UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO
Facoltà di Lettere e Filosofia
Master in promozione e insegnamento della lingua e
cultura italiana a stranieri "Promoitals"
LA TERRA CHIAMA
Analisi di una realtà italiana a Lione
Relatore Dott.ssa Emanuela Luzzoli
Tesi di master di : Antonina Cutrona
Anno Accademico 2008 - 2009
Introduzione
Oggetto del presente lavoro è, dopo una breve
introduzione sul fenomeno migratorio, italiano e siciliano, la
presentazione di un’associazione franco-italiana sorta da qualche anno
in una località vicino a Lione.
Questa indagine nasce dalla mia curiosità di
approfondire le conoscenze sul flusso migratorio siciliano nel mondo. In
particolare il mio interesse è rivolto ad analizzare l’esperienza di
vita di chi ha lasciato tutto ed è andato via, cosa è avvenuto dopo la
partenza, cosa è accaduto durante, quale vita sono riusciti a crearsi,
come hanno vissuto il dramma dell’abbandono e come oggi si vive tale
situazione a livello sociale e personale.
Un necessario punto di partenza è stato lo studio
del modulo 20, dal titolo Lingua e cultura italiana. Aspetti
promozionali e organizzativi, che mi ha fornito delle nozioni su
alcuni aspetti della lingua italiana all’estero, facendo anche
riferimento al fenomeno migratorio italiano. Inoltre, nel corso della
mia ricerca, mi sono imbattuta in un testo, La terra chiama - storie
di emigranti, che raccoglie testimonianze di uomini e donne che,
abbandonando il loro paese nativo, Sutera in provincia di Caltanissetta,
si erano trasferiti all’estero.
Tra le varie interviste mi ha colpito in particolare,
quello di una donna emigrata nella cittadina francese di Lione, la quale
parlando della sua esperienza, accennava a un circolo franco-italiano
non distante dalla città che era solito riunire tutti gli italiani
della zona.
Qualche giorno dopo la lettura di questo libro, mi è
stato comunicato che la destinazione finale del mio stage sarebbe stata
proprio Lione e dunque sono partita con l’idea di scoprire quella
piccola realtà italiana in Francia.
Grazie all’aiuto di persone care conosciute al mio
arrivo nella città, sono riuscita a trovare a Meyzieu, comune poco
lontano da Lione, il circolo franco-italiano e dopo un primo timido
approccio, sono diventata una frequentatrice abituale.
In verità, più che un circolo istituzionale ho
trovato una grande famiglia, ricca di persone eccezionali che, appena
conosciuti, mi hanno aperto le porte della loro associazione e delle
loro case. Mi hanno accolto calorosamente e venuti a conoscenza del mio
soggiorno a Lione, si sono prodigati affinché mi unissi a loro per una
festa del circolo, per un pranzo domenicale, per un sabato sera in una
delle loro famiglie.
Nato da un viaggio, il mio lavoro si è rivelato
tale, un percorso alla scoperta del mondo siciliano e italiano oltre il
confine nazionale, che ha dato risposta alle mille curiosità che da
tempo erano state alimentate.
Un aspetto che mi ha sorpreso è stato scoprire che
le tantissime persone che frequentano assiduamente il circolo, così
come il presidente Calogero Pace, il vice-presidente Giuseppe Bufalino e
altri responsabili tra cui Giuseppe Carlotta, oltre a essere accomunati
dalla stessa esperienza personale, sono uniti dallo stesso paese di
origine, Montedoro, piccolo centro della provincia di Caltanissetta,
nell’entroterra della Sicilia.
Oltre ai racconti dei membri del circolo durante i
nostri tanti incontri, ho avuto la possibilità di visionare alcuni
documenti realizzati dal circolo, un suggestivo film-documentario e un
testo, che raccolgono testimonianze reali e drammatiche dei primi
montedoresi che giunsero a Lione e delle difficoltà incontrate, tutte
le informazioni hanno contribuito alla stesura del mio lavoro.
Quello che, personalmente, mi ha colpito è stato
scoprire, in Francia, come la mia terra, la Sicilia e, in particolare,
molti suoi paesini dell’entroterra, Montedoro è uno di questi, con il
tempo si siano letteralmente spopolati. Piccoli centri i cui vecchi
abitanti, spinti dal bisogno, hanno lasciato tutto e si sono spinti
altrove, molto spesso fuori dal confine italiano. È stato come prendere
coscienza di qualcosa, che implicitamente sapevo, ma visto dall’alto e
fuori dal contesto regionale, mi ha fatto conoscere una situazione reale
che prima immaginavo soltanto.
Il mio lavoro dunque oltre a riproporre questo
viaggio personale nella piccola Italia a Lione, vuole essere un omaggio
a questi uomini e queste donne conosciuti, persone forti e coraggiose a
cui va tutta la mia stima e il mio affetto.
Il mio lavoro si compone di tre capitoli, suddivisi a
loro volta in paragrafi. Il primo capitolo è incentrato sull’aspetto
storico del fenomeno migratorio italiano e sulla nascita di una politica
di emigrazione. Restringendo il campo di analisi alla Sicilia, il
secondo capitolo presenta il paese di Montedoro, aspetti storici e
sociali.
Il terzo capitolo ci riporta a oggi, ed è incentrato
sul circolo franco-italiano e sulle storie di vita di alcuni membri.
Il mio intento non è quello di presentare storie
intrise di tristezza, dolore, nostalgia, ma è una voglia di lasciare,
nel mio piccolo una traccia, una testimonianza affinché il tempo non
cancelli i sacrifici di questa generazione, i loro sforzi, le loro pene,
il loro sradicamento e le lacrime versate …
L’immigrazione
italiana in Francia e la nascita della politica d’emigrazione
L’immigrazione italiana in Francia è un fenomeno
molto antico, anche se assume una consistenza più forte nella metà del
XIX secolo. Nel periodo che va dal 1880 al 1965, il nostro paese
fornisce circa un quarto degli stranieri presenti nel paese, tanto che
nell’arco di tre o quattro generazioni quasi cinque milioni di
francesi hanno almeno un antenato italiano. Oggi l’emigrazione
italiana sembra essersi dissolta, eppure la sua storia è fatta di
difficoltà, di rigetti e drammi che sarebbe giusto non dimenticare.
