La Sicilia preistorica

   Numerosi resti paleolitici rinvenuti in Sicilia, testimoniano la presenza di antichi insediamenti umani; alcune tracce di questi resti sono visibili nelle grotte dell'Addaura, vicino Palermo.
Dislocate in più punti dell'isola, la testimonianze dell'età neolitica raccontano la cultura delle origini: interessanti grotte si trovano, ad esempio, presso gli arcipelaghi delle Egadi e delle Eolie, a Stentinello (Siracusa), a San Cono (Caltanissetta) e a Villafrati (Palermo).

All’età dei metalli si fanno risalire intere necropoli come quelle di Cassibile e di Pantalica.
I reperti più antichi confermano la presenza di identità etniche appartenenti a tre diversi gruppi: elimi, sicani e siculi. Secondo quanto riporta lo storico Tucidide, la Sicilia orientale era popolata dai siculi, il centro dai sicani e l'occidente dagli elimi, essendo non indoeuropei questi ultimi due e sicuramente indoeuropei i primi.
Anche i fenici, di origine semitica, fondano le loro basi commerciali nell'isola a partire dall'età dei metalli.
Dell'età del ferro rimangono tracce di villaggi di capanne, come a Monte Finocchito.
Le zone di maggiore interesse archeologico, attraverso cui leggere la storia di queste popolazioni, risultano essere Solunto, Jato e Himera. In particolare, sul Monte Jato (distante circa trenta chilometri da Palermo) si sono concentrate le ricerche degli ultimi trenta anni. Il prof. Peter Isler, dell'Università di Zurigo guida, dal 1971, un gruppo di archeologi alla scoperta di Monte Jato: gli scavi hanno portato alla luce uno splendido teatro, l'agorà (la piazza), strutture residenziali private, il tempio di Afrodite, le fortificazioni ed altre testimonianze della grande città sepolta.

 Il paleolitico


   Non essendoci pervenute tracce scritte, possiamo interpretare gli eventi relativi alle civiltà preclassiche solamente attraverso i manufatti o le modificazioni dell’ambiente naturale. Gli studiosi sono d’accordo nel ritenere che le manifestazioni artistiche fondano i valori formali arcaici e che questi persistono anche in civiltà successive. In tal senso non ci si può riferire alla prima età della pietra senza considerarne l’arte.

Una delle più realistiche espressioni d’arte rupestre del paleolitico superiore è quella costituita dalle incisioni parietali preistoriche, raffiguranti scene rituali o di iniziazione, ritrovate nelle grotte dell’Addaura, presso Palermo; in cavità naturali come quelle dell'Addaura, l'uomo trova riparo, celebra i primi riti propiziatori, seppellisce i sui morti e disegna graffiti dal significato magico e augurale. Al paleolitico inferiore risalgono arnesi in pietra scheggiata, scoperti ad Agrigento nel 1968. Si tratta di ciottoli scheggiati su una faccia a forma di mezzaluna o di bifronti semplici. Questi oggetti si trovano in abbondanza nell'Africa del nord, sede di importanti esempi di arte cavernicola.
Nel 1950, la grotta della Cava dei Genovesi, nelle Egadi, ha rivelato interessanti disegni di animali incisi e curiose figure antropomorfe stilizzate, dipinte in nero.


 Il neolitico


   La vita nell’età neolitica risale in media all’VIII millennio a.C. e si esprime, per la prima volta, nell’indipendenza dell’uomo dalla natura. L'uomo, infatti, non vive più dei frutti spontanei della caccia, della raccolta o della pesca ma elaborera la domesticazione, l’allevamento del bestiame e l’agricoltura. Tra le conquiste culturali di maggiore rilievo c'è la navigazione, la lavorazione della ceramica e la tessitura.
I primi insediamenti neolitici dell’area mediterranea sono individuati nelle regioni del Medio Oriente e nel basso corso del Nilo, da cui si sono diffuse, in seguito, varie correnti culturali verso l’Occidente.
In Sicilia, così come in Liguria e in Puglia, l'età neolitica ha generato la cultura della ceramica impressa: lo testimoniano siti archeologici noti come, ad esempio, Stentinello, San Cono e Villafrati. In particolare Stentinello deriva il suo nome deriva da un villaggio fortificato situato 5 km a nord di Siracusa, in cui si trovano resti di capanne a pianta rettangolare, vasi di terracotta decorati a impressione (con il punzone o con l’unghia) e utensili litici di selce, basalto e ossidiana.
Non mancano ulteriori resti di civiltà neolitica a Matrensa e Megara Hyblea.

 L'età dei metalli

   Verso il 2500 a.C. appare in Europa occidentale il primo metallo, il rame, che l’uomo fuse con lo stagno ottenendo il bronzo. Con l’età del bronzo si entra nella protostoria, cioè nel periodo di transizione compreso tra i tempi storici e quelli preistorici. Nella Protostoria si elaborano le prime documentazini scritte; a partire da queste documentazioni ricaviamo i limiti cronologici, che variano in relazione ai diversi paesi: nell'Europa occidentale la protostoria coincide con la prima età del ferro.
Gli scavi stratigrafici di Chiusazza, vicino Siracusa, hanno portato alla luce manufatti in ceramica dell’età del rame; questa ceramica è stata classificata in diversi tipi i più antichi dei quali sono anteriori al protoelladico greco e si apparentano ai tipi tardivi del neolitico nella Grecia continentale. La ceramica dei bellissimi vasi monocromi rossi, semi ovoidali di Malpasso, e quella del fiaschetto a collo alto di Monte Sant’Ippolito, si fa risalire ad un tipo noto a Cipro, della prima età anatolica del bronzo.

