IL CROLLO

Don Peppino, in piedi sul palco sistemato nel bel mezzo della piazza, perorava con fervore la sua causa politica, ignaro di quanto succedeva nei dintorni. Il suo sguardo si perdeva nel vuoto, e solo di tanto in tanto i suoi occhi si abbassavano sulle note appuntate su un piccolo foglietto, per non perdere il filo del discorso. Era naturale, quindi, che non percepisse lo scricchiolio che, proveniente dal palazzo di fronte, aveva messo in allarme buona parte degli ascoltatori che si erano girati e rigirati più d'una volta verso l'edificio, fino allora per nulla traballante e ben piantato su solide fondamenta. Questi però non pensarono minimamente che quello strano rumore potesse provenire dall'edificio, anzi credettero, quasi accomunati da uno strano e sottinteso generale accordo, che quel sibilo, quasi soffuso ed ovattato dai rumori circostanti, provenisse da un aereo, nascosto tra le nuvole; rivolsero quindi mente ed orecchie all'oratore che ne aveva di cose interessanti da raccontare! Passarono pochi istanti, ed un altro scricchiolio, più forte, più insistente e prolungato del primo, mise in seria agitazione quelle centinaia di persone che, colte dal presagio di un imminente disastro, volsero le spalle all'oratore e si spostarono freneticamente verso il lato opposto della piazza, con lo sguardo rivolto al palazzo. Questo, un bel palazzo d'epoca, lentamente ma inesorabilmente, cominciò ad emettere uno stridio e quindi un rantolo, quasi un lamento di dolore, prima di attorcigliarsi su sé stesso, come se volesse sedersi su una sedia dalle gambe traballanti, e rovinare lentamente ma pesantemente al suolo, tra volute di polvere ed un frastuono indescrivibile. Solo allora l'imperturbabile oratore capì che era meglio correre verso un riparo e sospendere il suo animato discorso, rivolto ad un uditorio fino allora interessato, ma adesso in preda al panico.

Mastro Firticchio, un anziano signore che passava per filosofo, spesso deriso e preso in giro per le sue strane teorie, ascoltava il comizio comodamente seduto davanti al bar, intanto che degustava una deliziosa granita. Aveva seguito tutta l'evoluzione di quel crollo disastroso, e sembrava avesse registrato fotogramma per fotogramma quell'evento, straordinario per i suoi occhi, rimanendo imperturbato ed impassibile; al contrario di tutti gli altri che s'erano dati ad una fuga precipitosa, quasi temessero d'essere investiti e sopraffatti da un'onda furiosa, nonostante una certa distanza di sicurezza li separasse dal luogo del crollo.

"Cosa può avere generato quel crollo improvviso?", andava rimuginando mastro Firticchio nel suo cervello. "Quelle povere pietre stanno lì, accatastate l'una sull'altra e ben cementate, da decine e decine d'anni, poggiate su solide fondamenta, quando ad un tratto decidono di separarsi l'una dall'altra e rompere un sodalizio secolare. Incastrate a dovere, sì da formare un tutt'uno dalla base al tetto, costrette a starsene insieme da travi di legno e di ferro, tutto ad un tratto si mettono a litigare violentemente tra loro e se ne vanno ognuna per la propria strada. Che abbiano preso in anticipo una simile decisione, magari al momento d'essere state posate l'una sull'altra? Raccolte dal greto di un torrente o divelte dal fianco della montagna, sin dal loro primo incontro avevano deciso che non gradivano starsene in compagnia? Le prime, abituate a rotolare giorno e notte da un punto all'altro, mosse ed accarezzate dall'acqua a volte fredda, ma spesso tiepida o calda, mal sopportavano d'essere accatastate alle altre di natura ben diversa, abituate a starsene immobili e quasi annoiate da sempre. Chissà quale choc avranno subito al momento della loro messa in opera! Avranno fatto a gomitate per guadagnarsi un po’ di comodità su quel muro mentre il muratore le modellava e le sistemava l'una sull'altra, separate soltanto da uno strato di malta. E man mano che il muro si alzava, aumentava il peso e la fatica per sostenere le più fortunate piazzate là in alto, e che, oltre a godersi il panorama, ridevano delle compagne costrette a starsene sottomesse. E litiga oggi litiga domani, come tante comari in un cortile, alla fine la pazienza ha un limite. E trac, ognuna per la propria strada, basta con la solidarietà e la fratellanza, così noiosa e fastidiosa!