Alla
fine del 1800, il fenomeno migratorio italiano è già molto sviluppato,
conseguenza di partenze sempre più massicce dall’Italia verso la
Francia, che in quel periodo rappresenta la prima destinazione in Europa
e la terza quanto a flusso migratorio dopo gli Stati Uniti e l’Argentina.
Questo periodo, che possiamo definire come La fase
del primo grande afflusso, riguarda principalmente gli italiani del
centro-nord.
Tale imponente affluenza non è bene accolta dal
paese ospitante e dai suoi abitanti, tra il 1881 e il 1893, infatti, si
contano circa trenta omicidi di italiani, colpevoli di lavorare troppo e
accettare salari bassi, rimpiazzando gli scioperanti. Questi anni sono
caratterizzati da "veri e propri crimini razzisti."
Per quanto riguarda l’aspetto politico, fino alla
fine del secolo il governo italiano non si preoccupò granché di
stipulare accordi internazionali per tutelare gli emigrati in terra
straniera.
Per la neo-nazione, infatti, era difficile affermare
se l’emigrazione all’estero fosse un bene o un male per il paese e,
tra un dibattito e l’altro, il fenomeno rimase argomento secondario.
Crispi, durante il suo primo (1887-1891) e secondo
governo (1893-1896), ripropose il problema, ma si preoccupò più di
salvaguardare il prestigio italiano all’estero, che a tutelare le
condizioni di vita e di lavoro di tanti che avevano lasciato la patria.
Il riformismo dell’età giolittiana (1903-1914)
creò nuove e più efficaci soluzioni e, pur non raggiungendo l’obiettivo
di una piena tutela degli emigrati, migliorò la loro condizione.
Con la legge del 1901, seguita e completata dalle
altre due del 1910 e del 1913, infatti, si prese in considerazione le
tutela degli emigrati in patria durante il viaggio.
L’atto di maggiore rilevanza compiuto all’epoca
dall’Italia per la tutela degli emigranti all’estero fu l’accordo
stipulato con la Francia del 1904. Con tale atto la Francia si impegnava
ad accogliere le richieste dell’Italia in materia di tutela degli
emigranti, in particolare l’accordo prevedeva: agevolazioni per il
trasferimento dei risparmi ed estensione delle norme su assicurazioni
sociale, in cambio dell’impegno italiano a migliorare la propria
legislazione sociale.
Questa fu una data importante, si trattava della
prima convezione di lavoro stipulata tra due paesi, tappa importante
nella regolamentazione tramite accordi bilaterali delle condizioni degli
emigranti.
Il 1914, anno oscurato dalle tenebre di una guerra
ormai prossima, vede in Francia, nuove manifestazioni e violenze contro
gli immigrati di un’Italia esitante, che sul profilo bellico si
schiera neutrale, in 150.000 sono costretti a tornare alle proprie
città natali.
Dopo qualche anno, la stipulazione di trattati
bilaterali cominciò a svilupparsi. Il 10 maggio 1916, l’Italia
firmò, sempre con la Francia, un trattato che prevedeva uno scambio tra
manodopera e carbone. L’Italia, si impegnava a fornire un certo numero
di lavoratori per esigenze belliche alla Francia, quest’ultima, a sua
volta, si impegnava a far si che le compagnie minerarie del paese
cedessero al governo italiano, mantenendo i prezzi francesi, un
determinato quantitativo di carbone per ogni giornata di presenza degli
operai italiani nelle miniere.
La fine della Prima Guerra Mondiale lascia
distruzione e rovine in tutta l’Europa. La Francia comincia la sua
ricostruzione ma scarsa è la quantità di manodopera e molti italiani
andati via tornano e a questi se ne aggiungono altri. Inizia in questa
fase l’afflusso dal meridione d’Italia.
Il 30 settembre 1919 rappresenta una data
fondamentale nella storia dell’emigrazione italiana. In questo giorno
si stipulò un vero e proprio trattato di lavoro tra i due paesi, si
sostituì al criterio di reciprocità il principio della
parità di trattamento degli emigranti rispetto ai nativi, abolendo
così lo spiacevole caso degli italiani sottopagati pur lavorando molto.
L’Italia, approfittando delle condizioni
internazionali favorevoli, ossia l’alleanza con la Francia e il suo
urgente bisogno di manodopera per la ricostruzione, pretese chiare
garanzie in merito non solo alle specifiche questioni del lavoro, come
salari, orari, ma anche a questioni come l’assistenza medica e
ospedaliera, la scuola, le pensioni.
Tuttavia, in questo periodo, le condizioni alla base
del fenomeno migratorio cambiano. In questi anni, infatti, si passa da
una fase di libera emigrazione a una di emigrazione
regolamentata, sia da parte del paese di origine che da quello
accogliente. I primi, pur favorendo gli espatri, mirano a ottenere
sempre maggior tutela degli emigrati oltre il confine nazionale; gli
altri puntano a ridurre e a selezionare i flussi di manodopera dall’estero,
attenti a non deprimere le condizioni occupazionali dei nativi.
Nel 1945, alla fine della Seconda Guerra Mondiale,
mentre gli altri paesi europei erano alle prese con una carenza di
lavoratori per la ricostruzione, l’Italia, che aveva urgenza di far
emigrare un numero cospicuo di manodopera disoccupata approfittò di
questa interessante situazione internazionale e diede il via alla
liberalizzazione della circolazione delle persone.
Nel
bel paese, infatti, era tanta la qualità di manodopera disoccupata che
poteva minacciare gli equilibri politici e sociali del paese che si fece
passare in secondo piano l’impegno per la tutela degli emigrati all’estero,
implicitamente restava il principio della parità di trattamento.