Durante l’età del bronzo si fa sempre più imponente in Sicilia l’influenza della civiltà micenea, allora nel suo primo sviluppo marittimo ed espansionistico. Appartengono a questo periodo le tombe scavate nella roccia, con ampia cella preceduta da un vano di accesso, rinvenute a Pantalica, a Monte Sant’Ippolito, a Castelluccio e a Cassibile.
L'abbondanza dei reperti ritrovati permette di stabilire una cronologia relativamente precisa. Favorite dalla vicinanza dello Stretto di Messina e dall'esperienza dei propri marinai, le Isole Eolie vivono una brillante rinascita. Negli strati di Capo Graziano (Filicudi) si trovano prodotti egei appartenenti alla fine dell'elladico medio (1580 - 1550) e al miceneo (1550 - 1400 a.C.); si tratta di ceramiche ad impasto piuttosto grossolano, ornate di linee incise e punti, derivate da un prototipo dell'elladico medio del Peloponneso (plimia). Nella stessa zona si trovano armi ed attrezzi di pietra, stampi per oggetti di bronzo e fusi che attestano l'uso della filatura e della tessitura.
In Sicilia, la civiltà detta di Castelluccio sembra contemporanea all'elladico medio e recente (1800 - 1400 a.C.).
Rinvenimenti risalenti alla civiltà di Castelluccio sono le tombe che si presentano come piccole celle arrotondate aperte verso l'esterno da una finestrella che dà su un pozzetto o su una specie di edicola, e chiusa da una lastra, talvolta scolpita con decorazioni a spirale.
Arricchiscono il decoro funerario trovato all'interno di queste tombe, lame in ossidiana, asce in basalto, armi in pietra e statuette sacre. Tipica dell'elladico medio è la ceramica a fondo giallo e rosso, dipinta con linee marroni o nerastre e la ceramica "cappadoce" dell'Anatolia centrale. Di chiara influenza occidentale è il "bicchiere campaniforme" iberico, di cui ritroviamo alcuni richiami nei rinvenimenti della parte nord-occidentale della Sicilia.

Solo alla fine del II millennio a.C. ha inizio l’età del ferro che ha visto la definitiva indoeuropeizzazione delle popolazioni mediterranee della penisola. Tale fenomeno porta alla costituzione, in Italia, di un vero e proprio mosaico di popoli: quelli che parlano lingue pre-indoeurope e quelli che invece usano idiomi di origine indoeuropea. I primi, più antichi, sono stanziati nella fascia tirrenica e nella Sicilia occidentale, gli altri occupano la costa orientale.

I popoli non indeuropei sono invece gli elimi e i sicani nella Sicilia centro-occidentale, e i fenici di origine semitica che mantengono le loro basi commerciali nell'isola. I siculi sono sicuramente indeuropei e si affermano nella Sicilia orientale.
Dell'età del ferro rimangono tracce di villaggi di capanne, come a monte Finocchito mentre le ceramiche e gli oggetti metallici rinvenuti, testimoniano scambi commerciali con i popoli ellenici.

 Gli elimi


   Stanziatisi nella parte nord-occidentale della Sicilia, probabilmente prima dell'avvento dei coloni fenici, gli elimi fanno di Segesta, Erice ed Entella i loro centri principali. La storia di questo popolo si conclude già nel IV sec. a.C. e le testimonianze a noi pervenute dicono poco. Secondo il mito, Elimo era un principe troiano, figlio di Anchise e fratellastro di Enea.


 I sicani


   Gli studi archeologici fanno risalire al III millennio a.C. l'arrivo dei sicani nella Sicilia occidentale, in particolare nella parte situata ad ovest dell'Imera del sud (Salso). I loro contatti con la civiltà minoica sono stati convalidati da scoperte recenti mentre non sono tuttora chiari i rapporti esistenti con i vicini elimi. Giunti probabilmente dalla Spagna, i sicani fanno di Iccara, Inico e Indara i loro centri principali.


 I fenici

L’infiltrazione fenicia in Sicilia non è datata in modo certo. Probabilmente il popolo, il cui nome deriva dal greco “phôinix” e significa rosso, in relazione alle stoffe purpuree da esso prodotte, si è stanziato nella parte occidentale dell’isola in età anteriore a quella ellenica (o forse contemporaneamente agli elleni).
Le difficoltà a precisarne la storia derivano non soltanto dalla scarsa documentazione ma anche dal tipo di organizzazione politica che, sebbene aiuti la ricostruzione storica delle diverse città fenicie, non agevola quella unitaria del paese. Gli stanziamenti fenici si ritrovano in tutto il Mediterraneo; in questo mare i fenici diventano gli intermediari tra Oriente ed Occidente.
Ma il momento di massima espansione si ha dall’XI secolo in poi, quando i fenici si stabiliscono nella Sicilia orientale e nelle isole di Malta, di Gozo e di Pantelleria. Anche l’origine di Palermo è fenicia così come quella della non lontana Solunto, di San Pantaleone (vicino Marsala) e della piccola Mozia.
Nell'isolotto di Mozia recenti scavi hanno consentito di identificare un Tophet, replica del Santuario di Baal-Hammon a Cartagine. Diversamente da quelle greche le colonie fenicie non erano organizzate come città stabili, ma come punti di scambi commerciali in relazione alla loro attività principale, quella marittima e mercantile. Con i maestosi cedri del Libano, i fenici costruivano agili imbarcazioni per navigare nel Mediterraneo e così le coste raggiunte sono state attivate nel tempo da porti fiorenti.
Si racconta che, gelosissimi della loro supremazia sul mare, questo popolo teneva in segreto le rotte da seguire e diffondeva leggende terribili per scoraggiare la concorrenza. Sono stati, infatti, i fenici ad inventare l’esistenza di Scilla e Cariddi: i due mostri che affondavano le navi nello stretto di Messina.
L’esigenza di facilitare i rapporti con i popoli più diversi ha spinto probabilmente i fenici ad elaborare una scrittura semplice e veloce: nasce così l’alfabeto della città di Biblo con ventidue segni corrispondenti ai principali suoni della voce umana. Dall’alfabeto fonetico sono derivati quello ebraico, quello greco e quello romano ancora oggi in uso.

 I siculi


   Soppiantando lentamente i sicani, il popolo siculo, che risale al II millennio a.C., si è insediato nella parte orientale dell'isola. I dati che si possiedono sulla loro lingua provano una certa affinità con il latino. Nemici dei greci, così come i sicani, ne assorbirono tuttavia la loro cultura. Ai siculi si attribuisce

 

 

                               La Sicilia dei greci

  Le vicende storiche

   Attirati dalle bellezze naturali dell'isola, i greci si stabiliscono nel 735 a.C. circa lungo la costa orientale fondando, diversamente dai fenici, colonie di popolamento (colonie agrarie) e semplici empori. Allora la Sicilia era coperta da fertili terre vulcaniche, aree boscose e zone molto più ricche di risorse naturali: questo spinse i mercanti calcidici, venuti dall'Eubea, a fissare la loro dimora a Nasso, alle falde dell'Etna, e a fondare Leontini (attuale Lentini), come città prevalentemente agricola, e Catania come città dedita ai commerci.

