Numerosi resti
paleolitici rinvenuti in Sicilia, testimoniano la
presenza di antichi insediamenti umani; alcune tracce di questi
resti sono visibili nelle grotte dell'Addaura, vicino Palermo.
Dislocate in più punti dell'isola, la testimonianze dell'età
neolitica raccontano la cultura delle origini:
interessanti grotte si trovano, ad esempio, presso gli
arcipelaghi delle Egadi e delle Eolie, a Stentinello (Siracusa),
a San Cono (Caltanissetta) e a Villafrati (Palermo).
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All’età
dei metalli si fanno risalire intere necropoli come
quelle di Cassibile e di Pantalica.
I reperti più antichi confermano la presenza di identità
etniche appartenenti a tre diversi gruppi: elimi,
sicani e siculi.
Secondo quanto riporta lo storico Tucidide, la Sicilia orientale
era popolata dai siculi, il centro dai sicani e l'occidente
dagli elimi, essendo non indoeuropei questi ultimi due e
sicuramente indoeuropei i primi.
Anche i fenici,
di origine semitica, fondano le loro basi commerciali nell'isola
a partire dall'età dei metalli.
Dell'età del ferro rimangono tracce di villaggi di capanne,
come a Monte Finocchito.
Le zone di maggiore interesse archeologico, attraverso cui
leggere la storia di queste popolazioni, risultano essere
Solunto, Jato e Himera. In particolare, sul Monte Jato (distante
circa trenta chilometri da Palermo) si sono concentrate le
ricerche degli ultimi trenta anni. Il prof. Peter Isler,
dell'Università di Zurigo guida, dal 1971, un gruppo di
archeologi alla scoperta di Monte Jato: gli scavi hanno portato
alla luce uno splendido teatro, l'agorà (la piazza), strutture
residenziali private, il tempio di Afrodite, le fortificazioni
ed altre testimonianze della grande città sepolta.
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Il
paleolitico |
Non essendoci pervenute tracce scritte,
possiamo interpretare gli eventi relativi alle civiltà
preclassiche solamente attraverso i manufatti o le modificazioni
dell’ambiente naturale. Gli studiosi sono d’accordo nel
ritenere che le manifestazioni artistiche fondano i valori
formali arcaici e che questi persistono anche in civiltà
successive. In tal senso non ci si può riferire alla prima età
della pietra senza considerarne l’arte.
Una delle più realistiche espressioni d’arte rupestre del paleolitico
superiore è quella costituita dalle incisioni parietali
preistoriche, raffiguranti scene rituali o di iniziazione,
ritrovate nelle grotte dell’Addaura, presso Palermo; in cavità
naturali come quelle dell'Addaura, l'uomo trova riparo, celebra
i primi riti propiziatori, seppellisce i sui morti e disegna
graffiti dal significato magico e augurale. Al paleolitico
inferiore risalgono arnesi in pietra scheggiata, scoperti ad
Agrigento nel 1968. Si tratta di ciottoli scheggiati su una
faccia a forma di mezzaluna o di bifronti semplici. Questi
oggetti si trovano in abbondanza nell'Africa del nord, sede di
importanti esempi di arte cavernicola.
Nel 1950, la grotta della Cava dei Genovesi, nelle Egadi, ha
rivelato interessanti disegni di animali incisi e curiose figure
antropomorfe stilizzate, dipinte in nero.
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Il
neolitico |
La vita nell’età
neolitica risale in media all’VIII millennio a.C. e si
esprime, per la prima volta, nell’indipendenza dell’uomo
dalla natura. L'uomo, infatti, non vive più dei frutti
spontanei della caccia, della raccolta o della pesca ma
elaborera la domesticazione, l’allevamento del bestiame e
l’agricoltura. Tra le conquiste culturali di maggiore rilievo
c'è la navigazione, la lavorazione della ceramica e la
tessitura.
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I primi insediamenti neolitici dell’area mediterranea sono
individuati nelle regioni del Medio Oriente e nel basso corso
del Nilo, da cui si sono diffuse, in seguito, varie correnti
culturali verso l’Occidente.
In Sicilia, così come in Liguria e in Puglia, l'età neolitica
ha generato la cultura della ceramica impressa: lo testimoniano
siti archeologici noti come, ad esempio, Stentinello, San
Cono e Villafrati. In particolare Stentinello deriva il
suo nome deriva da un villaggio fortificato situato 5 km a nord
di Siracusa, in cui si trovano resti di capanne a pianta
rettangolare, vasi di terracotta decorati a impressione (con il
punzone o con l’unghia) e utensili litici di selce, basalto e
ossidiana.
Non mancano ulteriori resti di civiltà neolitica a Matrensa e
Megara Hyblea.
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L'età
dei metalli |
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Verso il 2500 a.C. appare
in Europa occidentale il primo metallo, il rame, che l’uomo
fuse con lo stagno ottenendo il bronzo. Con l’età del bronzo
si entra nella protostoria, cioè nel periodo di
transizione compreso tra i tempi storici e quelli preistorici.
Nella Protostoria si elaborano le prime documentazini scritte; a
partire da queste documentazioni ricaviamo i limiti cronologici,
che variano in relazione ai diversi paesi: nell'Europa
occidentale la protostoria coincide con la prima età del ferro.
Gli scavi stratigrafici di Chiusazza, vicino Siracusa, hanno
portato alla luce manufatti in ceramica dell’età del rame;
questa ceramica è stata classificata in diversi tipi i più
antichi dei quali sono anteriori al protoelladico greco e si
apparentano ai tipi tardivi del neolitico nella Grecia
continentale. La ceramica dei bellissimi vasi monocromi rossi,
semi ovoidali di Malpasso, e quella del fiaschetto a collo alto
di Monte
Sant’Ippolito, si fa risalire ad un tipo noto a Cipro,
della prima età anatolica del bronzo.
Durante l’età del bronzo si fa sempre più imponente in
Sicilia l’influenza della civiltà
micenea, allora nel suo primo sviluppo marittimo ed
espansionistico. Appartengono a questo periodo le tombe scavate
nella roccia, con ampia cella preceduta da un vano di accesso,
rinvenute a Pantalica,
a Monte Sant’Ippolito, a Castelluccio e a Cassibile.
L'abbondanza dei reperti ritrovati permette di stabilire una
cronologia relativamente precisa. Favorite dalla vicinanza dello
Stretto di Messina e dall'esperienza dei propri marinai, le
Isole Eolie vivono una brillante rinascita. Negli strati di Capo
Graziano (Filicudi) si trovano prodotti egei appartenenti alla
fine dell'elladico medio (1580 - 1550) e al miceneo (1550 - 1400
a.C.); si tratta di ceramiche ad impasto piuttosto grossolano,
ornate di linee incise e punti, derivate da un prototipo dell'elladico
medio del Peloponneso (plimia). Nella stessa zona si trovano
armi ed attrezzi di pietra, stampi per oggetti di bronzo e fusi
che attestano l'uso della filatura e della tessitura.
