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BARBONE MILANESE
Come lumaca che trasloca ognora
seco portando in giro la sua alcova,
e giunge al verde ciuffo lentamente
per lenire la sua fame prepotente,
così il barbone sporco e macilento
trascina il corpo stanco, lento lento,
sperando di trovare in quel bidone
un oggetto e magari un po’ di pane.
Tanti cartoni porta sulla schiena,
un fagotto di stracci in mano manca,
e una busta di avanzi tutta piena
regge con l’altra, mentre lento arranca.
Gira per la città correndo spesso
da un portone a un cortile riparato
da freddo e gelo, sì pungenti adesso
che gennaio alla fine è ormai arrivato.
Nere le mani e neri i suoi capelli,
coperto da un pastrano ormai a brandelli,
calza due scarpe che a vederle bene
assomigliano a bocche di balene.
Triste ti sembra e pure disperato
a vederlo avanzare in quello stato;
ma se lo guardi e lo controlli attento
con un sorriso ti spiega il suo tormento:
"Ero un signore prima che la mente
lasciasse questo corpo ormai cadente,
il mio casato vanta storia antica
e il barone avrei fatto nella vita".
Mentre lo squadri e lo controlli tutto
sgrana gli occhioni in segno di saluto:
e per scordare della vita i tanti guai
si scola un rosso cartone di tocai.
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