Numerose altre colonie nascono poco dopo: Zancle (attuale Messina), Milazzo e Imera.
Siracusa diviene la principale colonia greca nel 734 a.C. ad opera dei Corinzi venuti dopo i Calcidesi. Una serie di città elleniche si estende così lungo la costa insieme a Megara Iblea che, fondata dai megaresi, colonizza Selinunte, che successivamente fonda Eraclea Minoa.
Circa un secolo dopo gli abitanti di Rodi e Creta avanzano lungo la costa meridionale della Sicilia per fondarvi Gela da cui ha origine Agrigento nel 582.
Secondo quanto testimonia la storiografia, nella maggior parte di queste città entrano in conflitto il potere oligarchico e quello democratico. Quasi sempre lo scontro si risolve a favore di un tiranno che appartiene all'aristocrazia o di un despota proveniente dal popolo. Tra i governi tirannici che si instaurano all'interno del paese hanno lunga durata quelli di Panenzio a Leontini, di Falaride ad Agrigento, di Ippocrate a Gela e di Gelone a Siracusa.

Quando, intorno al 480 a.C., si delinea la minaccia cartaginese, le città greche (o siciliote) si coalizzano guidate dai rispettivi capi e riescono a resistere all'attacco dei nemici. Lo scontro decisivo coinvolge Siracusa e Agrigento presso Imera, sulla costa settentrionale, e si risolve con la vittoria sul generale cartaginese Amilcare Magone. Questa vittoria completa quella di Temistocle su Serse e contribuisce in gran parte a salvare la civiltà ellenica dalla minaccia barbara. A tal proposito si ricorda che quando Eschilo fa rappresentare "I Persiani" nel teatro di Siracusa, la sua tragedia, che aveva per soggetto Salamina, commuove profondamente l'animo degli spettatori data la scottante attualità per il superato pericolo comune.
Alla battaglia di Imera segue il periodo più florido dal punto di vista culturale ed artistico: Agrigento conosce il suo apogeo già al tempo del tiranno Falaride (571-554), uomo tanto potente quanto crudele, che faceva arrostire i suoi nemici in un toro di bronzo ma che ha reso Agrigento temibile per i cartaginesi e prospera nelle scienze e nella poesia; persino Pitagora era ospitato presso di lui.

Anche Siracusa risplende dopo la vittoria di Imera sotto Gerone, successore di Gelone, al quale si deve la costruzione dell'istmo che ancora oggi unisce la terraferma all'isola di Ortigia, separando i due porti.
Questo è il momento più proficuo anche per la corte che ospita artisti di ogni genere: da Eschilo, a Simonide, a Pindaro ecc.
La forza marina e mercantile di Siracusa aumenta: si esportano cereali, bestiame, tessuti e manufatti in genere fino alla Sardegna e alla Corsica. Si assiste ad un aumento demografico pari a quello di Atene e lo stesso sviluppo nei commerci adombra l'espansione delle altre colonie. Siracusa diventa la capitale della Sicilia greca alla morte di Dionigi il Vecchio. Sotto il figlio di quest'ultimo, Dionigi il Giovane, si conclude la pace con Cartagine e successivamente il potere della città raggiunge l'Italia meridionale; le città di Agrigento e Gela rifioriscono nelle arti e nella vita pubblica.

L'apogeo di Suraka (Siracusa) termina alla morte del tiranno Timoleonte, quando succede Agatocle; questo stratega bellicoso sbarca in Africa per opporsi alla minaccia punica e riusce ad occupare, dopo alterne vicende, alcuni centri alleati dei cartaginesi. Anni dopo sarà la volta di Pirro, re dell'Epiro, chiamato dai siracusani assediati da Cartagine; seguiranno dure battaglie che non portaranno a cambiamenti decisivi e si dovrà aspettare la tirannide di Gerone II, il quale, alleatosi con Roma dopo le lotte contro i Mamertini (285 a.C.), mercenari campani, aprirà il momento delle guerre puniche.

 L'archeologia

L'interessante storia archeologica della Sicilia greca è testimoniata da singoli centri straordinariamente ricchi di monumenti, sculture, ceramiche e serie numismatiche risalenti all'arcaismo dorico.
Tra l'VIII e il V sec. a.C. fioriscono infatti grandi centri quali Tindari, Milazzo, Palermo, Solunto, Siracusa, Agrigento, Megara, Enna ecc. che decadono sotto il dominio romano.
Divenendo presto potenze mediterranee, queste città entrano in conflitto con Cartagine, che allora dominava le rotte e i commerci tra l'Africa e l'Europa.

Il processo di ellenizzazione accelera le ambizioni delle popolazioni che, vivendo un rapporto più armonioso con il territorio, eternano la loro cultura attraverso i segni dell'arte a noi noti.
Alcune delle colonie greche conservano i fratelli dei templi dorici di Atene, Olimpia e di Paestum, pari a questi per eleganza ed armonia. Le città della Sicilia greca conservano, ancora oggi, l'antica pianta regolare - con strade che si incrociano ad angolo retto, tagliate al centro da un'arteria maggiore - con resti delle mura di cinta: sono esemplari Selinunte, Agrigento e Tindari. Splendida l'architettura dorica del Tempio della Concordia del V sec. a.C. ad Agrigento, e il Castello Eurialo di Siracusa, famoso per essere il sistema di fortificazioni più vasto in Sicilia, comprendente mura, trincee e gallerie sotterranee.

In ogni città era presente una piazza centrale, l'agorà, tipicamente greca, con teatri, visibili ancora oggi, come quello immerso tra i solitari monti di Segesta o quello di Tindari, che domina sull'infinità del mare.
Caratteristica di tutti i templi sicelioti è la decorazione della loro parte alta, insieme alle cornici, al frontone, agli acroteri (ornamenti della parte superiore dell'edificio).
Molto diffusa, tra l'altro, la grande plastica in terracotta o in pietra, come quella di Gela.
Nelle metope scolpite spesso nella stessa pietra del tempio sono trattati temi religiosi e i miti più conosciuti in Sicilia e nella Magna Grecia; interessante, ad esempio, il gruppo di Selinunte dove si presume essere nata una vera e propria scuola di scultura.

 

                           La Sicilia romana

  La storia nei fatti

   La storia della cultura occidentale vive un momento di svolta nel III sec. a.C., quando la civiltà greca entra per la prima volta in contatto con Roma.
Il dialogo tra queste due culture non ha generato, in campo artistico e letterario, ciò che oggi indicheremmo come nuovo, tanto i cittadini di Roma erano concentrati nel governo dello stato e nelle lotte contro chi li minacciava.