In Sicilia, la civiltà detta di Castelluccio sembra
contemporanea all'elladico medio e recente (1800 - 1400 a.C.).
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Rinvenimenti risalenti alla civiltà di Castelluccio sono le
tombe che si presentano come piccole celle arrotondate aperte
verso l'esterno da una finestrella che dà su un pozzetto o su
una specie di edicola, e chiusa da una lastra, talvolta scolpita
con decorazioni a spirale.
Arricchiscono il decoro funerario trovato all'interno di queste
tombe, lame in ossidiana, asce in basalto, armi in pietra e
statuette sacre. Tipica dell'elladico medio è la ceramica a
fondo giallo e rosso, dipinta con linee marroni o nerastre e la
ceramica "cappadoce" dell'Anatolia centrale. Di chiara
influenza occidentale è il "bicchiere campaniforme"
iberico, di cui ritroviamo alcuni richiami nei rinvenimenti
della parte nord-occidentale della Sicilia.
Solo alla fine del II millennio a.C. ha inizio l’età del
ferro che ha visto la definitiva indoeuropeizzazione delle
popolazioni mediterranee della penisola. Tale fenomeno porta
alla costituzione, in Italia, di un vero e proprio mosaico di
popoli: quelli che parlano lingue pre-indoeurope e quelli che
invece usano idiomi di origine indoeuropea. I primi, più
antichi, sono stanziati nella fascia tirrenica e nella Sicilia
occidentale, gli altri occupano la costa orientale.
I popoli non indeuropei sono invece gli elimi e i sicani nella
Sicilia centro-occidentale, e i fenici di origine semitica che
mantengono le loro basi commerciali nell'isola. I siculi sono
sicuramente indeuropei e si affermano nella Sicilia orientale.
Dell'età del ferro rimangono tracce di villaggi di capanne,
come a monte Finocchito mentre le ceramiche e gli oggetti
metallici rinvenuti, testimoniano scambi commerciali con i
popoli ellenici.
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Gli
elimi |
Stanziatisi nella parte nord-occidentale della
Sicilia, probabilmente prima dell'avvento dei coloni fenici, gli
elimi fanno di Segesta, Erice ed Entella i loro centri
principali. La storia di questo popolo si conclude già nel IV
sec. a.C. e le testimonianze a noi pervenute dicono poco.
Secondo il mito, Elimo era un principe troiano, figlio di
Anchise e fratellastro di Enea.
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I
sicani |
Gli studi archeologici fanno risalire al III
millennio a.C. l'arrivo dei sicani nella Sicilia occidentale, in
particolare nella parte situata ad ovest dell'Imera del sud
(Salso). I loro contatti con la civiltà
minoica sono stati convalidati da scoperte recenti
mentre non sono tuttora chiari i rapporti esistenti con i vicini
elimi. Giunti probabilmente dalla Spagna, i sicani fanno di
Iccara, Inico e Indara i loro centri principali.
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I
fenici |
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L’infiltrazione fenicia in Sicilia non è
datata in modo certo. Probabilmente il popolo, il cui nome
deriva dal greco “phôinix” e significa rosso, in relazione
alle stoffe purpuree da esso prodotte, si è stanziato nella
parte occidentale dell’isola in età anteriore a quella
ellenica (o forse contemporaneamente agli elleni).
Le difficoltà a precisarne la storia derivano non soltanto
dalla scarsa documentazione ma anche dal tipo di organizzazione
politica che, sebbene aiuti la ricostruzione storica delle
diverse città fenicie, non agevola quella unitaria del paese.
Gli stanziamenti fenici si ritrovano in tutto il Mediterraneo;
in questo mare i fenici diventano gli intermediari tra Oriente
ed Occidente.
Ma il momento di massima espansione si ha dall’XI secolo in
poi, quando i fenici si stabiliscono nella Sicilia orientale e
nelle isole di Malta, di Gozo e di Pantelleria. Anche
l’origine di Palermo è fenicia così come quella della non
lontana Solunto, di San Pantaleone (vicino Marsala) e della
piccola Mozia.
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Nell'isolotto di Mozia recenti scavi hanno consentito di
identificare un Tophet, replica del Santuario di Baal-Hammon a
Cartagine. Diversamente da quelle greche le colonie fenicie non
erano organizzate come città stabili, ma come punti di scambi
commerciali in relazione alla loro attività principale, quella
marittima e mercantile. Con i maestosi cedri del Libano, i
fenici costruivano agili imbarcazioni per navigare nel
Mediterraneo e così le coste raggiunte sono state attivate nel
tempo da porti fiorenti.
Si racconta che, gelosissimi della loro supremazia sul mare,
questo popolo teneva in segreto le rotte da seguire e diffondeva
leggende terribili per scoraggiare la concorrenza. Sono stati,
infatti, i fenici ad inventare l’esistenza di Scilla e Cariddi:
i due mostri che affondavano le navi nello stretto di Messina.
L’esigenza di facilitare i rapporti con i popoli più diversi
ha spinto probabilmente i fenici ad elaborare una scrittura
semplice e veloce: nasce così l’alfabeto della città di
Biblo con ventidue segni corrispondenti ai principali suoni
della voce umana. Dall’alfabeto fonetico sono derivati quello
ebraico, quello greco e quello romano ancora oggi in uso.
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I
siculi |
Soppiantando lentamente i sicani, il popolo
siculo, che risale al II millennio a.C., si è insediato nella
parte orientale dell'isola. I dati che si possiedono sulla loro
lingua provano una certa affinità con il latino. Nemici dei
greci, così come i sicani, ne assorbirono tuttavia la loro
cultura. Ai siculi si attribuisce
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Le
vicende storiche |
Attirati dalle
bellezze naturali dell'isola, i greci si stabiliscono
nel 735 a.C. circa lungo la costa orientale fondando,
diversamente dai fenici, colonie di popolamento (colonie
agrarie) e semplici empori. Allora la Sicilia era
coperta da fertili terre vulcaniche, aree boscose e zone
molto più ricche di risorse naturali: questo spinse i
mercanti calcidici, venuti dall'Eubea, a fissare la loro
dimora a Nasso, alle falde dell'Etna, e a fondare
Leontini (attuale Lentini), come città prevalentemente
agricola, e Catania come città dedita ai commerci.
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Numerose altre colonie nascono poco dopo: Zancle
(attuale Messina), Milazzo e Imera.
Siracusa
diviene la principale colonia greca nel 734 a.C. ad
opera dei Corinzi venuti dopo i Calcidesi. Una serie di
città elleniche si estende così lungo la costa insieme
a Megara Iblea che, fondata dai megaresi, colonizza
Selinunte, che successivamente fonda Eraclea Minoa.