Dopo il secondo conflitto molti furono gli italiani
che varcarono il confine francese in cerca di fortuna, nei piccoli
centri o nelle grandi città. Emigrare non era più così semplice, si
arrivò, infatti, a una fase di emigrazione assistita, ossia una
disciplina concordata dei flussi migratori, predeterminati in qualità e
quantità, si accedeva al paese dopo una selezione professionale e
sanitaria.
Le relazioni tra francesi e immigrati italiani, all’epoca,
erano spesso difficili. Si rimproverava agli italiani di mangiare il
pane dei francesi e il fatto che l’Italia fosse stata alleata con
la Germania aggiungeva dei motivi di rimprovero e di rifiuto nei
confronti dei nostri connazionali.
Nella seconda metà del ‘900, precisamente dal
1958, la domanda europea di manodopera crebbe a dismisura e per diversi
anni l’immigrazione affluì non solo verso gli impieghi temporanei
nell’edilizia o nell’agricoltura, ma in quantità ancora più
cospicua in quelli disponibili nelle grandi fabbriche della produzione
di automobili, macchinari, elettrodomestici e altri beni di consumo.
Tra il 1958 e il 1963 oltre un milione e mezzo di
persone lasciarono il meridione d’Italia, per l’emigrazione italiana
fu una vera e propria rivoluzione.
L’entroterra
siciliano e l’immigrazione
"L’Italia aveva bisogno dell’emigrazione,
perché giammai l’eccedenza del suo sviluppo demografico avrebbe
potuto essere assorbita dal prevedibile sviluppo della sua industria e
della sua agricoltura.
Quanto alla Sicilia, poi, più che di una necessità,
doveva parlarsi di una condizione vitale imprescindibile. L’isola non
aveva oro, argento o ferro, non aveva petrolio né metano, non aveva
nemmeno acqua sufficiente per irrigare e fertilizzare le sue terre. Il
problema dell’eccedenza demografica isolana, insolubile per altra via,
andava posto e risolto, dunque, soprattutto con l’emigrazione."
L’immigrazione italiana è argomento ormai noto, Italia
terra di emigrazione, è una definizione che oggi non stupisce più,
poiché la storia del nostro paese ci ha abituato a questa situazione.
La Sicilia, in particolare, è stata una delle tante
regioni di Italia a essere stata investita da quest’ondata migratoria
che ha spinto una grande massa di disperati verso differenti paesi e
verso la Francia.
Le
cifre sono sconvolgenti "… dei 400.000
emigrati siciliani, 180.000 si sono trasferiti all’estero, di cui
120.000 oltremare, e circa 91.000 in Francia."
Sarebbe un lavoro immane trattare per intero la
storia del fenomeno migratorio siciliano, mi limito per questo a
scegliere una provincia in particolare, Caltanissetta, le cui zone
limitrofe, sono state caratterizzate, probabilmente, dal maggior numero
di abitanti espatriati all’estero e, tra le loro tante destinazioni,
la Francia.
Sutera,
Mussomeli, S. Cataldo, Campofranco, sono alcuni dei piccoli centri che
hanno subito il fenomeno migratorio e non sono gli unici, restringo
ancora di più il campo e mi concentro su un paesino in particolare,
scelto non a caso e che sarà argomento fondamentale del mio lavoro:
Montedoro.
Montedoro: un
paese disperso
Piccolo
paese situato nel cuore della Sicilia, in provincia di Caltanissetta da
cui dista circa trenta kilometri, Montedoro
sorge in una zona collinare, posta a 450 metri
sopra il livello del mare.
Il suo territorio ha una superficie di 14.14 Kmq
ed è bagnato dal Salito e dal tortuoso torrente Gallodoro, che sfocia
nel fiume Platani.
Il paese nacque nel feudo Balatazza nel 1635 per
opera di Diego Aragona di Tagliavia, duca di Terranova.
Successivamente appartenne alla famiglia Pignatelli, che vi fece
affluire gente proveniente dai vari centri vicini.
La famiglia Pignatelli tenne la signoria di
Montedoro, attraverso le varie discendenze, fino al 1812 anno in cui
fu abolita la feudalità in Sicilia.
Di origini agricole, il piccolo borgo, ha vissuto
un periodo di grande sviluppo dalla seconda metà del XIX secolo,
quando nel suo territorio, alcuni contadini casualmente scoprirono lo
zolfo, minerale che cambiò la vita del paese.
Come tutta la zona interna della Sicilia, infatti,
anche Montedoro era particolarmente ricca di giacimenti di zolfo
su cui giaceva tranquilla e beata dalla sua
fondazione, ignara dell'immensa ricchezza che si nascondeva nel
sottosuolo .
Per oltre un secolo, dal primo decennio del 1800,
Montedoro visse una frenetica corsa a quello che fu definito oro
giallo. Dal 1815, infatti, molte miniere si impiantarono e
cominciò l’attività di estrazione dello zolfo, che fu una delle
risorse più proficue oltre all’agricoltura e l’allevamento.
Nadurello, Stazione Sociale, Gibellini, sono alcune
delle miniere che nacquero nei pressi del paese e che diedero per
circa due secoli lavoro ai montedoresi e agli abitanti delle zone
vicine. Il lavoro nelle miniere era molto pericoloso, all’epoca non
esistevano leggi che salvaguardavano i lavoratori e la loro
incolumità. La totale assenza di controlli e normative, è
testimoniata dal fatto che anche i bambini lavoravano nei giacimenti.
I carusi,
termine che in siciliano indica i bambini, erano giovani ragazzi
inseriti nel lavoro delle miniere, la loro particolare mansione, era
di trasportare le pietre di zolfo dal sottosuolo all’esterno.
I bambini erano venduti dalle famiglie povere al picconiere,
che li prendeva con sé a lavorare e offriva loro alloggio e un tozzo
di pane imbevuto nell’olio dei lumi.
Di ciò è testimonianza la lirica seguente:
È GIALLO IL PANE DEL SUD
Un rantolo, e tacque!
Per sempre.
Le viscere di quella miniera che pane offrirti doveva,
dolore e morte ti diede,
imberbe "carusu" del sud.
Disceso con tanta speranza leggero, pesante
salivi
tra atroci dolori, rantoli, affanni e sudori,
e poi morte nel giovane cuore.
