulto e cade,
un fucile puntato alla nuca di Assam,
padre di otto piccoli figli.
Guardano in alto gli occhi del piccolo Issah,
caduto sotto un frondoso limone,
e scorge i penduli frutti giallastri e lucenti
oscillare nel vuoto,
sospesi a invisibili fili
tenuti da mano fantasma.
Una volta era un gioco contarli,
una gara coi piccoli amici
felici tra nenie e risate infantili,
saltare sui rami a rincorrere un grillo
che a quel gioco sembrava giocare,
come nonno e irrequieto bambino.
Adesso li vede cadere dal cielo,
li sente con fischio stridente,
uno scoppio, un fragore assordante,
il cielo si oscura di schegge impazzite.
E poi un altro, un altro ancora
più forte del primo,
un rumore di vetri in frantumi,
uno sbattere di porte divelte,
una pioggia di polvere e sassi.
Sobbalza le mani sul volto,
urla, chiede pietà, implora,
il piccolo cuore lo soffoca in gola.
Una lacrima bagna la tenera gota,
mentre un lume a petrolio
rischiara la misera stanza
e la mano gentile che placa
le angosce del piccolo Issah.
|
LA COLLINA DELLA VERGOGNA
In trentacinque morirono sulla collina Hai el-Zaitun,
la collina delle olive,
diventata "la collina della vergogna".
La famiglia Samuni viveva su quella collina,
pochi edifici, olivi, anatre, galline
ed una piccola moschea.
Spararono granate contro la casa,
Samuni e suo figlio Ahmed di quattro anni
furono ammazzati con una pallottola in fronte,
a sangue freddo e senza motivo,
innocenti, le mani alzate in segno di resa,
sventolando ritagli di lenzuola bianche.
Poi, ridendo, quei porci, mitragliarono,
uccisero un neonato, diedero fuoco ai materassi,
rubarono soldi ed oggetti d'oro,
lasciando tra il sangue i pochi sopravvissuti feriti,
grondanti sangue e lamenti.
Che vergogna!
Che squallido, volgare e disonorevole esercito!
Resteranno impuniti i crimini sionisti,
sicuramente peggiori di quelli nazisti?
Federico
|
LA MORTE DI ISSAH
"Issah! Figlio mio, sei
molto giovane,
sei innocente, hai conosciuto la morte dei martiri!
Allah, sia fatta la tua volontà!".
La voce di un padre disperato
alta e forte risuonava nella moschea vuota e cadente,
implorando pace per il suo bimbo,
settimo di otto figli.
Intorno una desolazione di morte,
tutto raso al suolo, un deserto di pietre fumanti,
novella Hiroshima delle bombe sioniste.
"Non piangete, non gridate!
comportatevi con dignità!
Questa è la nostra terra e qui resteremo;
Allah ci mette alla prova
e compenserà le nostre sofferenze",
disse alla moglie ed alle tre figlie superstiti,
dinanzi al corpicino maciullato,
estratto dalla cella frigorifera.
"Le gambe, dove sono le gambe del mio Issah".
Nella cella adiacente, due gambe, una testa, due braccia
attendevano che fossero composte in un corpo.
Non una lacrima dagli occhi
nascosti da feritoie di stoffa,
non un lamento dalle bocche nascoste dal niqab
delle donne di Issah.
Issah, un bimbo di dodici anni,
lineamenti di non comune bellezza,
mitragliato mentre cercava legna da ardere
nel vicino aranceto,
venne avvolto in un bianco sudario
e tumulato nel cimitero di Rafah,
il cimitero dei martiri palestinesi.
Martire della bieca e bestiale violenza sionista.
|
Dopo il bombardamento sionista a Gaza ..................... |
E' GIUSTO?
|
COSI' FANNO TUTTI I CRIMINALI .....
Prima pregano sui carri armati.....
poi sparano su scuole,
moschee, vecchi e bambini inermi
PIU'
SBRIGATIVO DI UNA CAMERA A GAS ! VERGOGNA!
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Montedoro - Le "vampe" di Santa Lucia - li "fanari"
e la "cuccìa"
(foto inviate da Emilio Duminuco)
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La
musca cavaddina
di Nicolò Falci
Bella poesia di Nicolò che si commenta da sola |
Natale
a Montedoro
“MONTEDORO
TRA SCIENZA E TERRITORIO”
ASTRONOMI
– ASTROFISICI - ASTROFILI E STUDIOSI DI STORIA, LETTERATURA E
SCIENZE NATURALI INSIEME: ALLA SCOPERTA DELLA VOLTA CELESTE E DEI
NOSTRI TERRITORI
PROGRAMMA |
Un
omaggio alla Sicilia da parte di
ARTURO FIORI (Messana)
Un
ghiornu ca lu Diu Patri era cuntentu
Lu
dutau di tutti li setti elimenti
lu pusau a mari nfaccia a lu livanti,
Sicilia lu chiamaru li genti
Ma di l’Eterno Patri è lu diamanti.