Circa un secolo dopo gli abitanti di Rodi e Creta
avanzano lungo la costa meridionale della Sicilia per
fondarvi Gela da cui ha origine Agrigento nel 582.
Secondo quanto testimonia la storiografia, nella maggior
parte di queste città entrano in conflitto il potere
oligarchico e quello democratico. Quasi sempre lo
scontro si risolve a favore di un tiranno che appartiene
all'aristocrazia o di un despota proveniente dal popolo.
Tra i governi tirannici che si instaurano all'interno
del paese hanno lunga durata quelli di Panenzio a
Leontini, di Falaride ad Agrigento, di Ippocrate a Gela
e di Gelone a Siracusa.
Quando, intorno al 480 a.C., si delinea la minaccia
cartaginese, le città greche (o siciliote) si
coalizzano guidate dai rispettivi capi e riescono a
resistere all'attacco dei nemici. Lo scontro decisivo
coinvolge Siracusa e Agrigento presso Imera, sulla costa
settentrionale, e si risolve con la vittoria sul
generale cartaginese Amilcare Magone. Questa vittoria
completa quella di Temistocle su Serse e contribuisce in
gran parte a salvare la civiltà ellenica dalla minaccia
barbara. A tal proposito si ricorda che quando Eschilo
fa rappresentare "I Persiani" nel teatro di
Siracusa, la sua tragedia, che aveva per soggetto
Salamina, commuove profondamente l'animo degli
spettatori data la scottante attualità per il superato
pericolo comune.
Alla battaglia di Imera segue il periodo più florido
dal punto di vista culturale ed artistico: Agrigento
conosce il suo apogeo già al tempo del tiranno Falaride
(571-554), uomo tanto potente quanto crudele, che faceva
arrostire i suoi nemici in un toro di bronzo ma che ha
reso Agrigento temibile per i cartaginesi e prospera
nelle scienze e nella poesia; persino Pitagora era
ospitato presso di lui.
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Anche Siracusa risplende dopo la
vittoria di Imera sotto Gerone, successore di Gelone, al
quale si deve la costruzione dell'istmo che ancora oggi
unisce la terraferma all'isola di Ortigia, separando i
due porti.
Questo è il momento più proficuo anche per la corte
che ospita artisti di ogni genere: da Eschilo, a
Simonide, a Pindaro ecc.
La forza marina e mercantile di Siracusa aumenta: si
esportano cereali, bestiame, tessuti e manufatti in
genere fino alla Sardegna e alla Corsica. Si assiste ad
un aumento demografico pari a quello di Atene e lo
stesso sviluppo nei commerci adombra l'espansione delle
altre colonie. Siracusa diventa la capitale della
Sicilia greca alla morte di Dionigi il Vecchio. Sotto il
figlio di quest'ultimo, Dionigi il Giovane, si conclude
la pace con Cartagine e successivamente il potere della
città raggiunge l'Italia meridionale; le città di
Agrigento e Gela rifioriscono nelle arti e nella vita
pubblica.
L'apogeo di Suraka (Siracusa) termina alla morte del
tiranno Timoleonte, quando succede Agatocle; questo
stratega bellicoso sbarca in Africa per opporsi alla
minaccia punica e riusce ad occupare, dopo alterne
vicende, alcuni centri alleati dei cartaginesi. Anni
dopo sarà la volta di Pirro, re dell'Epiro, chiamato
dai siracusani assediati da Cartagine; seguiranno dure
battaglie che non portaranno a cambiamenti decisivi e si
dovrà aspettare la tirannide di Gerone II, il quale,
alleatosi con Roma dopo le lotte contro i Mamertini (285
a.C.), mercenari campani, aprirà il momento delle
guerre puniche.
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L'archeologia |
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L'interessante storia archeologica
della Sicilia greca è testimoniata da singoli centri
straordinariamente ricchi di monumenti, sculture,
ceramiche e serie numismatiche risalenti all'arcaismo
dorico.
Tra l'VIII e il V sec. a.C. fioriscono infatti grandi
centri quali Tindari, Milazzo, Palermo, Solunto,
Siracusa, Agrigento, Megara, Enna ecc. che decadono
sotto il dominio romano.
Divenendo presto potenze mediterranee, queste città
entrano in conflitto con Cartagine, che allora dominava
le rotte e i commerci tra l'Africa e l'Europa.
Il processo di ellenizzazione accelera le ambizioni
delle popolazioni che, vivendo un rapporto più
armonioso con il territorio, eternano la loro cultura
attraverso i segni dell'arte
a noi noti.
Alcune delle colonie greche conservano i fratelli dei
templi dorici di Atene, Olimpia e di Paestum, pari a
questi per eleganza ed armonia. Le città della Sicilia
greca conservano, ancora oggi, l'antica pianta regolare
- con strade che si incrociano ad angolo retto, tagliate
al centro da un'arteria maggiore - con resti delle mura
di cinta: sono esemplari Selinunte,
Agrigento e Tindari. Splendida l'architettura dorica del
Tempio della Concordia del V sec. a.C. ad
Agrigento, e il Castello
Eurialo di Siracusa, famoso per essere il
sistema di fortificazioni più vasto in Sicilia,
comprendente mura, trincee e gallerie sotterranee.
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In ogni città era presente una
piazza centrale, l'agorà, tipicamente greca, con
teatri, visibili ancora oggi, come quello immerso tra i
solitari monti di Segesta o quello di Tindari, che
domina sull'infinità del mare.
Caratteristica di tutti i templi sicelioti è la
decorazione della loro parte alta, insieme alle cornici,
al frontone, agli acroteri (ornamenti della parte
superiore dell'edificio).
Molto diffusa, tra l'altro, la grande plastica in
terracotta o in pietra, come quella di Gela.
Nelle metope scolpite spesso nella stessa pietra del
tempio sono trattati temi religiosi e i miti più
conosciuti in Sicilia e nella Magna Grecia;
interessante, ad esempio, il gruppo di Selinunte dove si
presume essere nata una vera e propria scuola di
scultura.
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La
storia nei fatti |
La storia della cultura
occidentale vive un momento di svolta nel III sec. a.C., quando
la civiltà greca entra per la prima volta in contatto con Roma.
Il dialogo tra queste due culture non ha generato, in campo
artistico e letterario, ciò che oggi indicheremmo come nuovo,
tanto i cittadini di Roma erano concentrati nel governo dello
stato e nelle lotte contro chi li minacciava.
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A ben guardare, il desiderio di conquista e di espansione era
soltanto l'espressione più superficiale del sentimento di
adorazione verso la legge ordinatrice e civilizzatrice dei
popoli.
Così, quando i romani arrivano in Grecia, sono già i
rappresentanti di uno stato forte ed unitario capace di
assorbire al suo interno nuovi popoli, imporre loro la propria
legge, lasciando comunque libertà di espressione negli usi e
nelle tradizioni.