La mamma, già nera di veste per lutti passati e
futuri,
in braccio ti tiene tra i fumi odoranti di zolfo e di morte.
E' giallo il pane del sud!
(Federico Messana)
Montedoro fu il primo comune siciliano a occupare il
primato mondiale dell’estrazione e lavorazione dello zolfo fino al
1890, anno in cui cominciò a pesare la concorrenza delle miniere in
America. Tale inaspettato antagonismo mutò gravemente le condizioni
economiche e sociali del paese. Negli anni successivi avvennero i primi
licenziamenti, si abbassarono gli stipendi dei lavoratori, cominciarono
i primi scioperi e molti montedoresi iniziarono a emigrare verso il sud
della Francia, Lione e dintorni.
I flussi migratori continuarono negli anni, fino ad
arrivare alla seconda metà del ‘900, quando avvenne una migrazione
massiccia di contadini e minatori.
Siamo alla fine della II Guerra Mondiale, le sommosse
dei contadini ridotti alla miseria indussero il governo a varare la Riforma
Agraria grazie alla quale, espropriando e frazionando le terre dei
latifondisti, si donava una piccola porzione a famiglia, in modo tale da
garantire a tutti un minimo di provvigioni. Tale iniziativa,
inizialmente accolta con grande successo, poiché permetteva la
sopravvivenza di tanti, si rivelò poco efficace, poiché con il tempo
quel piccolo appezzamento donato, non fu più sufficiente.
Due date in particolare segnarono la storia del
borgo, anni in cui si è registrato il maggior numero di partenze da
Montedoro:
1947: E’ il periodo del dopoguerra, fame e miseria
sono disseminate ovunque. Come se la mano dell’uomo non avesse già
portato disagi e povertà, anche la natura si unì e mise in ginocchio
Montedoro. Fu un anno di grande siccità nel paese che determinò il
primo flusso consistente di emigrati, che spesso si spostavano all’estero
in siti minerari dove potevano continuare il mestiere intrapreso nel
paese di origine.
1956: Già dagli anni ’50 le emigrazioni
diventavano sempre più numerose e in quest’anno, un altro periodo di
forte siccità, che non diede al paese il tanto atteso raccolto, da il
via al secondo grande flusso migratorio.
Nel 1975, le miniere, che avevano reso tanto
laborioso il paese, sono abbandonate all’incuria tempo, oggi di loro
rimangono solo dei ruderi suggestivi e delle sculture in pietra che, se
da un lato adornano le vie del piccolo centro, dall’altro danno valore
e merito a questo duro ma dignitoso mestiere e a quanti hanno dato il
loro sofferto contributo.
Un’associazione
italiana a Lione
Nei due capitoli precedenti ho esaminato il fenomeno
migratorio rilevando le cause dello spopolamento di un intero paese
siciliano e indagando il passato degli emigranti spesso drammatico ma
degno di rispetto. Richiamare alla memoria le loro vicessitudini è
stato un modo semplice per ridare a questa gente la dignità che spesso
la storia ha loro calpestato.
Tuttavia credo anche che sia importante scoprire cosa
sia avvenuto dopo la partenza dei montedoresi, cosa il futuro gli abbia
riservato a Lione, quanto oggi sia rimasto dell’esperienza vissuta e
come questa li abbia plasmati nella loro identità e personalità.
La storia
Emigrati in Francia i montedoresi non persero mai l’abitudine,
acquisita nel paese d’origine, di riunirsi e mantenere tra loro un
legame stretto. Erano soliti ritrovarsi per una passeggiata domenicale
a Place Bellecour, piazza principale di Lione e ogni occasione
diventava un momento di incontro: matrimoni, battesimi, comunioni.
Sin dagli anni ’60, quando giunsero i primi
emigranti nelle zone limitrofe di Lione, ricche di industrie e povere
di manodopera, non esisteva un’istituzione che li manteneva uniti.
Nel 1967 un tragico incidente stradale che costò
la vita a un’intera famiglia di siciliani che si stava recando a
Grenoble per rinnovare il passaporto, fece nascere negli anziani la
voglia di unirsi in un gruppo. In quello stesso anno, le tante
famiglie montedoresi residenti nei comuni di Décines, Meyzieu,
Vaulx-en Velen, poco lontani da Lione, si unirono per dare sostegno e
solidarietà alla famiglia colpita da tale disgrazia. Questo
sentimento di fratellanza sarà e si manterrà come principio costante
nell’associazione, il cui obiettivo originale era di offrire un
supporto morale, materiale e culturale alla comunità italiana.
"L’anno millenovecentosessantasette il
giorno 9 del mese di luglio si sono riuniti in assemblea circa 60
emigrati italiani di diversi paesi abitanti nei comuni di Décines,
Vaulx-en Velin e Meyzieu in un locale di un vecchio teatro sito a
Décines per discutere sulla formazione di un circolo che abbia i
seguenti scopi:
- Soccorso economico e morale alle famiglie dei soci colpiti da
mortalità e sciagure
- Creazione di un ufficio assistenziale.
- Promuovere incontri e conferenze a scopi culturali e di
reciproca comprensione con i francesi
- Arricchire la sede del circolo con una biblioteca accessibile
a tutti i soci
Fu
allora che nacque il circolo franco-italiano, la cui sede sarà a
Meyzieu, rue Girandin.
Con il tempo, i diversi presidenti e i membri del
circolo capirono che oltre all’aspetto solidale, l’associazione
doveva rappresentare uno strumento per mantenere stretto il legame con
la terra d’origine e la cultura tradizionale.
Un articolo di un giornale, conservato con cura
insieme ad altri nei locali del circolo, a tal proposito afferma:
"L’association a pour vocation de faire vivre
la culture méditerranéenne"
Oggi l’associazione, che ha già festeggiato il suo
quarantesimo anniversario, può vantare un grande prestigio, dato dall’abile
lavoro e dedizione del suo presidente in carica dal 2005, Calogero Pace,
conferito del titolo di Cavaliere e Ambasciatore di cultura siciliana,
uomo tanto brillante quanto modesto, che, abbandonando la sua
sfavillante carriera come imprenditore per dedicarsi al circolo, ha
saputo creare, insieme ai suoi collaboratori, una trama di relazioni con
tutti i compaesani sparsi per il mondo, con le autorità francesi,
italiane e montedoresi, in un rapporto di costante e reciproco di
dialogo e collaborazione.