A ben guardare, il desiderio di conquista e di espansione era soltanto l'espressione più superficiale del sentimento di adorazione verso la legge ordinatrice e civilizzatrice dei popoli.
Così, quando i romani arrivano in Grecia, sono già i rappresentanti di uno stato forte ed unitario capace di assorbire al suo interno nuovi popoli, imporre loro la propria legge, lasciando comunque libertà di espressione negli usi e nelle tradizioni.
In questo modo l'abilità nel conquistare il vinto si potenzia naturalmente, incidendo anche sulla forza di espansione.
Ripercorrendo le tappe delle principali vicende storiche che hanno inciso sulle trasformazioni della civiltà mediterranea, in questo momento storico, non possiamo non tenere conto del periodo in cui opera Pirro, re dell'Epiro, nella Grecia nord-occidentale.

Passato alla storia come uno dei più grandi condottieri greci, Pirro si rivela in tutta la sua abilità di capo contro Roma, nel 280 a.C., quando ottiene diverse vittorie, subendo anche perdite insanabili. Nel 278 a.C. Pirro giunge in Sicilia, e precisamente a Taormina, dove cacciai cartaginesi. Soltanto nel 276 a.C. i romani lo sconfiggono definitivamente a Benevento, ponendo fine al suo desiderio di espansione. Ma già nel 285 a.C. Gerone II, attaccato e sconfitto dalla flotta cartaginese, si è alleato con i romani fornendo loro l'occasione tanto attesa di penetrare nell'isola. Inizia, in questo modo, il grande scontro tra le due potenze per la supremazia sul Mediterraneo.

 
Le battaglie sconvolgono l'intera isola e si combattono per mare e per terra.
La prima guerra punica - perché i cartaginesi erano anche chiamati Puni - scoppia così a di un urto di interessi in campo marittimo: il dominio cartaginese esteso nella Sicilia occidentale, porta la repubblica a mutare le sue prospettive politiche e il senato comincia a preoccuparsi dei risvolti futuri di quel controllo incondizionato sui mari.
A tal proposito risulta chiarificatore il detto dei cartaginesi che "i romani in quel mare (il Tirreno) non potevano neppure lavarsi le mani senza il loro permesso". Su richiesta degli abitanti di Messina, in attrito con Siracusa, Cartagine invia in città un piccolo presidio militare nel 265 a.C., ma ciò suscita il malcontento dei cittadini, i quali, a loro volta, richiedono una guarnigione romana che occuperà Messina l'anno successivo.

In questo modo si arriva alla prima guerra punica (264-241 a.C.), che mette l'una contro l'altra le due grandi potenze del Mediterraneo: Roma ha la meglio nello scontro a terra e costringe gli avversari a ritirarsi nel Lilibeo e a Trapani, vero e proprio porto franco data la totale inesperienza marittima dei romani, la cui lingua era carente persino di vocaboli nautici. Nel 262 a.C. sono conquistate anche Segesta e Agrigento.
Soltanto a Milazzo (Mylae), nel 260 a. C., il console Caio Duilio riesce ad ottenere un successo imprevisto grazie anche al fatto che i cartaginesi avevano sottovalutato del tutto l'ingegnosità del nemico: un esempio delle straordinarie capacità belliche dei romani è dato dall'uso dei cosiddetti corvi, i ponti mobili muniti di raffi a becco di corvo, con i quali si agganciavano le navi nemiche, per permettere all'equipaggio di attaccare l'avversario come sulla terraferma.

Soltanto sotto il console Caio Lutazio Catulo (241 a.C.) Roma riesce a sconfiggere definitivamente i cartaginesi di Annone, alle isole Egadi. A garantire questo risultato è la superiorità militare, ma anche politica e organizzativa, dimostrata da tutta la federazione italica, di fatto, la classe dirigente romana non era all'altezza del suo stesso compito: il cuore del Mediterraneo non pulsava più come ai tempi di Cartagine e ne è testimonianza la condizione politico-sociale vissuta nella provincia di Sicilia.
Si arriva così al 218 a.C, anno della seconda guerra punica. Le basi di appoggio romane sono Messina e Lilibeo, ma tutta la Sicilia viene coinvolta, e gli abitanti si dividono tra gli avversari.
Parecchi si ribellano alla potenza romana, ma senza successo; questo forte sentimento anti-romano si diffonde anche a Siracusa, che viene attaccata dal console Claudio Marcello. Alla difesa di Siracusa contribuisce l'ingegno di Archimede, che induce una forte frustrazione nei romani, incapaci di prevederne le mosse in guerra. Tuttavia Claudio Marcello si esprime in tutta la sua brutalità, distruggendo Megara e domando la rivolta di Enna.

Siracusa invece viene conquistata nel 212, quando muore lo stesso Archimede. A tal proposito è noto il malcontento generale dei siciliani nei confronti di questo console, per la grande quantità di tesori d'arte che quest'ultimo ha fatto portare a Roma, oltre al solito bottino.
Meravigliose pitture e inestimabili sculture sono state letteralmente strappate dai muri dei templi, per essere imbarcate.
Nel 201 a.C. termina la seconda guerra punica, con la sconfitta di Annibale a Zama (nord Africa).
La nuova realtà trasforma radicalmente la vita sociale e politica del paese: si forma il latifondo come fenomeno economico e strutturale, mentre piccoli appezzamenti riempono gli spazi esistenti tra i "latifundia" e i pascoli.
Scavi archeologici e riferimenti letterari dimostrano anche che i romani apportavano migliorie apprezzabili alle vie di comunicazione interne e alle strade più importanti, in Sicilia e nei territori di conquista.

 Roma, signora del Mediterraneo
La presenza romana si consolida nell'isola al termine della terza guerra punica (146 a. C.) e dopo la distruzione di Cartagine, quando iniziano le grandi rivolte degli schiavi.
La prima rivolta degli schiavi si fa risalire al 139 a. C. e interessa la città di Enna. La classe degli schiavi è piuttosto eterogenea: prigionieri di guerra, uomini e donne liberi di alto rango che parlano il greco, agricoltori e pastori, lavorano i latifundia e vivono in miseria.

La rivolta di Enna è capeggiata da un certo Ennio, proclamato re dopo che il ricco padrone Damofilo viene ucciso. Analoga è la ribellione che si scatena nella zona dell'agrigentino e che si estende a Taormina e Morgantina; Sotto il console Rupilio P. la parte orientale dell'isola era soffocata, ma l' eco delle lotte raggiunge la parte occidentale, dove altri due leaders emergono dalla massa degli schiavi - Salvio nella regione di Alicie ed Eraclea, Atenione tra Segesta e Lilibeo - per essere repressi dall'abile comandante Aquilino.