In questo modo l'abilità nel conquistare il vinto si potenzia
naturalmente, incidendo anche sulla forza di espansione.
Ripercorrendo le tappe delle principali vicende storiche che
hanno inciso sulle trasformazioni della civiltà mediterranea,
in questo momento storico, non possiamo non tenere conto del
periodo in cui opera Pirro, re dell'Epiro, nella Grecia
nord-occidentale.
Passato alla storia come uno dei più
grandi condottieri greci, Pirro si rivela in tutta la sua abilità
di capo contro Roma, nel 280 a.C., quando ottiene diverse
vittorie, subendo anche perdite insanabili. Nel 278 a.C. Pirro
giunge in Sicilia, e precisamente a Taormina, dove cacciai
cartaginesi. Soltanto nel 276 a.C. i romani lo
sconfiggono definitivamente a Benevento, ponendo fine al suo
desiderio di espansione. Ma già nel 285 a.C. Gerone II,
attaccato e sconfitto dalla flotta cartaginese, si è alleato
con i romani fornendo loro l'occasione tanto attesa di penetrare
nell'isola. Inizia, in questo modo, il grande scontro tra le due
potenze per la supremazia sul Mediterraneo.
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Le battaglie sconvolgono l'intera isola e si combattono per mare
e per terra.
La prima guerra punica - perché i cartaginesi erano anche
chiamati Puni - scoppia così a di un urto di interessi in campo
marittimo: il dominio cartaginese esteso nella Sicilia
occidentale, porta la repubblica a mutare le sue prospettive
politiche e il senato comincia a preoccuparsi dei risvolti
futuri di quel controllo incondizionato sui mari.
A tal proposito risulta chiarificatore il detto dei cartaginesi
che "i romani in quel mare (il Tirreno) non potevano
neppure lavarsi le mani senza il loro permesso". Su
richiesta degli abitanti di Messina, in attrito con Siracusa,
Cartagine invia in città un piccolo presidio militare nel 265
a.C., ma ciò suscita il malcontento dei cittadini, i quali, a
loro volta, richiedono una guarnigione romana che occuperà
Messina l'anno successivo.
In questo modo si arriva alla prima guerra punica (264-241 a.C.),
che mette l'una contro l'altra le due grandi potenze del
Mediterraneo: Roma ha la meglio nello scontro a terra e
costringe gli avversari a ritirarsi nel Lilibeo e a Trapani,
vero e proprio porto franco data la totale inesperienza
marittima dei romani, la cui lingua era carente persino di
vocaboli nautici. Nel 262 a.C. sono conquistate anche Segesta e
Agrigento.
Soltanto a Milazzo (Mylae), nel 260 a.
C., il console Caio Duilio riesce ad ottenere un successo
imprevisto grazie anche al fatto che i cartaginesi avevano
sottovalutato del tutto l'ingegnosità del nemico: un esempio
delle straordinarie capacità belliche dei romani è dato
dall'uso dei cosiddetti corvi, i ponti mobili muniti di raffi a
becco di corvo, con i quali si agganciavano le navi nemiche, per
permettere all'equipaggio di attaccare l'avversario come sulla
terraferma.
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Soltanto sotto il console Caio Lutazio Catulo (241 a.C.) Roma
riesce a sconfiggere definitivamente i cartaginesi di Annone,
alle isole
Egadi. A garantire questo risultato è la superiorità
militare, ma anche politica e organizzativa, dimostrata da tutta
la federazione italica, di fatto, la classe dirigente romana non
era all'altezza del suo stesso compito: il cuore del
Mediterraneo non pulsava più come ai tempi di Cartagine e ne è
testimonianza la condizione
politico-sociale vissuta nella provincia di Sicilia.
Si arriva così al 218 a.C, anno della seconda guerra punica. Le
basi di appoggio romane sono Messina e Lilibeo, ma tutta la
Sicilia viene coinvolta, e gli abitanti si dividono tra gli
avversari.
Parecchi si ribellano alla potenza romana, ma senza successo;
questo forte sentimento anti-romano si diffonde anche a
Siracusa, che viene attaccata dal console Claudio Marcello. Alla
difesa di Siracusa contribuisce l'ingegno di Archimede, che
induce una forte frustrazione nei romani, incapaci di prevederne
le mosse in guerra. Tuttavia Claudio Marcello si esprime in
tutta la sua brutalità, distruggendo Megara e domando la
rivolta di Enna.
Siracusa invece viene conquistata nel 212, quando muore lo
stesso Archimede. A tal proposito è noto il malcontento
generale dei siciliani nei confronti di questo console, per la
grande quantità di tesori d'arte che quest'ultimo ha fatto
portare a Roma, oltre al solito bottino.
Meravigliose pitture e inestimabili sculture sono state
letteralmente strappate dai muri dei templi, per essere
imbarcate.
Nel 201 a.C. termina la seconda guerra punica, con la sconfitta
di Annibale a Zama (nord Africa).
La nuova realtà trasforma radicalmente la vita sociale e
politica del paese: si forma il latifondo come fenomeno
economico e strutturale, mentre piccoli appezzamenti riempono
gli spazi esistenti tra i "latifundia" e i pascoli.
Scavi archeologici e riferimenti letterari dimostrano anche che
i romani apportavano migliorie apprezzabili alle vie
di comunicazione interne e alle strade più importanti,
in Sicilia e nei territori di conquista.
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Roma,
signora del Mediterraneo |
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La presenza romana si consolida nell'isola al termine della
terza guerra punica (146 a. C.) e dopo la distruzione di
Cartagine, quando iniziano le grandi rivolte degli schiavi.
La prima rivolta degli schiavi si fa risalire al 139 a. C. e
interessa la città di Enna. La classe degli schiavi è
piuttosto eterogenea: prigionieri di guerra, uomini e donne
liberi di alto rango che parlano il greco, agricoltori e
pastori, lavorano i latifundia e vivono in miseria.
La rivolta di Enna è capeggiata da un certo
Ennio, proclamato re dopo che il ricco padrone Damofilo viene
ucciso. Analoga è la ribellione che si scatena nella zona
dell'agrigentino e che si estende a Taormina e Morgantina; Sotto
il console Rupilio P. la parte orientale dell'isola era
soffocata, ma l' eco delle lotte raggiunge la parte occidentale,
dove altri due leaders emergono dalla massa degli schiavi -
Salvio nella regione di Alicie ed Eraclea, Atenione tra Segesta
e Lilibeo - per essere repressi dall'abile comandante Aquilino.