Chiaro
esempio di questa unione è dato dall’inaugurazione, il 10 Marzo 2007
di una piazza, di fronte ai locali del circolo chiamata Montedoro, di
contro nel paese siciliano, questa estate, durante la prima domenica del
mese di Agosto, quando molti emigrati torneranno in occasione della
festa del patrono, S. Giuseppe, sarà inaugurata una strada che
prenderà il nome di Via Meyzieu.
Il circolo che conta un consistente numero di soci,
è un’istituzione molto attiva sul territorio, sono diverse le
attività culturali, sportive e ricreative organizzate, che hanno un
duplice scopo: ritrovarsi per integrarsi nel modo di vita francese e
tramandare usi e costumi alle nuove generazioni.
È proprio a questi ultimi, ai giovani appartenenti
alle terze e quarte generazioni, francesi a tutti gli effetti ma dalle
radici italiane, a cui sono destinate una serie di attività, come la
squadra di calcio, un corso di cucina, un corso di italiano e di
siciliano che hanno il sotteso compito di avvicinarli e integrarli nel
circolo per assicurarne la sua continuità nel tempo.
Importante all’interno dei locali del circolo,
così come per i soci, giovani o adulti che siano, sono i simboli
identitari. Le pareti dell’associazione sono arricchite con la cartina
dell’Italia, della Sicilia, lo stemma di Montedoro, un quadro
con l’effige di Garibaldi, foto di un recente passato e foto di vecchi
e nuovi soci. Un particolare che mi ha profondamente colpito è stato
notare appese al collo di molti giovani una collana il cui ciondolo era
la Sicilia in miniatura. Simboli che non hanno bisogno di essere seguiti
da nessun commento.
Il tema dell’identità
e l’aspetto linguistico
Durante una delle mie visite al circolo ho avuto il
piacere di incontrare il presidente, Calogero Pace, con il quale mi sono
intrattenuta a conversare e a scoprire questa piccola realtà italiana
in Francia.
Tra i tanti aspetti trattati, uno che in particolare
ha catturato la mia attenzione è stato quello riguardante l’identità
personale.
Gente che, per scelta o per necessità, ha lasciato
il proprio paese e si è stabilita altrove, in un’altra nazione di cui
ormai è diventata cittadino a tutti gli effetti, dietro quale identità
si cela e le nuove generazioni, in quale delle due nazioni si
rispecchiano maggiormente, questi i quesiti che da tempo mi chiedevo.
Una domanda, da me ritenuta banale ha invece aperto
una discussione tanto ampia quanto complessa:
Chi oggi vive da tempo a Lione, si sente più
italiano o più francese?
Di primo acchito la sua risposta è stata:
Francese in Italia e italiano in Francia ossia
straniero ovunque.
Alla mia iniziale espressione di stupore è seguita
una sua delucidazione che può essere così riassunta.
Gli emigrati, soprattutto quelli appartenenti alla
prima generazione, hanno vissuto una serie di fratture di identità che
si sono mantenute nel tempo. Abbandonare la propria terra di origine e
tutto quello che aveva caratterizzato fin ad allora la loro vita, ha
comportato la prima grande frattura e il primo grande dramma personale.
Arrivati in Francia, in tanti hanno vissuto lo scontro tra la cultura e
la mentalità di origine, un modo di pensare chiuso e rigido tipico all’epoca
di un piccolo centro interno della Sicilia, e quella trovata nella nuova
città. L’ennesima frattura avveniva quando, ritornando in Italia, al
paese di origine, in tanti non si riconoscevano più in quella
mentalità, in quella realtà che con il tempo si era evoluta, un
cambiamento che non ha coinvolto chi si trovava all’estero che ha
cercato, al contrario, di mantenere intatta l’ideologia
originariamente assimilata.
Come qualsiasi altro emigrante, anche i montedoresi
sono entrati in quello che è definito "Processo di
Cristallizzazione" della mentalità, di usi e costumi acquisiti
in una fase precedente alla migrazione, dimostrando, di contro, un
atteggiamento di distacco nei confronti di tutto quello che rappresenta
la nuova realtà in cui vivono.
"Delle Cristallizzazione, credo sia opportuno
non tacere il tratto di consapevolezza. Perché questi migranti sono
consapevoli di fare riferimento, nel vissuto privato e sociale, a una
cultura italiana che è una cristallizzazione nell’allora dell’altrove,
mentre in quell’altrove la cultura si è trasformata divenendo un’altra
cultura, per molti aspetti irriconoscibili e incomprensibili. Perché
era inevitabile che, al primo ritorno a "casa" dopo anni di
continuata assenza, il reduce, esperendo il senso di esclusione rispetto
alla sua terra e alla sua gente, l’una e l’altra ormai
irrimediabilmente diverse, acquisisse consapevolezza sia dell’altrui
cambiamento sia della propria cristallizzazione.
Che si acquisisca consapevolezza della
cristallizzazione non equivale, tuttavia, a metterla in discussione o a
rigettarla, ma piuttosto a trasformare un orientamento spontaneo in una
strategia di confronto con il proprio senso di estraneità e di
frantumazione biologica."
In molti vivono, dunque, con una costante lotta
interiore tra le diverse identità, francese che ormai in modo spontaneo
hanno interiorizzato e italiana, rimanendo poi, in effetti, fuori sia
dall’una che dall’altra, in una dimensione ibrida.
Questo forte legame con l’identità d’origine
prende forma in diversi aspetti della vita. Non è un caso che, come
spesso è successo, gli emigrati montedoresi abbiano scelto come
consorte una persona proveniente dallo stesso paese o comunque della
zona circostante.
Altro aspetto interessante da analizzare e che si
ricollegale all’identità creatasi prima di migrare è l’aspetto
linguistico.