Le due rivolte causano danni notevoli, ma la Sicilia ricostituisce presto le sue ricchezze e fa da sfondo anche nella guerra civile tra Bruto e Cassio, e i triunviri Antonio, Ottaviano e Lepido, quando a Sesto, figlio di Pompeo, viene riconosciuto, dai triunviri, il potere sull'isola, sulla Sardegna e sulla Corsica (39a. C.). Ma l'accordo non dura a lungo e si giunge alla battaglia di Anzio (31 a. C.) con Ottaviano capo incontrastato dell'impero. Per tutta l'età imperiale, in Sicilia nessuno aveva avuto la volontà di farsi avanti e iniziare la carriera amministrativa, ma ciò nonostante le classi medie e alte si distinguevano nella ricchezza e nello sfruttamento delle terre. Questa prosperità era la base per attività quali il commercio, le industrie navali e l'esportazione.
Per quanto riguarda il commercio in Sicilia, sono stati rinvenuti oggetti di terracotta che attestano gli spostamenti e i contatti con Africa, Spagna e Gallia. Un esempio è dato dalla necropoli di Sabucina.


                        Da Bisanzio agli arabi


I bizantini, per opera del generale Belisario, conquistarono la Sicilia nel 535. Poche sono le testimonianze sull'amministrazione dell'isola da parte dei nuovi conquistatori, ma è certo che nel periodo bizantino i siciliani godettero di un clima di pace. La Sicilia non fu coinvolta, infatti, nelle guerre che tormentarono, nel secolo successivo, l'Italia e il Nord Africa.
Nel 565, alla morte di Giustiniano, l'Impero d'Oriente mostrava già i segni di debolezza economica, per la necessità di far fronte con ingenti somme al mantenimento degli eserciti. A ciò si aggiunse il contrasto tra l'imperatore e il papa, che culminò con l'arresto di papa Martino da parte di Costanzo.

Nel 660 Costanzo decise di trasferire la capitale da Costantinopoli di nuovo in Occidente: per cinque anni Siracusa fu la capitale dell'impero bizantino. I Siciliani sperarono di ottenerne prestigio e ritorni finanziari, ma la residenza dell'imperatore nell'isola significò, al contrario, un insostenibile onere finanziario. Inoltre il governo di Costanzo si rivelò tirannico, tanto che l'imperatore fu assassinato nel 668. A seguito di una rivolta secessionista, fu dichiarato imperatore a furor di popolo un aristocratico armeno, ma l'anno successivo le fiamme della rivolta si spensero di fronte all'esercito del figlio di Costanzo, che riportò la capitale a Costantinopoli.

Da questo momento in poi il Mediterraneo sarà spazio di conquista dell'Islam e la Sicilia diventerà un importante nodo strategico e una roccaforte dell'ortodossia (tra il 678 e il 751 tutti i papi, tranne due, furono siciliani). Nell'800, a seguito del suo arresto da parte dell'imperatore, l'ammiraglio Eufemio istigò una rivolta popolare. L'azione di Eufemio (proclamatosi imperatore) provocò a sua volta la ribellione di un suo luogotenente, tanto che l'ammiraglio si vide costretto a chiedere aiuto all'emiro aglabide, in cambio della Sicilia come provincia tributaria, a patto di esserne il governatore. Iniziò così, con l'invio di un esercito di 10.000 uomini (arabi, berberi e musulmani spagnoli), la conquista e l'espansione araba in Sicilia.

La conquista araba non fu certo indolore e come ogni atto militare trascinò dietro distruzioni e disordini. Ma i nuovi conquistatori, ottenuto il possesso dell'isola, si rivelarono clementi: alcune città rimasero, almeno virtualmente, indipendenti e la libertà di religione venne in qualche modo assicurata. Ma, tra le altre cose, sia i cristiani che gli ebrei dovettero pagare più tasse, portare particolari indumenti per farsi riconoscere e segnare le loro case.
La politica economica dei musulmani determinò una fioritura del commercio e fece della capitale Palermo, una grande città. Città cosmopolita, Palermo si riempì di orti e giardini meravigliosi, grazie alle progredite tecniche di ingegneria idraulica di cui gli arabi furono maestri. Oltre all'agricoltura, fiorente fu, sotto gli arabi, l'industria della pesca, dell'estrazione dei metalli, delle manifatture tessili.

Ma il bilancio della dominazione non fu tutto positivo. La conquista araba produsse notevoli danni e devastazioni del territorio, a seguito di incendi e disboscamenti estesi.
La Sicilia musulmana all'inizio fu governata dagli Aglabiti che ebbero, con una guerra civile, come successori i Fatimiti. Questi spostarono la capitale del regno in Egitto, lasciando la Sicilia molto più indipendente, tanto che vi si insediò la famiglia dei Kalbiti. L'isolamento dell'isola diede spazio a Bisanzio per un nuovo avvicinamento, che ebbe inizio con la stipulazione di un trattato tra l'emiro kalbita e l'impero. Ma il tentativo di riconquista bizantina non ebbe successo. I protagonisti del mondo mediterraneo stavano nuovamente cambiando. Nel 1060 Ruggero il Normanno sbarcò a Messina "inaugurando", così, l'avanzata normanna nell'isola.

 

                          Gli spagnoli in Sicilia

  Dagli Angioini agli Aragonesi


   La morte di Federico II di Svevia (1250) aveva privato la Sicilia della sua guida illuminata. Ciò fu causa di un declino che investì la politica,l'amministrazione del Regnum e la tranquillità stessa del paese.
Le tensioni interne sfociarono, tra l'altro, in discordie civili e vendette familiari per la contesa di quanto era rimasto della Sicilia normanna.
Il potere papale si espresse anche in campo politico: la corona di Sicilia passò al principe inglese Edmondo di Lancaster che, per dieci anni, detenne il titolo di "re di Sicilia per grazia di Dio".
Nel 1261 Edmondo fu deposto da un papa francese che, desideroso di affermare la propria supremazia feudale, convinse Carlo d'Angiò, fratello del re di Francia, San Luigi, a perorare la sua causa sostituendo Edmondo. Incoronato a Roma cinque anni dopo, Carlo partì per sottrarre il trono a Manfredi, l'eroe degli Hohenstaufen.

Il regno fu conquistato senza molta resistenza e Manfredi cadde sul campo.
Due anni dopo, alla notizia che l'ultimo degli Hohenstaufen, il giovane Corradino, si apprestava ad invadere il regno con l'appoggio delle città ghibelline, i siciliani si sollevarono; soltanto Palermo e Messina rimasero nelle mani degli Angioini.
Ma Corradino fu sconfitto a Tagliacozzo, fatto prigioniero, giudicato a Napoli e qui decapitato nel 1268.