Le due rivolte causano danni notevoli, ma la Sicilia
ricostituisce presto le sue ricchezze e fa da sfondo anche nella
guerra civile tra Bruto e Cassio, e i triunviri Antonio,
Ottaviano e Lepido, quando a Sesto, figlio di Pompeo, viene
riconosciuto, dai triunviri, il potere sull'isola, sulla
Sardegna e sulla Corsica (39a. C.). Ma l'accordo non dura a
lungo e si giunge alla battaglia di Anzio (31 a. C.) con
Ottaviano capo incontrastato dell'impero. Per tutta l'età
imperiale, in Sicilia nessuno aveva avuto la volontà di farsi
avanti e iniziare la carriera amministrativa, ma ciò nonostante
le classi medie e alte si distinguevano nella ricchezza e nello
sfruttamento delle terre. Questa prosperità era la base per
attività quali il commercio, le industrie navali e
l'esportazione.
Per quanto riguarda il commercio in Sicilia, sono stati
rinvenuti oggetti di terracotta che attestano gli spostamenti e
i contatti con Africa, Spagna e Gallia. Un esempio è dato dalla
necropoli di Sabucina.
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I bizantini, per opera del generale
Belisario, conquistarono la Sicilia nel 535. Poche sono le
testimonianze sull'amministrazione dell'isola da parte dei nuovi
conquistatori, ma è certo che nel periodo bizantino i siciliani
godettero di un clima di pace. La Sicilia non fu coinvolta,
infatti, nelle guerre che tormentarono, nel secolo successivo,
l'Italia e il Nord Africa.
Nel 565, alla morte di Giustiniano, l'Impero d'Oriente mostrava
già i segni di debolezza economica, per la necessità di far
fronte con ingenti somme al mantenimento degli eserciti. A ciò
si aggiunse il contrasto tra l'imperatore e il papa, che culminò
con l'arresto di papa Martino da parte di Costanzo.
Nel 660 Costanzo decise di trasferire la capitale da
Costantinopoli di nuovo in Occidente: per cinque anni Siracusa
fu la capitale dell'impero bizantino. I Siciliani sperarono di
ottenerne prestigio e ritorni finanziari, ma la residenza
dell'imperatore nell'isola significò, al contrario, un
insostenibile onere finanziario. Inoltre il governo di Costanzo
si rivelò tirannico, tanto che l'imperatore fu assassinato nel
668. A seguito di una rivolta secessionista, fu dichiarato
imperatore a furor di popolo un aristocratico armeno, ma l'anno
successivo le fiamme della rivolta si spensero di fronte
all'esercito del figlio di Costanzo, che riportò la capitale a
Costantinopoli.
Da questo momento in poi il Mediterraneo sarà spazio di
conquista dell'Islam e la Sicilia diventerà un importante nodo
strategico e una roccaforte dell'ortodossia (tra il 678 e il 751
tutti i papi, tranne due, furono siciliani). Nell'800, a seguito
del suo arresto da parte dell'imperatore, l'ammiraglio Eufemio
istigò una rivolta popolare. L'azione di Eufemio (proclamatosi
imperatore) provocò a sua volta la ribellione di un suo
luogotenente, tanto che l'ammiraglio si vide costretto a
chiedere aiuto all'emiro aglabide, in cambio della Sicilia come
provincia tributaria, a patto di esserne il governatore. Iniziò
così, con l'invio di un esercito di 10.000 uomini (arabi,
berberi e musulmani spagnoli), la conquista e l'espansione araba
in Sicilia.
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La conquista araba non fu certo indolore e
come ogni atto militare trascinò dietro distruzioni e
disordini. Ma i nuovi conquistatori, ottenuto il possesso
dell'isola, si rivelarono clementi: alcune città rimasero,
almeno virtualmente, indipendenti e la libertà di religione
venne in qualche modo assicurata. Ma, tra le altre cose, sia i
cristiani che gli ebrei dovettero pagare più tasse, portare
particolari indumenti per farsi riconoscere e segnare le loro
case.
La politica economica dei musulmani determinò una fioritura del
commercio e fece della capitale Palermo, una grande città. Città
cosmopolita, Palermo si riempì di orti e giardini meravigliosi,
grazie alle progredite tecniche di ingegneria idraulica di cui
gli arabi furono maestri. Oltre all'agricoltura, fiorente fu,
sotto gli arabi, l'industria della pesca, dell'estrazione dei
metalli, delle manifatture tessili.
Ma il bilancio della dominazione non fu tutto positivo. La
conquista araba produsse notevoli danni e devastazioni del
territorio, a seguito di incendi e disboscamenti estesi.
La Sicilia musulmana all'inizio fu governata dagli Aglabiti che
ebbero, con una guerra civile, come successori i Fatimiti.
Questi spostarono la capitale del regno in Egitto, lasciando la
Sicilia molto più indipendente, tanto che vi si insediò la
famiglia dei Kalbiti. L'isolamento dell'isola diede spazio a
Bisanzio per un nuovo avvicinamento, che ebbe inizio con la
stipulazione di un trattato tra l'emiro kalbita e l'impero. Ma
il tentativo di riconquista bizantina non ebbe successo. I
protagonisti del mondo mediterraneo stavano nuovamente
cambiando. Nel 1060 Ruggero il Normanno sbarcò a Messina
"inaugurando", così, l'avanzata normanna nell'isola.
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Dagli
Angioini agli Aragonesi |
La morte di Federico II di Svevia
(1250) aveva privato la Sicilia della sua guida
illuminata. Ciò fu causa di un declino che investì la
politica,l'amministrazione del Regnum e la
tranquillità stessa del paese.
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Le tensioni interne sfociarono, tra l'altro, in
discordie civili e vendette familiari per la contesa di
quanto era rimasto della Sicilia normanna.
Il potere papale si espresse anche in campo politico: la
corona di Sicilia passò al principe inglese Edmondo di
Lancaster che, per dieci anni, detenne il titolo di
"re di Sicilia per grazia di Dio".
Nel 1261 Edmondo fu deposto da un papa francese che,
desideroso di affermare la propria supremazia feudale,
convinse Carlo d'Angiò, fratello del re di Francia, San
Luigi, a perorare la sua causa sostituendo Edmondo.
Incoronato a Roma cinque anni dopo, Carlo partì per
sottrarre il trono a Manfredi, l'eroe degli Hohenstaufen.
Il regno fu conquistato senza molta resistenza e
Manfredi cadde sul campo.
Due anni dopo, alla notizia che l'ultimo degli
Hohenstaufen, il giovane Corradino, si apprestava ad
invadere il regno con l'appoggio delle città
ghibelline, i siciliani si sollevarono; soltanto Palermo
e Messina rimasero nelle mani degli Angioini.
Ma Corradino fu sconfitto a Tagliacozzo, fatto
prigioniero, giudicato a Napoli e qui decapitato nel
1268.
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Le violenze della riconquista scatenarono il
risentimento dei siciliani che, nel 1282, esplose con i
"Vespri siciliani". Il furore del popolo fu
una violenta espressione del desiderio di indipendenza
del paese.