E' strano però! Posso capire un quadro che, appeso al muro, è sostenuto da un piccolo chiodo. Questo sì è padrone di fare quello che vuole. Se un giorno decide di mollare il quadro lo può fare senza chiedere il permesso a nessun altro compare di sventura; è lui e soltanto lui che ne sostiene il peso, e se decide di venire giù dalla parete non ha che lasciarsi andare e fare rovinare il quadro sul pavimento. Ed ha tutti i motivi per farlo, dopo essere stato piantato, quasi massacrato a colpi di martello, per entrare in quella dura parete, e starsene lì immobile ignorato da tutti. Mica guardano lui i cosiddetti estimatori dell'arte! Guardano solamente il quadro, ne ammirano i colori, esaminano l'arte e l'abilità con la quale il pittore è riuscito a creare l'immagine. Al massimo danno una fuggevole occhiata alla cornice, magari ben dorata e di bella fattura. Ma il povero chiodo chi lo guarda, chi lo degna di una minima considerazione, per tre quarti all'interno del muro e con la sola testolina fuori a sostenere quella cornice, spesso pesante. Anzi la sua testolina, per quanto di bella fattura, ora dorata ora brunita, non deve vedersi, deve starsene nascosta sì da fare sembrare quel quadro come sospeso a mezz'aria e creare un alone di mistero. Il povero chiodo, quindi, malmenato prima e bistrattato poi, ha tutti i motivi per decidere di porre fine alla sua opera di sostegno e venire giù senza preavviso, spesso creando un danno irreparabile. E lo può fare senza consultare nessuno, soltanto di sua volontà.

Ma quelle pietre, a differenza del chiodo, come potevano venire giù tutte insieme, in un solo istante? Che l'abbiano deciso al momento della loro posa il momento esatto? Man mano che venivano accatastate possono avere concordato la durata del loro sodalizio: fra cento anni ci separiamo per sempre! E' possibile. Altrimenti non si spiega come ad un certo momento si siano decise a staccarsi dal legame che le univa da tanto tempo. La prima in basso non poteva colloquiare con l'ultima del tetto, e dire che s'era stancata di starsene immobile per sempre, e ch'era l'ora di farla finita. Se accordo c'è stato, sicuramente è stato preso sin dall'inizio, ne sono convinto. Avranno detto: restiamo qui cent'anni ed un minuto, dopodiché ognuno per la sua strada, non possiamo starcene a soffrire in eterno. E che sofferenza! Dovevano starsene abbracciate per resistere alle bufere di vento, alla pioggia ed a tutte le intemperie, per non parlare dei piccoli terremoti che ogni tanto le solleticavano fino allo spasimo. Fossero state tutte della stessa famiglia, pietre di fiume o di roccia, forse avrebbero sopportato la fatica e l'affanno di starsene lì accatastate ed impegnate a non separarsi per evitare il crollo. Ma diverse tra loro, come due famiglie che si guardano in cagnesco, che motivo avevano di convivere, anche se accomunate dalla stessa disgrazia? Scattata quindi l'ora convenuta, un conteggio alla rovescia senza possibilità di ripensamento o di manomissione del meccanismo, si saranno salutate sottovoce le più vicine, con un chiacchiericcio insistente quelle degli altri piani, ed infine si saranno dato l'addio con un boato assordante. Dev'essere andata proprio così, ne sono sicuro".

"Che disastro, dev'essere stato il terremoto a fare crollare quel palazzo!", mormorò un amico a mastro Firticchio ancora assorto ad elaborare mentalmente la sua tesi sul crollo.

"Hanno rispettato l'accordo; finalmente sono andate per la propria strada", rispose distrattamente mastro Firticchio, ancora alle prese con la sua granita.

L'amico tornò sui suoi passi, degnandolo soltanto di uno sguardo di commiserazione, e facendo roteare tre dita vicino alla testa, andava mormorando. "Quello lì s'è ammattito completamente!".

                                                                                                                                     Federico