I primi a partire da Montedoro, sono arrivati in
Francia conoscendo come lingua il siciliano e lì hanno appreso, chi in
modo spontaneo, chi frequentando delle scuole il francese. Le
generazioni successive, nate in Francia ne hanno appreso la lingua
nazionale e sono stati inseriti sin da piccoli in ambienti dove si
parlava frequentemente il dialetto.
All’interno del circolo dunque sono due le lingue
utilizzate e in questo melange di francese e siciliano, la lingua
italiana è timidamente usata. L’italiano è una lingua molto amata ma
che, in effetti, non è ben conosciuta da molti, soprattutto gli anziani
e i giovani. Per fronteggiare questa mancanza, l’associazione ha
organizzato un corso di italiano, che si tiene una volta alla settimana
presso i suoi stessi locali. Un pomeriggio in cui mi trovavo al circolo
ho avuto il piacere di conoscere gli allievi del corso con i quali mi
sono intrattenuta un po’ a parlare. Incuriosita da quali fossero i
motivi che li avevano spinti a imparare l’Italiano, scoprii che, molti
erano di origini italiane e avevano voglia di riallacciarsi al loro
passato partendo proprio dalla lingua; altri ancora erano mossi da una
pura e semplice passione per l’Italia, per la cultura italiana e
contavano su questo corso per ampliare le loro conoscenze.
Documenti
realizzati e storie di vita
Il circolo franco-italiano si è impegnato in questi
anni nella realizzazione di due importanti e meritevoli progetti, un
libro e un film-documentario, il cui scopo è, in un percorso a ritroso
nel tempo e nello spazio, dare omaggio e risonanza alle esperienze di
vita dei soci, protagonisti del fenomeno migratorio siciliano.
Con queste parole Calogero Pace, presidente dell’associazione,
mi ha spiegato l’origine di questi lavori:
"In una piovosa giornata di Agosto, vidi tre
ragazzi vagare in modo confuso nella piazza di Montedoro, mi avvicinai e
chiesi se potevo aiutarli. Erano americani e mi dissero che si trovavano
nel paese perché erano alla ricerca delle loro origini.
Questa motivazione mi colpì e pensai che, tra
qualche anno, forse anche i miei nipoti si porranno la stessa domanda,
da questo episodio nacque in me la voglia di raccontare la vita di
questa gente che, dopo aver taciuto per cinquanta anni sulla loro
storia, hanno trovato l’occasione e la voglia di parlarne
spontaneamente"
Il documentario L’Ile Orpheline (Vacances
Siciliennes) - L’isola orfana (Vacanze Siciliane), pubblicato nel
2005 in due versioni, italiano e francese, è stato realizzato da Daniel
Pellagra, professore di antropologia presso l’Université Lumière
Lyon2 e prodotto dal circolo franco-italiano di Meyzieu e dall’associazione
Pleuplement & Migration, in collaborazione con D.R.A.C. (Direction
Régionale des Affaires Culturelles) di Rhône-Alpes, con F.A.S.I.L.D. (Fonds
d’Action et de Soutien pour l’Intégration et la Lutte contre les
Discriminations), con il comune di Vaulx-en Velin e del comune di
Montedoro.
Vincitore di alcuni premi e ricompensato da un grande
successo, il film propone il viaggio inverso fatto alle origini dagli
emigranti da Montedoro alla Francia. Punto di partenza è, infatti, la
periferia di Lione, quei comuni che hanno accolto coloro che fuggirono
dalla Sicilia, definita dalla voce narrante "terre
ingrate" e "mère ingrate"
che non è riuscita a tenere stretti a sé i suoi figli, permettendo
loro di trovare una nuova vita altrove. Oltre ad un percorso fisico, è
soprattutto un viaggio interiore di ogni protagonista, è un modo per
dare voce a tanti che hanno vissuto lo sradicamento dalla terra con la
quale mantengono comunque un rapporto molto stretto.
Dopo una suggestiva introduzione che evoca il
difficile viaggio affrontato dagli emigranti, la parola è data ai primi
che arrivarono a Lione. Uomini e donne, il cui volto è provato dal
passare del tempo, dalla fatica e dalla sofferenza vissuta, si
confessano, come mai fino ad allora, le loro storie sono cariche di
amarezza e spesso di rabbia. Circondato dagli altri soci del circolo che
ascoltano in rispettoso silenzio, ognuno di loro, uno per volta, con gli
occhi un po’ lucidi, racconta la propria esperienza, le pene patite e
le gioie provate. Alcuni descrivono il duro viaggio affrontato per
raggiungere i luoghi, come la testimonianza di una donna che ha
attraversato clandestinamente il confine italiano attraverso il
Moncenisio:
"On a marché pendant deux jours; la nuit on est
resté en haut dans la mointahne, à vomir (…) car on avait rien dans
le ventre, avec des parquets, des valises dan les mains, tout ça.
Après avoir passé le Mont Cenice on a marché à pieds, car on avait
peur que si on se mettait sur le train on se faisait rattrapepr à
nouveau…"
Altri descrivono le fatiscenti strutture dove vissero
i primi anni, altri evocano con tristezza i pregiudizi razziali vissuti,
quando gli italiani erano definiti macarroni, altri ancora
ricordano le difficoltà economiche e linguistiche incontrate.
Toccante è il momento in cui il signor Sciandra
Vincenzo intona la Canzone dell’emigrante in dialetto
siciliano, riporto di seguito una parte nella versione italiana:
"Nel 1946, il 3 agosto, sono partito da
Montedoro per venire in Francia con soltanto due chili di ceci, non
avendo nemmeno pane, con la speranza che la mia vita sarebbe cambiata
grazie al lavoro.
Guardate che fortuna: lavoro in fonderia. Mamma mia,
c’è un fuoco d’inferno che brucia la mia proprietà (la mia pelle).
