Portella delle Ginestre
        
1^ maggio 1947

 

La carneficina durò un paio di minuti. Alla fine la mitragliatrice tacque e un silenzio carico di paura piombò sulla piccola vallata. Era il 1° maggio 1947 e a Portella della Ginestra si era appena compiuta la prima strage dell’Italia11 morti, due bambini e nove adulti. 27 i feriti. Tutti poveri contadini siciliani. Che a sparare dalle alture, sulla folla radunata a celebrare la festa del lavoro, erano stati gli uomini del bandito Salvatore Giuliano, gli italiani lo scopriranno solo quattro mesi dopo, nell’autunno del 1947. Ma mai riusciranno a sapere chi armò la mano di quei briganti, comodi residui della storia, incarnazione di un fenomeno del passato, che ancora sopravviveva nella Sicilia dei compromessi e degli intrighi.
Ma chi era Salvatore Giuliano? Perché massacrò 11 innocenti? Chi trasformò  una   banda  di  predoni in un’armata irredentista e separatista? Chi decise di utilizzare politicamente un bandito per spegnere le tensioni sociali della Sicilia del dopoguerra? E quale patto segreto lo Stato strinse con la mafia che lo eliminò dalla scena?

 Le vittime di quel tremendo 1 Maggio 1947

Giovanni Megna, Vito Allotta, Vincenza La Fata, Giovanni Grifò, Lorenzo Di Maggio, Francesco Vicari, Castrenza Intravaia, Giorgio Cusenza, Margherita Clesceri, Serafino Lascari, Filippo Di Salvo

1947: L'eccidio di Portella della Ginestra
La pagina più sanguinosa della festa del lavoro venne scritta nel 1947 a Portella della Ginestra, dove circa duemila persone del movimento contadino si erano date appuntamento per festeggiare la fine della dittatura e il ripristino delle libertà, mentre cadevano i secolari privilegi di pochi, dopo anni di sottomissione a un potere feudale. La banda Giuliano fece fuoco tra la folla, provocando undici morti e oltre cinquanta feriti. La Cgil proclamò lo sciopero generale e puntò il dito contro "la volontà dei latifondisti siciliani di soffocare nel sangue le organizzazioni dei lavoratori". La strage di Portella delle Ginestre, secondo l'allora ministro dell'Interno, Mario Scelba, chiamato a rispondere davanti all'Assemblea Costituente, non fu un delitto politico. Ma nel 1949 il bandito Giuliano scrisse una lettera ai giornali e alla polizia per rivendicare lo scopo politico della sua strage. Il 14 luglio 1950 il bandito fu ucciso dal suo luogotenente, Gaspare Pisciotta, il quale a sua volta fu avvelenato in carcere il 9 febbraio del 1954 dopo aver pronunciato clamorose rivelazioni sui mandanti della strage di Portella.

   

Nella storia più che secolare del Primo maggio in Italia la pagina più sanguinosa venne scritta nel 1947 a Portella della Ginestra. Qui, riprendendo una consuetudine risalente all’epoca dei Fasci siciliani e interrotta dal fascismo, erano convenuti i contadini di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello. Circa duemila persone – uomini, donne, bambini e anziani – erano giunte a dorso di mulo, a bordo di carretti e anche a piedi, portandosi dietro le bandiere, gli strumenti musicali, cibo e dolci. Si predisponevano a una festa, avendo motivo di rallegrarsi.

Dopo anni di sottomissione a un potere feudale, sorretto dal fascismo e dalla mafia, la Sicilia stava vivendo una fase di rapida crescita sociale e politica. Con la fine della dittatura e il ripristino delle libertà, mentre cadevano i secolari privilegi di pochi, le masse contadine vedevano finalmente realizzarsi le loro aspirazioni. Dopo lo sbarco degli alleati, già nell’autunno 1944 un grande movimento organizzato aveva conquistato il diritto di occupare e avere in concessione le terre incolte o mal coltivate del latifondo.

Uno sconvolgimento così radicale sul piano dei rapporti sociali non poteva non riflettersi sugli equilibri politici. Le elezioni del 20 aprile 1947 per l’Assemblea regionale siciliana avevano visto l’affermazione del Blocco del popolo e la secca sconfitta della Democrazia cristiana.