Nata come rivoluzione popolare, questa rivolta si
trasformò quasi subito in movimento per l'autonomia
municipale e divenne, infine, un conflitto, sul piano
economico, tra gruppi di baroni tedeschi e francesi per
decidere le sorti del nuovo feudalesimo.
In questo quadro prese forma anche la lotta contro gli
Angiò da parte dei catalani e dei napoletani.
Protagonisti furono: un esiliato, nemico giurato degli
Angioini, Giovanni da Procida, e Pietro d'Aragona che
era convinto di rivendicare i diritti di sua moglie,
figlia di Manfredi.
Sapere quando e come il dominio degli Aragonesi si
impose sull'isola, si è rivelato un tentativo
fallimentare; certamente ne fu preludio la richiesta
d'aiuto, a Pietro III il Grande, da parte di un gruppo
di notabili siciliani in rivolta contro Carlo d'Angiò.
Aiutato dai baroni Pietro giunse a Trapani il 30 agosto
del 1282 ed entrò trionfalmente a Palermo proclamandosi
re di Sicilia. Il suo esercito, intanto, liberava anche
Messina dal dominio angioino.
Da allora il regno di Sicilia fu diviso in due e la
Calabria, identificata per secoli con la Sicilia,
entrava nel Regno di Napoli.
Lo stretto di Messina avrebbe così allontanato l'isola
dal resto d'Italia geograficamente e culturalmente,
privandola anche delle relazioni stimolanti con i
professionisti della monarchia Hohenstaufen e con il
mondo dell'arte.
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Sotto
gli Aragonesi |
La dominazione aragonese fu accettata
senza troppe riserve; probabilmente i
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siciliani avevano sperato che un re spagnolo, trovandosi
altrove, avrebbe lasciato loro maggiore libertà
rispetto a quanto non avevano fatto Federico II e Carlo.
Ma ciò non si verificò nel modo previsto, infatti
Pietro III d'Aragona, detto il Grande, sebbene
accettasse che il regno si mantenesse separato, ignorò
spesso i privilegi feudali; inoltre egli aveva previsto
che, alla sua morte, le corone di Sicilia e di Aragona
non si sarebbero riunite sotto un unico sovrano, ma
anche questa promessa non venne mantenuta: Giacomo, il
successore di Pietro, sarebbe rimasto re della Sicilia e
di Aragona e i siciliani avrebbero continuato a fornire
grano, soldati e navi.
In questo modo la tanto agognata autonomia non fu mai
conquistata e molti siciliani rimpiansero la dominazione
angioina.
Morto Pietro, la corona di Sicilia passò al figlio
Giacomo, e quella d'Aragona al figlio Alfonso; ma, morto
quest'ultimo, Giacomo gli succedette al trono nominando
il fratello più giovane, Federico III, viceré a
Palermo. Approfittando del momento di debolezza
politica, Federico si fece eleggere re dai siciliani
ostili alla riunione delle due corone.
Dopo una guerra che vide alleati Giacomo d'Aragona e
Carlo II d'Angiò contro Federico, si arrivò alla pace
di Caltabellotta nel 1302: la sovranità di Federico
sulla Sicilia fu così riconosciuta.
Durante il suo regno si accentuò il regime feudale:
venne istituito un parlamento con tre bracci
(ecclesiastico, demaniale e militare), si radicò il
latifondismo e l'economia entrò in crisi.
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La pace di Caltabellotta fu interrotta qualche anno
dopo, quando non ne vennero messe in pratica le
previsioni: l'isola non venne restituita agli Angioini
alla morte del re e ciò determinò la ripresa delle
ostilità durante il governo di Pietro II (1337-1342),
Ludovico (1342-1355) e Federico IV (1355-1377).
Si giunse così, tra alterne vicende, alla pace di
Catania nel 1372 quando Giovanna I d'Angiò rinunciò
definitivamente ai diritti sulla Sicilia.
Intanto l'isola era dilaniata dalle lotte che vedevano
protagoniste potenti famiglie quali Chiaramonte,
Ventimiglia, Peralta e Alagona che si contendevano
l'amministrazione del paese.
Quando Federico IV morì, la corona passò alla figlia
Maria. A quel punto diveniva di cruciale importanza
sposare la regina. Nel 1390 Maria venne rapita dal
castello di Catania e portata a Barcellona, dove sposò
Martino il Giovane infante d'Aragona, figlio di Martino
il Vecchio detto l'Umano: soltanto due anni dopo l'isola
fu invasa. Questa seconda ondata spagnola portava
numerosi proprietari terrieri desiderosi di dominare nel
governo e nell'amministrazione.
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La
Sicilia, dipendenza spagnola |
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Il governo di Martino I fu segnato
dalla costante presenza del padre Martino II il Vecchio,
che regnò dopo di lui per pochi mesi controllando in
dettaglio l'amministrazione siciliana.
Con questi due ultimi re, la Sicilia ritornò ad essere
una dipendenza spagnola e, nonostante l'opposizione
baronale, cominciò a essere governata, sotto Ferdinando
I di Castiglia (1412), per delega dai viceré: per i
quattrocento anni successivi la Sicilia avrebbe perso le
prerogative di un importante centro di governo per
diventare centro esclusivamente amministrativo.
I siciliani si rivelarono molto leali nei confronti
degli spagnoli e ciò venne confermato anche dal regno
di Alfonso V il Magnanimo dopo il 1416. Quest'ultimo
governò per circa quarant'anni e si distinse per il
coraggio e l'abilità dimostrata in politica. Valoroso
mecenate, fu il simbolo dei successi ottenuti nel
Mediterraneo occidentale. Riunendo sotto la stessa
corona Sicilia, Sardegna e
regno di Napoli, Alfoso V si meritò per primo il titolo
di rex utriusque Siciliae (re delle Due Sicilie).
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Alfonso fece eseguire importanti lavori pubblici,
specialmente nel porto di Palermo, e fondò il Siculorum
Gymnasium (l'Università di Catania). I suoi
successori, Giovanni II d'Aragona (1458-1516) e
Ferdinando II il Cattolico (1479-1516) non si distinsero
nello stesso modo; eppure due importanti misure datano
al periodo di Ferdinando: l'espulsione degli Ebrei
(1492), che costituì un grave pregiudizio per l'
economia siciliana, e l'introduzione nell'isola del
tribunale del Sant'Uffizio
(1513).
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Attraverso la moglie Isabella, Ferdinando unì l'Aragona
alla Castiglia facendo della Sicilia una provincia del
nuovo impero spagnolo; condannata a perdere di
importanza, l'isola fu costretta a subire l'introduzione
dell'Inquisizione: dal 1487 in poi, Torquemada organizzò
un'istituzione permanente con sede nel palazzo reale di
Palermo.