I soldi che guadagno non bastano per pagare l’albergo. Non posso
economizzare nemmeno un soldo, perché una volta pagato l’albergo,
stringo la cintola e mi gratto la testa …"
Al termine, la parola passa ai migranti della seconda
generazione ossia i figli degli emigranti montedoresi, i quali, su
posizioni diverse, rivendicano il loro sentirsi più italiano o più
francese.
Chiusa questa pagina di storie di vita, si
concretizza il viaggio, dalla piazza di Décines un pullman carico di
persone, parte per un lungo viaggio alla volta di Montedoro.
Devo ammettere che questa del viaggio è una delle
parti più suggestive del documentario. Nel lungo percorso di
attraversamento del confine e discesa della penisola italiana, tra i
paesaggi che cambiano, questo ritorno a casa lo si può intendere come
un riappropriarsi delle proprie origini.
Le immagini di un piccolo borgo arroccato su una
montagna, lasciano intendere l’arrivo al paesino, che nel giro di
qualche giorno si popola di tante automobili con la targa straniera,
segno di come il periodo estivo sia ormai un momento di ritrovo per la
comunità sparsa nel mondo.
Il documentario a questo punto apre un momento
storico, il sindaco e altre alte personalità illustrano la situazione
sociale e storica del paese del passato con sguardo critico al presente.
Altra parentesi molto interessante è quella dedicata
alla storia delle miniere e loro descrizione, un tempo fonte di
ricchezza e operosità, oggi soli ruderi e silenzi.
L’ultima parte del film, intervallato dalle tante
testimonianze degli immigrati, tra cui un gruppo proveniente dall’America,
è dedicata alle celebrazioni in onore del patrono, San Giuseppe. Dopo
una giornata di funzioni religiose, la sera ci si riunisce in piazza e
si festeggia il momento dedicato a tutti coloro che per qualche mese l’anno
ripopolano le vie del paese, gli emigranti.
Il fenomeno migratorio Montedorese, se da un lato ha
aiutato il paese a sopravvivere al periodo di crisi, dall’altro ha
decretato un impoverimento della popolazione, oggi è comunque
rivalutato. Giuseppe Piccillo sindaco di Montedoro, sottolinea come l’emigrazione
oggi sia una grande risorsa perché gli emigrati, facendo conoscere il
paese di origine, sono diventati ambasciatori nel mondo.
A conclusione della festa, l’immigrazione sembra
essere una speranza per le sorti del paese. In un accorato invito a
mantenere sempre questo stretto il rapporto con la propria terra, senza
il quale il paese è destinato a spegnersi, il sindaco, infatti,
afferma:
"Voi siete il nostro mondo! Io spero che
Montedoro rimanga il vostro mondo, ma non per fare un’operazione di
nostalgia, non per chiudere dentro la "valigia Montedoro"
qualcosa che forse Montedoro non è più. Vorrei, insieme a tutti,
finire di considerarla la festa dell’emigrato, vorrei che dal prossimo
anno la chiamassimo diversamente, magari la Festa di Montedoro e dei
montedoresi. Voi siete stati coloro che hanno testimoniato la nostra
civiltà all’estero, però credo che questo non basti. Voi dovete
essere anche coloro che ci aiutano a progettare un futuro migliore.
Montedoro sta subendo un periodo di involuzione, sociale, economica,
molti dei giovani ricominciano a partire … Montedoro si sta
spopolando. Montedoro non ha non ha grandi prospettive di sviluppo
economico, ma Montedoro ha tante cose da potere mostrare, dalla natura
al patrimonio artistico. Aiutateci!"
La mattina seguente è già ora di ripartire,
conclusi i saluti, in un’immagine fortemente malinconica, il pullman
lascia la piazza del paese e Montedoro torna al suo silenzio in attesa
della successiva estate.
Il film-documentario è stato presentato la prima
volta proprio a Montedoro, a un pubblico di circa trecento persone. La
seconda visione ha riguardato la Francia, è stato proposto il film ai
soci del circolo franco-italiano, circa duecento persone, durante la
serata intitolata "En honneur des anciens" Ad un
iniziale atteggiamento di scetticismo soprattutto dei montedoresi in
loco, si è passati a una fase di grande successo e risonanza dei media.
Un articolo, che trattava l’argomento, così era titolato:
Emotions, larmes et joies au cercle franco-italien.
Contemporaneamente alla presentazione del film è
stato realizzato un libro dal titolo Droit de mémoire après 50 ans
d’émigration de la communaité de Montedoro- Diritto di memoria dopo
50 anni d’emigrazione della comunità di Montedoro, realizzato dal
circolo franco-italiano di Meyzieu, dall’associazione Pleuplement
& Migration, con il sostegno di D.R.A.C. e F.A.S.I.L.D.
L’opuscolo, parte iniziale di un progetto in
cantiere ben più ampio è una raccolta fotografica, completata da testi
in lingua italiana e francese, che ripercorre lo spostamento migratorio
da Montedoro in Francia.
È dunque un viaggio fotografico alla scoperta del
paese ai tempi delle prime migrazioni, delle famiglie coinvolte e della
vita nuova che nei comuni il vicino a Lione molti hanno trovato. Le
tante foto sono intervallate da testimonianze reali di soci del circolo
che, con molto coraggio e umiltà ricordano l’arrivo in Francia e le
difficoltà dei primi tempi in terra straniera. Di ciò è dimostrazione
il brano che segue:
"Sono arrivato in Francia il 5 agosto 1946. Con
altri compaesani, abbiamo passato clandestinamente le montagne. Per
poter partire da Montedoro e fare il biglietto del treno, ho dovuto
vendere il grano che avevano i miei genitori. Arrivato a Modana, la
polizia mi ha preso tutti i documenti e mi hanno consigliato di
ritornare al mio paese. Per fortuna, ho subito trovato un poco di lavoro
con altri due emigranti. Il datore di lavoro ci ha alloggiati in una
casa vecchia, riscaldata in modo precario e pericoloso. Infatti, a causa
delle emanazioni dei gas, i miei due compagni sono morti. Per fortuna io
sono rimasto vivo.