L’offensiva del movimento contadino e il prevalere delle forze di sinistra suscitarono l’allarme di chi vedeva minacciato il proprio potere ritenuto intoccabile. La reazione degli agrari era stata rabbiosa e cruenta e si era diretta in particolare contro i sindacalisti, i capi lega, i dirigenti dei partiti della sinistra. Intimidazioni ed esecuzioni erano delegate al banditismo separatista che, sotto la guida di Salvatore Giuliano, divenne il braccio armato della controffensiva reazionaria.

Nonostante i colpi ricevuti, il movimento contadino non si era piegato e allora qualcuno ritenne giunto il momento di sferrare il colpo decisivo. L’occasione sarebbe stata offerta dalla manifestazione del Primo maggio, anche perché il luogo in cui si sarebbe svolta si prestava particolarmente a un agguato. La piana di Portella della Ginestra era infatti dominata dai monti Cumeta e Pizzuta e da lì sarebbe stato facile aprire il fuoco con le mitragliatrici contro la folla esposta ai colpi e senza possibilità di riparo.

Tutto venne predisposto con cinica cura e per l’occasione la banda Giuliano era stata rinfoltita con alcuni giovani prezzolati. Il primo oratore, Giacomo Schirò, aveva appena iniziato a parlare quando si udì un crepitìo di colpi. Non tutti si resero ben conto di quanto stava accadendo e qualcuno pensò si trattasse di intempestivi mortaretti fatti esplodere in segno di festa. A qualcun altro tornarono forse alla mente le oscure e inquietanti parole ascoltate in paese: “Partite cantando, tornerete piangendo”. Alla vista degli animali abbattuti e delle prime persone colpite fu chiara a tutti la tragedia che si stava compiendo. Il terrificante bilancio della sparatoria fu di undici morti e oltre cinquanta feriti.

La notizia dell’eccidio si diffuse rapidamente suscitando comprensibile emozione in tutta Italia. La Cgil proclamò per il 3 maggio lo sciopero generale e puntò il dito contro la “volontà dei latifondisti siciliani di soffocare nel sangue le organizzazioni dei lavoratori”. Anche gli inquirenti qualche idea sulle responsabilità della strage l’avevano maturata. La polizia sembrò non avere dubbi nell’indicare quale esecutore materiale della strage il bandito Giuliano, ma fu piuttosto restìa a imboccare la strada del delitto politico. Il rapporto inviato al ministro dell’Interno, Mario Scelba, rilevava come nulla risultasse al riguardo, anche se non si poteva del tutto escludere che “l’idea di un’azione criminosa contro i partiti della sinistra” fosse stata “ispirata e rafforzata specialmente da qualche elemento isolato in strette inconfessabili relazioni col bandito Giuliano”. Complicità più precise ed estese lasciava intravedere invece il rapporto dei carabinieri al Comando generale dell’Arma, che individuò come possibili mandanti “elementi reazionari in combutta con mafia locale”.

Il 2 maggio Scelba, chiamato a rispondere davanti all’Assemblea Costituente, fece subito capire quale indirizzo avrebbero preso le indagini, affermando: “Questo non è un delitto politico e non può essere un delitto politico, perché nessuna organizzazione politica potrebbe rivendicare a sé la manifestazione e la sua organizzazione”. In base a questo incredibile sillogismo e contro la chiara evidenza dei fatti la strage venne dunque fatta passare dal rappresentante del governo come un delitto comune. Giova ricordare che a quello stesso governo partecipavano socialisti e comunisti, i quali non ebbero certo remore a denunciare come mandanti agrari e mafiosi e a chiamare in causa gli ambenti politici della destra siciliana.

Questa diversità di giudizio su un episodio così grave era un segnale del logoramento dei rapporti tra i partiti antifascisti e annunciava la svolta politica che si sarebbe realizzata con l’estromissione delle sinistre dal governo.

L’evolversi della situazione nazionale non poteva non avere ripercussioni in Sicilia. Il blocco sociale che aveva tentato di contrastare l’avanzata del movimento contadino e delle sinistre, cavalcando l’ondata separatista e trovando temporaneo rifugio nei partiti della destra liberale, monarchica e qualunquista, si apprestava a convergere sulle posizioni neomoderate della Democrazia cristiana. Il prezzo di questa operazione fu la costruzione e il rapido consolidamento di quel sistema politico-mafioso, basato su una rete di complicità e di connivenze tra criminalità mafiosa e pezzi dello Stato.