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Le
trame dei partiti nel periodo "fascista" a Montedoro
Ci sono molti "personaggi" conosciuti !
Salvatore Messana
Comandante della 9^ Centuria
Luigi Guarino
Segretario Politico
Pappalardo Giosuè, Caico Eugenio, Salvo Giuseppe (capurali)
Membri Direttorio Fascista di Montedoro
Tulumello Ludovico
Potestà
Tulumello Ignazio
(oltraggiatore del Segretario Politico)
Angelo Fiocchi, figlio dell'Ing.
Giacomo membro
Federale
Aggiungo anche Amico Gabriele Mariano Giuseppe , nato a Montedoro il
22/11/1889 , figlio di Giuseppe e Valenti Maria Filomena.
Avvocato e Notaio, attivista del Partito Popolare. Fu segretario
Comunale a Montedoro fino al 1924 e nel dopoguerra fu il primo
Sindaco di Caltanissetta, meglio conosciuto come Gabriele Amico Valenti
:il Comune di Caltanissetta gli ha dedicato un'importante via della Città.
Tutti contro tutti, al punto che i "federali" si fidavano più
dei Carabinieri che della struttura del partito fascista. La piccola
Montedoro teneva in scacco l'intera Provincia
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Omaggio alla poetessa MARIA
SALAMONE, nostra cara amica (e
paesana)
Maria Salamone mi ha mandato alcune le foto dalla di Città di
Pomigliano d'Arco, (NA) dove ha ricevuto il 29 novembre scorso, il
premio all'arte e alla cultura (il pulcinella che ha tra le mani). Ha
ben finito quest'anno 2008, con una valanga di premi: a Torino,
dove ha avuto il 4° premio (targa della regione Piemonte) dalla
"Lega Internazionale dei Diritti dell'Uomo". A Roma, dove
ha esposto nel museo della chiesa in piazza SS Apostoli, ricevendo il
diploma di Laurea Honoris Causa, dall'Accademia Internazionale Città di
Roma. A Firenze, dove ha avuto da "Il Fuligno", il secondo
premio con la poesia "Un paese chiamato Montedoro) il tema essendo:
la mia città. A Città di Pomigliano d'Arco, con il premio già citato.
Mi informa inoltre che esporraà dal 3 al 30 marzo, nell'ambito della
primavera dei poeti, presso il centro culturale di Fabron a Nizza.
COMPLIMENTI VIVISSIMI!
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A MIA MADRE
Ave, o
madre mia,
che guidasti i miei primi passi
e della vita mi indicasti la via.
Come scorre il tempo!
A te vola ognora il mio pensiero;
a te tornano i più bei ricordi
della mia infanzia.
Ora felice per prati di fiori adornati,
ora dolcemente adombrata
per marachelle e dispetti infantili.
Le ore liete ricordo,
i momenti di gioia pregni d'affetto infinito;
ma anche le ombre che la vita riserba,
i tristi presagi, l'atroce e infinito dolore.
A te vola ognora il mio pensiero.
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AVE MATER
Ave,
mater mea,
tu hortationibus me initium duxisti
atque mihi itinera indicavisti vitae.
Volat eheu aetas!
Tuam semper teneo memoriam,
ad te pulcherrimae vertunt recordationes
pueritiae meae.
Tam saepe laeta per prata
pulchris floribus exornata,
nonnunquam blande anxia
offensiuculis iocoseque puerile.
Laetissimas memini horas,
temporis laeta momenta maximi amoris plena;
etiam quoque plurima vitae adversa,
praesagia atque tristia indicia,
immanem diutinumque dolorem.
Tuam semper, mater, teneo memoriam.
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CALIMERO
di Nicolò Falci
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9-11-08
compleanno Ludovica
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QUANDO
IL POTERE (Fascista)
a MONTEDORO
SI "CACAVA" ADDOSSO
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Così canta Pippo "La
scala di milli scaluna":
Chista è
la scala di milli scaluna,
............................
Acchianu novi e baiu a pigliu deci,
malanni a ccu travaglia a la Pirnici.
Ma cos'era veramente
la "Pirnici"?
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Ricordate
i GELSI?
e
il Brodo di Giuggiole?