Le violenze della riconquista scatenarono il risentimento dei siciliani che, nel 1282, esplose con i "Vespri siciliani". Il furore del popolo fu una violenta espressione del desiderio di indipendenza del paese.
Nata come rivoluzione popolare, questa rivolta si trasformò quasi subito in movimento per l'autonomia municipale e divenne, infine, un conflitto, sul piano economico, tra gruppi di baroni tedeschi e francesi per decidere le sorti del nuovo feudalesimo.

In questo quadro prese forma anche la lotta contro gli Angiò da parte dei catalani e dei napoletani.
Protagonisti furono: un esiliato, nemico giurato degli Angioini, Giovanni da Procida, e Pietro d'Aragona che era convinto di rivendicare i diritti di sua moglie, figlia di Manfredi.
Sapere quando e come il dominio degli Aragonesi si impose sull'isola, si è rivelato un tentativo fallimentare; certamente ne fu preludio la richiesta d'aiuto, a Pietro III il Grande, da parte di un gruppo di notabili siciliani in rivolta contro Carlo d'Angiò.
Aiutato dai baroni Pietro giunse a Trapani il 30 agosto del 1282 ed entrò trionfalmente a Palermo proclamandosi re di Sicilia. Il suo esercito, intanto, liberava anche Messina dal dominio angioino.
Da allora il regno di Sicilia fu diviso in due e la Calabria, identificata per secoli con la Sicilia, entrava nel Regno di Napoli.
Lo stretto di Messina avrebbe così allontanato l'isola dal resto d'Italia geograficamente e culturalmente, privandola anche delle relazioni stimolanti con i professionisti della monarchia Hohenstaufen e con il mondo dell'arte.

 Sotto gli Aragonesi


   La dominazione aragonese fu accettata senza troppe riserve; probabilmente i
siciliani avevano sperato che un re spagnolo, trovandosi altrove, avrebbe lasciato loro maggiore libertà rispetto a quanto non avevano fatto Federico II e Carlo.
Ma ciò non si verificò nel modo previsto, infatti Pietro III d'Aragona, detto il Grande, sebbene accettasse che il regno si mantenesse separato, ignorò spesso i privilegi feudali; inoltre egli aveva previsto che, alla sua morte, le corone di Sicilia e di Aragona non si sarebbero riunite sotto un unico sovrano, ma anche questa promessa non venne mantenuta: Giacomo, il successore di Pietro, sarebbe rimasto re della Sicilia e di Aragona e i siciliani avrebbero continuato a fornire grano, soldati e navi.
In questo modo la tanto agognata autonomia non fu mai conquistata e molti siciliani rimpiansero la dominazione angioina.

Morto Pietro, la corona di Sicilia passò al figlio Giacomo, e quella d'Aragona al figlio Alfonso; ma, morto quest'ultimo, Giacomo gli succedette al trono nominando il fratello più giovane, Federico III, viceré a Palermo. Approfittando del momento di debolezza politica, Federico si fece eleggere re dai siciliani ostili alla riunione delle due corone.
Dopo una guerra che vide alleati Giacomo d'Aragona e Carlo II d'Angiò contro Federico, si arrivò alla pace di Caltabellotta nel 1302: la sovranità di Federico sulla Sicilia fu così riconosciuta.
Durante il suo regno si accentuò il regime feudale: venne istituito un parlamento con tre bracci (ecclesiastico, demaniale e militare), si radicò il latifondismo e l'economia entrò in crisi.

La pace di Caltabellotta fu interrotta qualche anno dopo, quando non ne vennero messe in pratica le previsioni: l'isola non venne restituita agli Angioini alla morte del re e ciò determinò la ripresa delle ostilità durante il governo di Pietro II (1337-1342), Ludovico (1342-1355) e Federico IV (1355-1377).
Si giunse così, tra alterne vicende, alla pace di Catania nel 1372 quando Giovanna I d'Angiò rinunciò definitivamente ai diritti sulla Sicilia.
Intanto l'isola era dilaniata dalle lotte che vedevano protagoniste potenti famiglie quali Chiaramonte, Ventimiglia, Peralta e Alagona che si contendevano l'amministrazione del paese.
Quando Federico IV morì, la corona passò alla figlia Maria. A quel punto diveniva di cruciale importanza sposare la regina. Nel 1390 Maria venne rapita dal castello di Catania e portata a Barcellona, dove sposò Martino il Giovane infante d'Aragona, figlio di Martino il Vecchio detto l'Umano: soltanto due anni dopo l'isola fu invasa. Questa seconda ondata spagnola portava numerosi proprietari terrieri desiderosi di dominare nel governo e nell'amministrazione.

 La Sicilia, dipendenza spagnola


   Il governo di Martino I fu segnato dalla costante presenza del padre Martino II il Vecchio, che regnò dopo di lui per pochi mesi controllando in dettaglio l'amministrazione siciliana.
Con questi due ultimi re, la Sicilia ritornò ad essere una dipendenza spagnola e, nonostante l'opposizione baronale, cominciò a essere governata, sotto Ferdinando I di Castiglia (1412), per delega dai viceré: per i quattrocento anni successivi la Sicilia avrebbe perso le prerogative di un importante centro di governo per diventare centro esclusivamente amministrativo.

I siciliani si rivelarono molto leali nei confronti degli spagnoli e ciò venne confermato anche dal regno di Alfonso V il Magnanimo dopo il 1416. Quest'ultimo governò per circa quarant'anni e si distinse per il coraggio e l'abilità dimostrata in politica. Valoroso mecenate, fu il simbolo dei successi ottenuti nel Mediterraneo occidentale. Riunendo sotto la stessa corona Sicilia, Sardegna e regno di Napoli, Alfoso V si meritò per primo il titolo di rex utriusque Siciliae (re delle Due Sicilie).

Alfonso fece eseguire importanti lavori pubblici, specialmente nel porto di Palermo, e fondò il Siculorum Gymnasium (l'Università di Catania). I suoi successori, Giovanni II d'Aragona (1458-1516) e Ferdinando II il Cattolico (1479-1516) non si distinsero nello stesso modo; eppure due importanti misure datano al periodo di Ferdinando: l'espulsione degli Ebrei (1492), che costituì un grave pregiudizio per l' economia siciliana, e l'introduzione nell'isola del tribunale del Sant'Uffizio (1513).

Attraverso la moglie Isabella, Ferdinando unì l'Aragona alla Castiglia facendo della Sicilia una provincia del nuovo impero spagnolo; condannata a perdere di importanza, l'isola fu costretta a subire l'introduzione dell'Inquisizione: dal 1487 in poi, Torquemada organizzò un'istituzione permanente con sede nel palazzo reale di Palermo.
Alla morte di Ferdinando, la corona passò a suo nipote, il futuro Carlo V (1516-1554), fondatore della dinastia degli Asburgo di Spagna ed imperatore di Germania a partire dal 1519.
Durante il regno di Carlo V scoppiarono in Sicilia una serie di insurrezioni; quella più seria è datata 1516: durò quasi un anno e fu voluta dai baroni inquieti perché andavano perdendo un potere politico durato due secoli e mezzo.

