LOUISE HAMILTON CAICO (1861 - 1927)

Nel panorama letterario, e non solo, della provincia di Caltanissetta, a cavallo del novecento, emerge la figura di Louise Hamilton Caico. Benché di padre irlandese e di madre francese, nata a Nizza nel 1861, si è guadagnata a pieno titolo la cittadinanza siciliana, per la sua vita ricca di interessi intellettuali e per le tante complicazioni esistenziali. Non per nulla nel contesto in cui si trovò a vivere ed operare venne definita dai compaesani "donna strana", attributo giustificato dai suoi interessi ideologici come il femminismo. Costretta per un decennio suo malgrado, a vivere, ma non a sopportare, la vita del piccolo paese di Montedoro, matura le sue idee di liberazione delle donne dal conformismo e maschilismo cui erano costrette a soggiacere, private di ogni diritto più elementare. Mentre i ragazzi potevano facilmente emanciparsi da ogni vincolo familiare, le ragazze, fino ad età da marito, erano costrette ad un ferreo cerimoniale che, a suo dire, ne impediva ogni crescita intellettuale, ed obbligate a vivere sotto stretta tutela. Come le regole del passeggio, secondo cui la ragazza poteva uscire solo in compagnia di persona più adulta e dello stesso sesso, e del modo di comportarsi nei salotti.

Le sue idee e convinzioni progressiste collimano con quelle espresse nel libro di E. J. Hardy, "Come essere felici pur essendo maritate", che traduce dall'inglese e che fa pubblicare da un editore di Palermo. Dal contenuto prettamente didascalico, tratto da un sermone di un predicatore inglese, cerca di difendere i diritti della donna: e lei ne trae forza e conforto soprattutto in quei momenti di violento impatto con la realtà siciliana del marito.

La personalità di Louise era permeata da una forte tendenza teosofica, quell'insieme di verità che formano la base di tutte le religioni e che non possono da nessuna essere arrogate come proprietà esclusiva. Presenta una filosofia che rende intelligibile la vita e dimostra che giustizia ed amore ne dirigono l'evoluzione; l'uomo, essendo divino, può conoscere la divinità della cui vita è partecipe.

Il padre di Louise, Federico, era "scappato" dal regno Unito e s'era trasferito a Nizza, dove sposò la giovane Pilatte appartenente ad una famiglia di mercanti marsigliesi. Federico apparteneva al ramo irlandese del casato degli Hamilton, imparentato con sua maestà la regina madre (nella corrispondenza usavano il timbro del carteggio reale), ma per divergenze con i rami scozzesi ed irlandesi lasciò il Regno Unito e non volle più mettere piede in patria per tutto il resto della sua vita, rifiutando persino di parlarne la lingua. Nel 1863, quando Louise, ultima di sei figli, aveva appena due anni, decise di trasferire la famiglia a Firenze, essendo suo intendimento dare loro una cultura artistica ed umanitaria di alto livello d'impronta italiana. Eugenio Caico, ancora dodicenne, era stato mandato a frequentare gli studi superiori, ed aveva trovato ospitalità, per alcuni anni e fino al 1870, presso la sua famiglia come pensionato. Quando Eugenio nel 1880 torna a Firenze, apprende che gli Hamilton s'erano trasferiti a Bordighera. Incontra Louise, s'innamora e la sposa nonostante i "divieti" dei Caico di Montedoro che temono la dispersione del patrimonio familiare. Lì nascono i sei figli (di cui due morti in tenera età), prima di trasferirsi in Sicilia e prendere contatto con la quasi "irreale" realtà locale.

Per Louise la permanenza a Bordighera da sposata fu un periodo travagliato per i dissapori col padre, dovuti a motivi economici a cui Eugenio non poteva far fronte; nel frattempo, infatti, la famiglia Caico aveva subito un fallimento e non versava nelle condizioni di floridezza del precedente decennio. Ma fu anche una parentesi importante per la conoscenza e frequentazione di personalità, e la quasi casuale scoperta di un autore di poesie, il conte torinese Angelo De Gubernatis, un impegnato professore e letterato di fama che insegnava sanscrito e glottologia a Firenze. Curiosamente ammaliata dalla personalità di tanto autore, gli indirizzò una lettera di stima alla quale seguì una fitta corrispondenza tra i due. Complice indiretto lo stesso marito, da corrispondenza di circostanza divenne amichevole, quindi familiare, finché sfociò in una divagazione sentimentale: non sappiamo fino a che punto rimasta tale. Divagazione alla quale Eugenio, da tragico attore siciliano e come in una tragedia greca, pone fine facendo un falò di tutte le lettere in suo possesso e trasferendo la famiglia in Sicilia.

Per Louise fu un'esperienza sicuramente importante, anche dal punto di vista letterario, e solo il suo coraggio e forza d'animo impedì che entrasse a fare parte di una rete culturale europea molto importante sì ma, assieme a questa, com'era vezzo dei personaggi dell'epoca, di un bel numero di amori, amanti e seduzioni. Di certo leggeva il celeberrimo periodico femminile "Cordelia", fondato da De Gubernatis, e che si collega alle "Lucciole", la rivista itinerante scritta a mano fondata da Lina Caico, figlia di Louise: anello di una catena importantissima per capire l'ambiente culturale entro il quale si muovevano queste giovani, intrepide donne.

Il contesto siciliano di Montedoro, in cui "precipita" la nizzarda Louise, e l'impatto dirompente che ne consegue, generano la sua più bella opera "Sicilian ways and days", (Londra 1910, John Long) e tradotta in "Vicende e costumi siciliani" (1983). La scrive in inglese perché, come spiega in una lettera alla figlia ed all'editore, "… è stato scritto per lettori inglesi, e tradotto in italiano non interesserebbe tale pubblico, e meno ancora il grosso pubblico siciliano". Ne viene fuori un diario pervaso di costante umorismo che, da attenta osservatrice, coglie il grottesco di quanto cade sotto i suoi occhi indagatori, in ogni istante della giornata. Dagli usi di casa Caico, agli attrezzi di cucina, alle abitudini delle serve, alle ragazze del paese chiuse in casa come in un serraglio. Mentre lei, a dorso di un destriero, gira per le campagne, tra la meraviglia e l'incredulità della gente, ed una prodigiosa quanto miracolosa macchina fotografica immortala luoghi ed avvenimenti. Resta esterrefatta dalle abitudini da medio evo dei paesani di portare in giro per il paese i morti di rango, legati ad una sedia, quasi fossero un trofeo di caccia, dal "consu" e dal lutto stretto che ne consegue, alle feste per il raccolto a quelle di S. Giuseppe o di S.ta Lucia. Per non parlare delle insopportabili "tammurinate" fatte sotto casa, all'alba del dì di festa, in onore del cognato sindaco, e che la fanno letteralmente sobbalzare dal letto, o dei tremendi botti dei fuochi in onore del Santo. Menzioni a parte meritano la sua guardia del corpo, il campiere Augello, gli intrighi di casa Caico e, finale tragico carico di tensione, l'arrivo delle guardie che annunciano l'arresto del sindaco, sospettato di omicidio di un barone!

Ciò nonostante l'Isola resta nel suo cuore, si trasferisce a Palermo con la famiglia e lì muore nel 1927.