Arrivato a Décines, ho avuto un contratto di lavoro,
grazie all’intervento di un prete. Dopo sei mesi, ho ricevuto un
telegramma di mia mamma che aveva passato anche lei la montagna con
altri tre compaesani. Con mio cognato Salvatore Sorce siamo partiti per
andare a cercarli e portarli a Décines. A Chambèry, mio cognato è
stato arrestato dalla polizia perché la sua carta di soggiorno era
scaduta. A Modane ho ritrovato mia madre. Dopo molte peripezie, sono
riuscito a fare liberare mio cognato e siamo partiti in taxi per
Décines. Grazie alle mie conoscenze, molti miei compaesani sono stati
impiegati alla Lyonnaise."
Conclusione
Si conclude così, con una testimonianza reale di
vita di uno dei tanti membri del circolo, il mio lavoro alla scoperta di
questa piccola realtà italiana conosciuta a Lione. Non è un caso che
abbia voluto inserire questo testo come parte finale. Ritengo sia
giusto, infatti, non dimenticare cosa per molti italiani sia significato
emigrare e quante difficoltà abbiano dovuto affrontare per realizzare
il sogno di una vita dignitosa.
Giunta nella città per svolgere un importante stage,
in mente l’idea di scoprire il circolo menzionato in un libro, non
avrei mai creduto che tale personale iniziativa si sarebbe rivelata un’esperienza
affascinante, che oltre ad arricchire le mie conoscenze sull’argomento
che da anni intendevo approfondire, ha contribuito ad accrescere il peso
del mio bagaglio di esperienze personali.
Il viaggio a Lione, la scoperta del circolo
Franco-Italiano, l’incontro con alcuni dei suoi membri, conosciuti all’interno
dell’associazione e nell’intimità delle loro case e delle
rispettive famiglie, la mia partecipazione ad alcune delle loro feste,
tutto questo e molto altro porterò sempre con me. Erroneamente credevo
che, a distanza di anni e di kilometri, nella vita di coloro che hanno
lasciato per bisogno la propria terra, diventando cittadino di un'altra
nazione, poco presente fosse l’Italia e la rispettiva città natia. Al
contrario ho scoperto una comunità animata da una forte passione per la
nazione di origine, da una voglia irrefrenabile di mantenere salde le
radici della propria cultura, lingua e tradizioni. Gente che, sebbene
abbia vissuto il dramma dello sradicamento non ha mai rinnegato la
propria terra, che è stata ingiusta nei loro confronti. Incontro dopo
incontro è stato un crescere di emozioni, culminate nella commozione
alla visione del film-documentario. Le loro storie, la loro voce, i loro
sguardi commossi ricordando la loro esperienza e ascoltando il racconto
personale di un amico, l’orgoglio di essere riusciti a concretizzare
il loro sogno dopo le difficoltà patite, la loro gioia di sentirsi
ancora parte integrante e viva di un’Italia che spesso pare averli
dimenticati. Dalle emozioni che in modo semplice quanto modesto mi hanno
trasmesso, è nata la voglia di incentrare su questa realtà il mio
lavoro, che spero sia riuscito, a suo volta, a trasmettere interesse e
suggestione.
Nella speranza di ritrovare presto i membri del
circolo, credo sia doveroso qualche ringraziamento. Al presidente
Calogero Pace, con cui ho trascorso un piacevole pomeriggio nel quale mi
ha fornito tante informazioni e che mi ha dato la possibilità di
conoscere la sua gran bella famiglia; al Signor Angelo Borruso, colui
che mi ha accolto alla mia prima visita al circolo e che da subito mi ha
trasmesso il calore e la disponibilità dell’associazione; al
vice-presidente Giuseppe Bufalino, che mi ha invitato ai tanti eventi
dell’associazione e con il quale, durante una festa, mi sono divertita
a ballare il cha cha cha e la tarantella; al signor Giuseppe Carlotta,
persona estremamente gentile e premurosa che ha fatto di me un membro
della sua famiglia; ai ragazzi dell’associazione, con i quali ho
trascorso piacevoli ore in giro per Lione, alle donne dell’associazione
che mi hanno accolto come una di loro, a voi tutti e all’intero
circolo un semplice, ma profondo grazie, per quello che rappresentate e
per tutto quello che mi avete trasmesso.
Bibliografia
NICASTRO C., La terra chiama Storie di emigranti,
Caltanissetta, Comitato comunale per l’emigrazione e l’immigrazione
Sutera, 1992.
MANZONI Y., D’Italie et de France, récite de migrants en
Dauphiné, 1920-1960, Grenoble, Presses universitaires de
Grenoble, 2001.
COMITATO NAZIONALE "ITALIA NEL MONDO", Storia dell’emigrazione
italiana -Arrivi-, a cura di Pietro Bevilacqua, Andreina De
Clementi e Emilio Franzina, Roma, Donzelli Editore, 2002.
COMITATO NAZIONALE "ITALIA NEL MONDO", Storia dell’emigrazione
italiana -Partenze -, a cura di Pietro Bevilacqua,
Andreina De Clementi e Emilio Franzina, Roma, Donzelli Editore 2001.
STORIA ECONOMICA DI SICILIA TESTI E RICERCHE RENDA F., L’emigrazione
in Sicilia 1652-1961, Caltanissetta, Salvatore Sciascia
Edizione, 1989.
BRANCATI A., Popoli e Civiltà 3, Firenze La Nuova Italia,
1997
FLORIANI S., Identità di frontiera: migrazione, biografie, vita
quotidiana, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore srl, 2004
Fonti
elettroniche
http://www.messana.org
http://cerclefrancoitalien.wifeo.com
http://digilander.libero.it/sicilianamente
http://www.messenia.com/comuni/comune/Home.asp?com=598
Indice
Introduzione
3
L’immigrazione
italiana in Francia e la nascita della politica d’emigrazione
6
L’entroterra
siciliano e l’immigrazione
11
Montedoro:
un paese disperso
12
Un’associazione
italiana a Lione
16
La
storia
16
Il
tema dell’identità e l’aspetto linguistico
19
Documenti
realizzati e storie di vita
22
Conclusione
26
Bibliografia
29
Fonti
elettroniche
31
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