 L'isola vicereame spagnolo


Affermatasi in un momento politico di difficile gestione, date le rinnovate incursioni ottomane nel Mediterraneo, la dominazione spagnola fu apprezzata dai siciliani sia per l'aiuto militare impiegato nella difesa dell'isola, sia perché fece della Sicilia un baluardo strategico contro le incursioni turche determinando un rilancio della sua funzione mediterranea.

Tuttavia, la condizione politico-sociale venne appesantita dalle strategie adottate dagli spagnoli: il parlamento era quasi assente e veniva frequentemente sostituito dagli organi di governo connessi con la Corona. I baroni ottennero molti più privilegi e nuovi feudi ma questi ultimi, a causa dello scarso senso imprenditoriale dei proprietari, furono spesso abbandonati dai contadini che si riversarono nelle città alla ricerca di migliori condizioni di vita.
In questo quadro non mancarono quindi rivolte popolari come quella di Palermo del 1647, guidata da La Pilosa (un assassino condannato ed evaso) e quella di Messina del 1674, sostenuta da Luigi XIV.
Due secoli della storia siciliana furono segnati dalla dominazione spagnola, con chiari segni di crisi cancellati soltanto con la pace di Utrecht nel 1713; da questo momento l'isola venne confiscata a Filippo V di Borbone e passò al suocero Vittorio Amedeo, duca di Savoia.

 

                       Il regno delle Due Sicilie

   Dal 1713 ai Borboni


Nel 1713, con la firma della pace di Utrecht, la Sicilia spagnola fu ceduta, con titolo di regno, a Vittorio Amedeo II di Savoia. Dopo un primo momento di soddisfazione per questa investitura da parte dei siciliani, speranzosi di vedere trasformato il regno in punto di riferimento politico per l'unificazione italiana, la nomina andò via via risvegliando l'ostilità dei baroni a causa di una sgradita imparzialità nell'applicazione delle leggi.
Si tornò così a guardare nostalgicamente al governo spagnolo al punto che quando, nel 1718, la Spagna attaccò nuovamente l'isola, trovò ampio consenso tra i nobili; in quella occasione due ingenti eserciti si scontrarono per un anno intero in quella che passò alla storia come la più grande battaglia combattuta nell'isola dai tempi dei romani: la battaglia di Francavilla.

Il sogno di un ritorno spagnolo venne però infranto dall'intervento della Quadruplice Alleanza (Inghilterra, Austria, Province Unite e Francia) che decise la cessione dell'isola all'Impero asburgico.
Dopo sedici anni di dipendenza austriaca, acute tensioni internazionali portarono alla Guerra di Successione polacca: don Carlos (Carlo di Borbone, duca di Parma) vinse sugli austriaci nella battaglia di Bitonto del 1734, riunendo così le sorti della Sicilia a quelle di Napoli.
Divenuto re con il titolo di Carlo III, don Carlos fu salutato con grandi onori; riaprì il palazzo reale di Palermo e introdusse nel regno segni della cultura spagnola, come le corride che si svolsero per tutto il '700 e parte dell'800.
Sotto il figlio di Carlo, Ferdinando, salito al trono di Sicilia nel 1759 con il titolo di Ferdinando III e a quello di Napoli con il titolo di Ferdinando IV, la Sicilia si legò sempre più all'Italia.

Per tutto il secolo XVIII i baroni continuarono a mantenere una forte influenza sul potere politico. La maggior parte dei siciliani viveva sotto la loro diretta giurisdizione; circa una ventina di famiglie possedeva un potere economico
schiacciante e quelle più importanti vivevano in palazzi principeschi.
Tuttavia l'amministrazione generale era condotta all'insegna dell'inettitudine, con alcune importanti eccezioni: il principe di Niscemi fu un attivo uomo d'affari; il principe Biscari di Catania si guadagnò la reputazione di uomo benevolo e dinamico, disponibile ai contatti con il mondo dell'arte, facendo costruire bellissimi musei e lanciando l'industria del lino e del rum.
Molti dei casati nobiliari, pur essendo spesso pieni di debiti, usavano investire ingenti somme negli agi e nella costruzione di auliche residenze: si dice ad esempio che i principi di Valguarnera e di Palagonia avessero pagato rispettivamente 180.000 e 200.000 scudi per le loro ville a Bagheria.

 Un secolo di riforme


  Il '700 fu il secolo in cui ogni cambiamento nel campo dell'arte e della politica era destinato ad abortire a causa degli schemi conservativi che governavano nella società siciliana. Il genio delle menti più originali era soffocato e spingeva gli artisti a cercare lavoro all'estero; questo fu il destino di artisti illustri quali l'architetto Filippo Juvara, il compositore Alessandro Scarlatti e Cagliostro. Molti erano quelli che si facevano aiutare dai baroni piegandosi così all'ordine costituito.
La speranza di una riforma in campo sociale venne concretizzata nel mondo ecclesiastico: nel 1767 l'ordine dei gesuiti fu espulso e i possedimenti terrieri confiscati, con il pretesto di corruzione, per essere distribuiti ai contadini; anche se alla fine questi latifondi andarono ad ingrandire i possedimenti laici già esistenti. Alcune residenze gesuite furono trasformate in scuole tecniche per i ragazzi più poveri.

Tuttavia le riforme ci furono, anche se piuttosto isolate; una di queste interessò il mondo dell'arte: il fascino che l'isola riscosse attraverso le pagine letterarie di scrittori illuminati, dissolveva lentamente l'isolamento in cui il paese era piombato. Fu soprattutto grazie alle avventure di viaggio raccontate nelle pagine di Patrick Brydone (1773), che la Sicilia venne fissata nell'immaginario collettivo come una terra da esplorare.
Il fascino dell'Illuminismo europero cominciava ad essere evocato dalle letture proibite degli enciclopedisti e dalle traduzioni di opere a carattere filosofico e scientifico, come quelle di Hume e Locke.