Alla morte di Ferdinando, la corona passò a suo nipote,
il futuro Carlo V (1516-1554), fondatore della dinastia
degli Asburgo di Spagna ed imperatore di Germania a
partire dal 1519.
Durante il regno di Carlo V scoppiarono in Sicilia una
serie di insurrezioni; quella più seria è datata 1516:
durò quasi un anno e fu voluta dai baroni inquieti
perché andavano perdendo un potere politico durato due
secoli e mezzo.
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L'isola
vicereame spagnolo |
Affermatasi in un momento politico di difficile
gestione, date le rinnovate incursioni ottomane nel
Mediterraneo, la dominazione spagnola fu apprezzata dai
siciliani sia per l'aiuto militare impiegato nella
difesa dell'isola, sia perché fece della Sicilia un
baluardo strategico contro le incursioni turche
determinando un rilancio della sua funzione
mediterranea.
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Tuttavia, la condizione politico-sociale venne
appesantita dalle strategie adottate dagli spagnoli: il
parlamento era quasi assente e veniva frequentemente
sostituito dagli organi di governo connessi con la
Corona. I baroni ottennero molti più privilegi e nuovi
feudi ma questi ultimi, a causa dello scarso senso
imprenditoriale dei proprietari, furono spesso
abbandonati dai contadini che si riversarono nelle città
alla ricerca di migliori condizioni di vita.
In questo quadro non mancarono quindi rivolte popolari
come quella di Palermo del 1647, guidata da La Pilosa
(un assassino condannato ed evaso) e quella di Messina
del 1674, sostenuta da Luigi XIV.
Due secoli della storia siciliana furono segnati dalla
dominazione spagnola, con chiari segni di crisi
cancellati soltanto con la pace di Utrecht nel 1713; da
questo momento l'isola venne confiscata a Filippo V di
Borbone e passò al suocero Vittorio Amedeo, duca di
Savoia.
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Il regno delle Due Sicilie
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Dal
1713 ai Borboni |
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Nel 1713, con la firma della pace di Utrecht, la Sicilia
spagnola fu ceduta, con titolo di regno, a Vittorio
Amedeo II di Savoia. Dopo un primo momento di
soddisfazione per questa investitura da parte dei
siciliani, speranzosi di vedere trasformato il regno in
punto di riferimento politico per l'unificazione
italiana, la nomina andò via via risvegliando l'ostilità
dei baroni a causa di una sgradita imparzialità
nell'applicazione delle leggi.
Si tornò così a guardare nostalgicamente al governo
spagnolo al punto che quando, nel 1718, la Spagna attaccò
nuovamente l'isola, trovò ampio consenso tra i nobili;
in quella occasione due ingenti eserciti si scontrarono
per un anno intero in quella che passò alla storia come
la più grande battaglia combattuta nell'isola dai tempi
dei romani: la battaglia di Francavilla.
Il sogno di un ritorno spagnolo venne però infranto
dall'intervento della Quadruplice Alleanza (Inghilterra,
Austria, Province Unite e Francia) che decise la
cessione dell'isola all'Impero asburgico.
Dopo sedici anni di dipendenza austriaca, acute tensioni
internazionali portarono alla Guerra di Successione
polacca: don Carlos (Carlo di Borbone, duca di Parma)
vinse sugli austriaci nella battaglia di Bitonto del
1734, riunendo così le sorti della Sicilia a quelle di
Napoli.
Divenuto re con il titolo di Carlo III, don Carlos fu
salutato con grandi onori; riaprì il palazzo reale di
Palermo e introdusse nel regno segni della cultura
spagnola, come le corride che si svolsero per tutto il
'700 e parte dell'800.
Sotto il figlio di Carlo, Ferdinando, salito al trono di
Sicilia nel 1759 con il titolo di Ferdinando III e a
quello di Napoli con il titolo di Ferdinando IV, la
Sicilia si legò sempre più all'Italia.
Per tutto il secolo XVIII i baroni continuarono a
mantenere una forte influenza sul potere politico. La
maggior parte dei siciliani viveva sotto la loro diretta
giurisdizione; circa una ventina di famiglie possedeva
un potere economico
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schiacciante e quelle più importanti vivevano in
palazzi principeschi.
Tuttavia l'amministrazione generale era condotta
all'insegna dell'inettitudine, con alcune importanti
eccezioni: il principe di Niscemi fu un attivo uomo
d'affari; il principe Biscari di Catania si guadagnò la
reputazione di uomo benevolo e dinamico, disponibile ai
contatti con il mondo dell'arte, facendo costruire
bellissimi musei e lanciando l'industria del lino e del
rum.
Molti dei casati nobiliari, pur essendo spesso pieni di
debiti, usavano investire ingenti somme negli agi e
nella costruzione di auliche residenze: si dice ad
esempio che i principi di Valguarnera e di Palagonia
avessero pagato rispettivamente 180.000 e 200.000 scudi
per le loro ville a Bagheria.
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Un
secolo di riforme |
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Il '700 fu il secolo in cui ogni cambiamento
nel campo dell'arte e della politica era destinato ad
abortire a causa degli schemi conservativi che
governavano nella società siciliana. Il genio delle
menti più originali era soffocato e spingeva gli
artisti a cercare lavoro all'estero; questo fu il
destino di artisti illustri quali l'architetto Filippo
Juvara, il compositore Alessandro Scarlatti e Cagliostro.
Molti erano quelli che si facevano aiutare dai baroni
piegandosi così all'ordine costituito.
La speranza di una riforma in campo sociale venne
concretizzata nel mondo ecclesiastico: nel 1767 l'ordine
dei gesuiti fu espulso e i possedimenti terrieri
confiscati, con il pretesto di corruzione, per essere
distribuiti ai contadini; anche se alla fine questi
latifondi andarono ad ingrandire i possedimenti laici già
esistenti. Alcune residenze gesuite furono trasformate
in scuole tecniche per i ragazzi più poveri.
Tuttavia le riforme ci furono, anche se piuttosto
isolate; una di queste interessò il mondo dell'arte: il
fascino che l'isola riscosse attraverso le pagine
letterarie di scrittori illuminati, dissolveva
lentamente l'isolamento in cui il paese era piombato. Fu
soprattutto grazie alle avventure di viaggio raccontate
nelle pagine di Patrick Brydone (1773), che la Sicilia
venne fissata nell'immaginario collettivo come una terra
da esplorare.
Il fascino dell'Illuminismo europero cominciava ad
essere evocato dalle letture proibite degli
enciclopedisti e dalle traduzioni di opere a carattere
filosofico e scientifico, come quelle di Hume e Locke.
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Il
regno delle Due Sicilie |
Fin dall'inizio il dominio dei Borboni
eclissò l'antica dignità di regno che la Sicilia aveva
saputo conquistare nel tempo, riducendo l'isola ad
anonimo territorio di conquista. In questo contesto
dilagò un vivo risentimento popolare nei confronti dei
viceré, anche quando uno di loro, Domenico
Caracciolo, (1781-1786) operò riforme
importanti come l'abolizione dell'Inquisizione e la
riduzione dei poteri baronali.