La strage di Portella inaugurò la lunga teoria dei misteri di Stato, ben protetti da muri di gomma, contro i quali erano destinati a infrangersi la ricerca della verità e la sete di giustizia. E gli ingredienti tipici della strategia della tensione – depistaggi, morti sospette, ricatti – si ritrovarono tutti nel modo in cui vennero gestite le indagini sulla strage e chiuso l’imbarazzante capitolo del banditismo siciliano.

Nel 1949, sentendosi abbandonato dai suoi protettori che, in cambio dei servigi resi, gli avevano promesso l’impunità e l’espatrio, Giuliano scrisse una lettera ai giornali e alla polizia per rivendicare lo scopo politico della strage di Portella: “Non si poteva restare indifferenti davanti all’avanzata diabolica della canea rossa, la quale, allettando con insostenibili e stolte promesse i lavoratori, ha sfruttato e si è servita del loro suffragio per fare della Sicilia un piccolo congegno da servire al funzionamento della macchina sovietica”.

Il 14 luglio 1950 il bandito venne ucciso dal suo luogotenente, Gaspare Pisciotta, il quale fu a sua volta avvelenato in carcere il 9 febbraio 1954 dopo aver preannunciato clamorose rivelazioni sui mandanti della strage di Portella.

 

La meteora del separatismo e il bandito Giuliano

Ci fu davvero un patto scellerato fra americani e mafia per favorire lo sbarco degli alleati in Sicilia nel 1943? Documenti non ce ne sono, ma tutto lascia pensare che la Cia abbia contattato alcuni boss mafiosi chiedendo loro un appoggio logistico, in cambio della libertà per parecchi di loro. E' un fatto che Lucy Luciano, Vito Genovese, Francesco Paolo Coppola e Frank Garofalo, vennero espulsi dagli Usa e si trasferirono in Italia. Del resto, il fine giustifica i mezzi. Gli americani decidono che la Sicilia è la migliore testa di ponte per aprire il fronte contro i nazi-fascisti, considerando la sua posizione geografica. E chi meglio dei mafiosi è in grado di controllare un territorio che conoscono alla perfezione? Così, poco dopo la liberazione dell'isola, gli americani affidarono ad alcuni capimafia il governo di parte della Sicilia: Calogero Vizzini venne nominato sindaco di Villalba, Giuseppe Genco Russo diventa primo cittadino di Musumeli e Vincenzo Di Carlo assume la carica di responsabile dell'ufficio requisizione del grano. Liberata la Sicilia, la sinistra si riattiva per far ottenere ai contadini migliori condizioni di vita, ma la mafia, per conto dei proprietari terrieri, reagisce duramente, uccidendo sindacalisti e militanti politici. E' in questo clima che nel '43 nasce in Movimento indipendentista siciliano, fortemente sostenuto dalla mafia. Il progetto è di staccare l'isola dall'Italia, o di farla diventare territorio degli Stati Uniti. Il Mis non è pero sostenuto solo dai mafiosi, ma da molti siciliani delusi dallo Stato centrale. Inoltre, parecchi, compresi i boss, possono dire di essere stati perseguitati dal fascismo. Anche per questo il movimento ha, tra il '43 e il '47, un notevole sostegno popolare. Ma già dal '45, dopo la vittoria contro i nazi-fascisti, il separatismo perde quel po' di appoggio ottenuto dagli americani e sceglie la strada dello scontro armato. Nasce l'esercito volontari per l'indipendenza della Sicilia, il cui maggior esponente è Salvatore Giuliano. Non si tratta di un mafioso in senso stretto. Giuliano è un bandito, che verrà usato dai latifondisti e dalla mafia stessa. A lui si deve la strage di Portella della Ginestra. Il 1° maggio del 1947, in questa località non lontana da Palermo, i contadini si erano radunati per celebrare la festa del lavoro. Appena inizia il comizio, dalle alture circostanti gli uomini di Giuliano aprono il fuoco con le mitragliatrici. I morti sono 11 e i feriti 35. Il bandito viene usato contro i comunisti e la strage, compiuta dopo le elezioni regionali siciliane, ha sicuramente dei mandanti, che però non sono mai stati scoperti. L'eccidio suscita una grande impressione nel paese e la decisione da parte dello Stato di mettere mano ad una situazione che stava sfuggendo di mano. La fine di Giuliano viene contrattata con la mafia e l'esecuzione affidata a Gaspare Pisciotta, luogotenente e cugino del bandito, che non esita a tradirlo. Il 5 luglio dl '50, il corpo di Salvatore Giuliano viene consegnato ai carabinieri, che fanno credere di averlo ucciso durante uno scontro a fuoco. Alcune inchieste giornalistiche smentiranno questa versione. E due anni dopo, Pisciotta, detenuto nel carcere dell'Ucciardone, a Palermo, si dice disposto a raccontare i retroscena della morte del suo capo, ma viene fatto tacere con un caffè alla stricnina. La mafia ha già compreso che il separatismo è un'avventura senza prospettive e prepara le alternative e un nuovo equilibrio attorno alla Democrazia cristiana