 Il regno delle Due Sicilie


   Fin dall'inizio il dominio dei Borboni eclissò l'antica dignità di regno che la Sicilia aveva saputo conquistare nel tempo, riducendo l'isola ad anonimo territorio di conquista. In questo contesto dilagò un vivo risentimento popolare nei confronti dei viceré, anche quando uno di loro, Domenico Caracciolo, (1781-1786) operò riforme importanti come l'abolizione dell'Inquisizione e la riduzione dei poteri baronali.
Soltanto sotto Ferdinando IV i nobili siciliani riuscirono ad ottenere, nel 1812, anche per le pressioni della Gran Bretagna, sotto la cui protezione si era posto il re, una costituzione che rafforzava il loro potere ampliando alcuni privilegi; quando però a Ferdinando IV fu concesso di rientrare a Napoli con la Restaurazione, questa costituzione fu annullata e il re fondò il regno delle Due Sicilie (1816) con il titolo di Ferdinando I.

Questa fusione tolse ai siciliani i pochi privilegi di cui ancora godevano e ogni prerogativa isolana; ne derivò un malcontento generale che si espresse nelle lotte popolari del Risorgimento italiano: Palermo, Catania e Siracusa furono teatro di insurrezioni sanguinose negli anni dal 1831 al 1837.

Esasperati dall'assolutismo borbonico, i siciliani conquistarono la libertà nel 1848 quando Ruggero Settimo, capo della rivoluzione, offrì il regno a Ferdinando Maria Alberto, duca di Genova e figlio di Carlo Alberto, che però non accettò.
Un anno dopo il sogno della Sicilia indipendente venne nuovamente infranto per riaccendersi nel 1860 quando le "giubbe rosse" di Garibaldi, che governava la Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II, secondo il proclama di Salemi, contribuì in modo determinante alla liberazione del Mezzogiorno e all'unità d'Italia.

 

                             La Sicilia in Italia

  Uno stato nello Stato


   Animata da grandi speranze di riforma, la Sicilia entrò in Italia nel 1860. Sin dall'inizio, dovendo far fronte a nuovi problemi di natura economico-sociale, il governo sabaudo si confrontò con una situazione drammatica.
Le condizioni generali di vita erano caratterizzate da un totale abbandono: accanto ai privilegi dei nobili e del clero, le miserie del popolo che languiva di fame.

L'amministrazione sabauda veniva applicata con metodi inadatti alla situazione contingente: il rigido fiscalismo sottraeva denaro all'agricoltura dell'isola, avvantaggiando gli investimenti nel Nord.
Inoltre, per conformarsi al Nord, la Sicilia dovette osservare leggi anti-clericali che ordinavano lo scioglimento dei monasteri e la confisca delle proprietà ecclesiastiche. Oltre a gravi disagi per i religiosi, queste decisioni causarono l'aumento della disoccupazione presso i laici.

Si diffuse presto l'"antipiemontesimo": un sentimento di distanza dalla cultura settentrionale che si esprimeva nell'ostilità verso il governo ufficiale e nel brigantaggio.
Nelle campagne, per esempio, si cominciò a preferire la giustizia delle bande organizzate, appoggiate anche dal clero, che in pochi anni rafforzarono il proprio potere anche grazie all'appoggio delle istituzioni del governo locale.
L'"onorata società" avrebbe assunto, di lì a poco, un'importanza senza precedenti; nel gergo locale, il campo semantico della parola mafia includeva rassicurazione, giustizia e autonomia, ma le regole non erano quelle dello Stato e quindi la vendetta, l'omertà, l'intimidazione, il banditismo, cominciarono ad essere considerati come strumenti di un'organizzazione criminale. Un'idea giusta andava prendendo la forma di una pratica ingiusta.

Si trattava pur sempre di un sistema, dietro il quale nascondere interessi privati, nato per colmare il vuoto di uno Stato anarchico…e l'obiettivo era sempre raggiungere maggiore potere e denaro.
Si arrivò così all'insurrezione di Palermo nel 1866, all'eccidio dei contadini di Caltavuturo nel 1893 e ai moti popolari organizzati dai "fasci" contro i quali operò Crispi. Problemi vecchi e nuovi, difficili da risolvere, costrinsero il proletariato siciliano ad emigrare verso la terra di Colombo e l'Australia; ciò causò un ulteriore impoverimento delle campagne.

 L'alba del XX secolo    


    Privo di consistenza storica, il periodo fascista nell'isola fu segnato soprattutto dall'inefficienza e dalla corruzione del regime. Giovanni Gentile si distinse in campo politico, ma il suo tramonto fu rapido. Poco o nulla fece Mussolini rispetto agli uomini di governo precedenti. Nei primi decenni del '900 prevalevano ancora gli interessi dei grandi proprietari terrieri, e questo determinò un rallentamento nell'evoluzione dei fatti sociali ed economici rispetto agli altri paesi italiani.
Mussolini si dimostrò un abile oratore: coinvolgere le masse era il miglior modo per diffondere tra gli italiani il sogno di una nazione militarmente forte, ma perché ciò avvenisse, occorreva industrializzare il Nord prendendo dal Sud materie prime e cibo a basso costo.

Si arrivò così allo scontro tra latifondisti e fascisti radicali. A Palermo, le idee anti-liberali di Alfredo Cucco ebbero un iniziale successo, ma le elezioni del 1925 non sciolsero il potere delle vecchie clientele. Cesare Mori, lontano dagli ideali di Cucco, operò perché governo e latifondisti trovassero un accordo.
Tuttavia, anche in questo caso, ogni speranza di rinnovamento venne presto delusa e il fascismo siciliano consolidato con l'aiuto dell'aristocrazia.
I metodi di attacco alla mafia, attivati da Mori, non riuscirono a superare il malcontento del popolo nei confronti dello Stato: molti avvertivano più sicura ed efficace, la protezione dei potenti.
Le condizioni di vita contadina non migliorarono. Nonostante, in Sicilia, fosse stata lanciata, nel 1925, la "battaglia del grano" troppe terre furono coltivate a grano più volte consecutive a danno della produzione tradizionale di olio e agrumi; diminuì in questo modo, la fertilità di molti appezzamenti a favore delle zone aride.

Lo sfruttamento delle miniere di zolfo lievitò i suoi costi e quando, nel 1927, il sottosuolo fu dichiarato proprietà pubblica, le miniere passarono in consegna ai vecchi proprietari che le amministrarono ma senza aumentare la produzione.
Nel 1940 fu approvata una legge che regolava la divisione del latifondo, ma l'avvento della seconda guerra mondiale ne impedì l'applicazione.
Il miglioramento economico e sociale tanto propagandato dal fascismo, non si estese in modo uniforme in Italia.
Le risorse naturali della Sicilia non furono sfruttate razionalmente, e lo stesso Mussolini ammise ufficialmente che gli investimenti nell'isola non erano stati divisi con metodo.