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MINIERE di MONTEDORO
L'Ing. Fiochhi e "li stirratura
di Caliddu e Federicu Messana
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MONTEDORO 1850 - UN CASO EMBLEMATICO:
Don Gaspare Rizzo
(A cura di Calogero Messana)
Appaltatore di
miniere, Vicario Curato , Consigliere Comunale .. e concubino. Un
personaggio che ho più volte incontrato tra le carte delle vicende
minerarie di Montedoro è il Sac. Gaspare Rizzo. |
MONTEDORO
Inaugurazione della mostra
DISCONTINUA - PARATA D'ARTE
nel
Nuovo Teatro Comunale
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Atto
di compravendita terreno "ARVANELLO" del 1859
bisaccia
una, tumuli due, mondelli due, carrozzi tre, quarto uno, quartigli tre
al prezzo di: onze 20
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L'AFFARE "SANIRRI"
Esiste moltissima documentazione riguardante le vicende dell'Ing.Minerario
Pierre Saunier, in paese chiamato "Sanirri". Era in contatto
con Pietro Tucci (Ispettore Minerario per la fusione dello zolfo
etc.). Il Saunier portò avanti, per molti anni, un tentativo per
riorganizzare le miniere Siciliane dall'estrazione alla
trasformazione. Viveva tra Parigi, Londra, Bergamo, la Sicilia e
...Montedoro.
Ho infatti trovato una lettera ( in francese) inviata al Prefetto di
Caltanissetta intestata : Mines-Montedoro-Montegrande-Sicile.
( Montegrande? A cosa si riferisce?).
E' interessante il libretto a stampa in cui si fa una digressione
sulle miniere e i costi legati a tutto il processo produttivo.
Forse se il progetto fosse andato in porto le cose
sarebbero cambiate......ma non successe nulla come sempre
succede dalle nostre parti.......
Anche Petix ne parla, e in sintonia con Saunier,
spiega il motivo per cui non vi è stato lo sviluppo
dell'industria mineraria.
Calogero |
M O N T E D O R O
La corsa all'oro giallo
Il "FORNO ROMA" di Gibellini
Le
lotte dei minatori
agg. al:
10.3.08
Miniera Orto del Signore e Gibellini
agg al: 10.3.08
Le concessioni
agg. al: 11.4.08
Incidenti
mortali Augello-Brancato
agg. al: 14.4.08
La storia
Gibellini-Licata-Duminuco
agg. al: 23.4.08
Miniera Nadorello
agg. al: 26.4.08
Miniere: Grottazzi-S.ta Lucia-
Schillaci agg. al: 28.4.08
Il documento più antico:
1818
agg. al: 5.6.08
Disputa sull'appartenenza di Gibellini
agg. al: 9.6.08
Fondo Tucci
agg. al: 20.6.08
TUTTI CONTRO
PIAZZA.......
agg. al: 26.6.08
URZI' - Piccola truffa ai danni del
comune
agg. al: 30.6.08
=========>
Rouré-Petizione a Sua Maestà per
invenzione
agg.
al: 30.7.08
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… E LA GIURANA FINI’
VUDDUTA
di Nicolò falci
Questa poesia dovrebbe fare riflettere tutti noi che ogni giorno siamo
"cucinati" a fuoco lento da ogni tipo d'inquinamento che,
lentamente ma inesorabilmente, mina la nostra salute. Come la
"giurana" ci sguazziamo dentro coscientemente e con sommo
piacere, finché:
" Oh! mischinu! E chi cci successi? Stava accussì beni!". |
LE OPUNZIE DEI CAICO
Siamo nel febbraio del 1868. Sindaco di Montedoro era
Onofrio Caico, mentre il cugino Cesare era assessore comunale e
consigliere provinciale.
Giorgio Caico chiedeva al cugino Cesare di non continuare a bruciare lo
zolfo estratto dalla sua miniera di Piano di corsa (Stazzone) perché
inquinava il suo terreno limitrofo, rovinandone le colture. Infatti
aveva fatto seminare una palizzata di opunzie (fichi d'india) ed
invocava la legge vigente.
Cesare "se ne frega" e continua imperterrito a bruciare gli
zolfi nei suoi calcheroni.
Giorgio si rivolge al Prefetto, dal comune gli risponde Pappalardo
(consigliere anziano), che da ragione a Cesare. Interviene pure il Corpo
delle miniere il cui ispettore "constata che indubbiamente le
foglie di fico d'india furono piantate nei ginesi (in cui non si sa come
potranno mettere radice e vegetare) da pochissimo tempo e soltanto per
avere un pretesto, in verità poco serio, onde insinuare il già citato
ricorso".