Soltanto sotto Ferdinando IV i nobili siciliani
riuscirono ad ottenere, nel 1812, anche per le pressioni
della Gran Bretagna, sotto la cui protezione si era
posto il re, una costituzione che rafforzava il loro
potere ampliando alcuni privilegi; quando però a
Ferdinando IV fu concesso di rientrare a Napoli con la
Restaurazione, questa costituzione fu annullata e il re
fondò il regno delle Due Sicilie (1816) con il titolo
di Ferdinando I.
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Questa fusione tolse ai siciliani i pochi privilegi di
cui ancora godevano e ogni prerogativa isolana; ne derivò
un malcontento generale che si espresse nelle lotte
popolari del Risorgimento italiano: Palermo, Catania e
Siracusa furono teatro di insurrezioni sanguinose negli
anni dal 1831
al 1837.
Esasperati dall'assolutismo borbonico, i siciliani
conquistarono la libertà nel 1848
quando Ruggero Settimo, capo della rivoluzione, offrì
il regno a Ferdinando Maria Alberto, duca di Genova e
figlio di Carlo Alberto, che però non accettò.
Un anno dopo il sogno della Sicilia indipendente venne
nuovamente infranto per riaccendersi nel 1860 quando le
"giubbe rosse" di Garibaldi, che governava la
Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II, secondo il
proclama di Salemi, contribuì in modo determinante alla
liberazione del Mezzogiorno e all'unità d'Italia.
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Uno
stato nello Stato |
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Animata da grandi speranze di riforma,
la Sicilia entrò in Italia nel 1860. Sin dall'inizio,
dovendo far fronte a nuovi problemi di natura
economico-sociale, il governo sabaudo si confrontò con
una situazione drammatica.
Le condizioni generali di vita erano caratterizzate da
un totale abbandono: accanto ai privilegi dei nobili e
del clero, le miserie del popolo che languiva di fame.
L'amministrazione sabauda veniva applicata con metodi
inadatti alla situazione contingente: il rigido
fiscalismo sottraeva denaro all'agricoltura dell'isola,
avvantaggiando gli investimenti nel Nord.
Inoltre, per conformarsi al Nord, la Sicilia dovette
osservare leggi anti-clericali che ordinavano lo
scioglimento dei monasteri e la confisca delle proprietà
ecclesiastiche. Oltre a gravi disagi per i religiosi,
queste decisioni causarono l'aumento della
disoccupazione presso i laici.
Si diffuse presto l'"antipiemontesimo": un
sentimento di distanza dalla cultura settentrionale che
si esprimeva nell'ostilità verso il governo ufficiale e
nel brigantaggio.
Nelle campagne, per esempio, si cominciò a preferire la
giustizia delle bande organizzate, appoggiate anche dal
clero, che in pochi anni rafforzarono il proprio potere
anche grazie all'appoggio delle istituzioni del governo
locale.
L'"onorata società" avrebbe assunto, di lì a
poco, un'importanza senza precedenti; nel gergo locale,
il campo semantico della parola mafia includeva
rassicurazione, giustizia e autonomia, ma le regole non
erano quelle dello Stato e quindi la vendetta, l'omertà,
l'intimidazione, il banditismo, cominciarono ad essere
considerati come strumenti di un'organizzazione
criminale. Un'idea giusta andava prendendo la forma di
una pratica ingiusta.
Si trattava pur sempre di un sistema, dietro il quale
nascondere interessi privati, nato per colmare il vuoto
di uno Stato anarchico…e l'obiettivo era sempre
raggiungere maggiore potere e denaro.
Si arrivò così all'insurrezione di Palermo nel 1866,
all'eccidio dei contadini di Caltavuturo nel 1893 e ai
moti popolari organizzati dai "fasci" contro i
quali operò Crispi. Problemi vecchi e nuovi, difficili
da risolvere, costrinsero il proletariato siciliano ad
emigrare verso la terra di Colombo e l'Australia; ciò
causò un ulteriore impoverimento delle campagne.
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Privo di consistenza storica, il
periodo fascista nell'isola fu segnato soprattutto
dall'inefficienza e dalla corruzione del regime.
Giovanni Gentile si distinse in campo politico, ma il
suo tramonto fu rapido. Poco o nulla fece Mussolini
rispetto agli uomini di governo precedenti. Nei primi
decenni del '900 prevalevano ancora gli interessi dei
grandi proprietari terrieri, e questo determinò un
rallentamento nell'evoluzione dei fatti sociali ed
economici rispetto agli altri paesi italiani.
Mussolini si dimostrò un abile oratore: coinvolgere le
masse era il miglior modo per diffondere tra gli
italiani il sogno di una nazione militarmente forte, ma
perché ciò avvenisse, occorreva industrializzare il
Nord prendendo dal Sud materie prime e cibo a basso
costo.
Si arrivò così allo scontro tra latifondisti e
fascisti radicali. A Palermo, le idee anti-liberali di
Alfredo Cucco ebbero un iniziale successo, ma le
elezioni del 1925 non sciolsero il potere delle vecchie
clientele. Cesare Mori, lontano dagli ideali di Cucco,
operò perché governo e latifondisti trovassero un
accordo.
Tuttavia, anche in questo caso, ogni speranza di
rinnovamento venne presto delusa e il fascismo siciliano
consolidato con l'aiuto dell'aristocrazia.
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I metodi di attacco alla mafia, attivati da Mori, non
riuscirono a superare il malcontento del popolo nei
confronti dello Stato: molti avvertivano più sicura ed
efficace, la protezione dei potenti.
Le condizioni di vita contadina non migliorarono.
Nonostante, in Sicilia, fosse stata lanciata, nel 1925,
la "battaglia del grano" troppe terre furono
coltivate a grano più volte consecutive a danno della
produzione tradizionale di olio e agrumi; diminuì in
questo modo, la fertilità di molti appezzamenti a
favore delle zone aride.
Lo sfruttamento delle miniere di zolfo lievitò i suoi
costi e quando, nel 1927, il sottosuolo fu dichiarato
proprietà pubblica, le miniere passarono in consegna ai
vecchi proprietari che le amministrarono ma senza
aumentare la produzione.
Nel 1940 fu approvata una legge che regolava la
divisione del latifondo, ma l'avvento della seconda
guerra mondiale ne impedì l'applicazione.
Il miglioramento economico e sociale tanto propagandato
dal fascismo, non si estese in modo uniforme in Italia.
Le risorse naturali della Sicilia non furono sfruttate
razionalmente, e lo stesso Mussolini ammise
ufficialmente che gli investimenti nell'isola non erano
stati divisi con metodo.
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