Lotta tra familiari, in palese conflitto d'interesse!
Leggi i documenti
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Qualcuno si riconosce? Siamo a MONTEDORO
26 gennaio 1968 -
manifestazione per le
pensioni
esproprio terre - 1972 |
Calogero,
alla Fieravecchia di Palermo, ha rintracciato il luogo dove si
trova infissa la "balata" con il ragguaglio delle
antiche misure.
Palermo - La "balata" delle antiche misure
Sistema metrico siculo
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MODI DI DIRE
In paese, quando chiedi ad una persona "come
stai?", potrebbe risponderti con la solita malinconica
rassegnazione isolana:
"Ni
la manciàmmu la spisa!"
Un altro, più drammatico del primo, dondolando la testa: "Cuculiàmmu".
Mentre un terzo, ormai rassegnato: "Comu
li vicchiarìaddi!".
Altri risponderanno: "Ci defendiamo",
oppure. "
Ci arrampichiamo sugli specchi".
Ieri, incrociando una persona di una certa età
che parlava in italiano, alla domanda: "Come stanno i tuoi?",
ha risposto: "Si siedono ancora a
tavola!".
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CASA MESSANA - MONTEDORO
In preparazione Museo etnologico con vecchi attrezzi e strumenti
Visita --------->
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Il
SITO del Comune di MONTEDORO
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poesie italiano |
poesie siciliano |
Federico
II di Svevia |
racconto
anni '60 |
la
tragedia Caico |
Montedoro
poesia |
Pinocchio siciliano |
racconto |
Racconti |
SIETE
MAI STATI "MAESTRI DI MARAMMA"?
Lettera
trascrizione vocabolario |
Gueli Gerlando e
Teresa
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Elezioni sindaco
Montedoro
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MIRACOLO !
Come si può spiegare un "miracolo"?
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I POETI DELL'ARIETE
MILANO |
Volete
fare omaggio di un piccolo ....lucchetto ?
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Avete assistito al
crollo? |
Giabarresi-Marranca
Bufalino - Alba |
Rita Borsellino e Salvatore
Messana da Agostino Tulumello |
LA CARTEDDA
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Il DECURIONATO di MONTEDORO
nell'anno 1831 solleva una disputa territoriale sull'appartenenza dei MontiGibellini che,
attribuiti a Racalmuto, causarono a Franco Caico il sequestro dello zolfo ed il
licenziamento dei picconieri.
A S.E. Il Ministro
Segretario di Stato presso S.(ua)A.(ltezza) R.(eale) il Luogotenente
Generale per la via del Dipartimento dell'Interno....etc.. etc... ('Altezza Reale
era il Principe di Satriano)
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NUOVO
AGRITURISMO di VITO MESSANA
ASTI
- BOSCO DELLA LUJA
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Il 18 aprile 2008 quattro '' compagni
'' di scuola si sono ritrovati in Francia a Pérouges Villaggio del XIII
esimo in occasione del 40^ anniversario del Circolo Franco Italiano di
Meyzieu
C.Pace |
IN GIRO PER MILANO
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MOSTRA FOTOGRAFICA di MARIO INGROSSO
Il naviglio Martesana fra storia e presente
26
maggio 2008 presso il centro di formazione di via S. Erlembardo, nel
parco Finzi
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Calogero Messana
INCREDIBILE RI-SCOPERTA
della BUCA CAICO
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ASCOLTA IL SILENZIO |
A V V I S O
Importante accordo ottenuto dal nostro Calogero Pace (06 07312091), tra
il Circolo Franco Italiano e la Compagnia GNV (Grandi Navi Veloci).
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ESINO
LARIO - Foto Esino Lario, Grigna settentrionale, lago di Lecco
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Splendida opera di ALFONSO
ALESSI
Racalmuto in miniatura
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Era
da
molto tempo che volevo mandarvi qualche fotografia ; stasera ne ho
scelto due di mio marito Lele e di suo fratello Andrea. Sono molto affascinanti e ci chiediamo chi era questo fotografo "ambulante"
che ha fotografato , penso, tante famiglie in questa città.
E' mia figlia che fa la traduzione per me.
(Elle fait sa quatrième année d'architecture à Genova en
Erasmus.)
Huguette Galante. |
Andrea |
Calogero |
FINALMENTE "LUCCIOLA" E'
TORNATA A MONTEDORO
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UNA PASSEGGIATA A PUPIDDU
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Richiesta
di certificato d'appartenenza alla "Razza Ariana"
a Fernando Aragona Pignatelli
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TRINACRIA
di Nicolò Falci
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NICOLO' giuoca a lu "SPIRLICCHIU"
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