 

Chi era Salvatore Giuliano ?

Dove e come visse. Perchè si fece bandito. Veniva dalla povera gente: è vero che l'ha tradita? Era davvero imprendibile? Il suo sogno di sicilianista era una utopia? Perchè fu tradito quasi da tutti? Come vivevano i monteleprini? E perchè ancora piangono le conseguenze di quel periodo nefasto? La sua morte è ancora avvolta nel mistero così come tantissime azioni delittuose a lui attribuite. 

 

Lo sbarco degli alleati e il M.I.S.

Che la mafia, sconfitta sul piano militare, covasse in realtà sotto la cenere e mantenesse un suo controllo sulla società siciliana sembra confermato dalle vicende dell'estate del 1943, in occasione dello sbarco in Sicilia degli Alleati. La strategia militare che il Pentagono decise di attuare nel momento in cui si decise di aprire uno nuovo fronte contro i nazi-fascisti in Italia, fu quella di iniziare l'offensiva dalla Sicilia, sia per evidenti ragioni geografiche (per evitare l'accerchiamento da parte del nemico), sia perché si poteva costituire una testa di ponte in Sicilia proprio sfruttando la mafia 

La misteriosa morte di Giuliano

Che la mafia, sconfitta sul piano militare, covasse in realtà sotto la cenere e mantenesse un suo controllo sulla società siciliana sembra confermato dalle vicende dell'estate del 1943, in occasione dello sbarco in Sicilia degli Alleati. La strategia militare che il Pentagono decise di attuare nel momento in cui si decise di aprire uno nuovo fronte contro i nazi-fascisti in Italia, fu quella di iniziare l'offensiva dalla Sicilia, sia per evidenti ragioni geografiche (per evitare l'accerchiamento da parte del nemico), sia perché si poteva costituire una testa di ponte in Sicilia proprio sfruttando la mafia

 

Chi voleva la morte del bandito Giuliano?

 Intervista a Giuseppe Sciortino Giuliano di Dimitri Buffa

Il 5 luglio del 1950 mani tuttora ignote uccisero in un luogo imprecisato della Sicilia occidentale colui che tutto il mondo conosceva come il "bandito" Salvatore Giuliano. Il cadavere venne poi trasportato nel cortile dell’avvocato Gregorio de Maria e lì venne inscenata la sparatoria con il capitano dei carabinieri Perenze. Oggi, a più di mezzo secolo da quel giorno, sembra valido più che mai l’indimenticabile attacco dell’articolo di Tommaso Besozzi sul settimanale "l’Europeo" dell’epoca: "di sicuro c’è solo che è morto". Naturalmente i soliti padri della patria giornalistici tipo Giorgio Bocca credono di potere sapere tutto rileggendosi verità di repertorio come quelle desecretate l’anno scorso dalla Commissione antimafia e che poi si sostanziano negli atti del famigerato processo di Viterbo tenutosi negli anni ‘50 e conclusosi con la condanna all’ergastolo di tutti i presunti partecipanti alla strage di Portella delle Ginestre. L’Altra Sicilia è riuscita invece a parlare con uno dei rari testimoni ancora in vita di quei giorni, Giuseppe Sciortino Giuliano, figlio della sorella di Giuliano, Marianna e di quel Pasquale Sciortino, condannato anche lui all’ergastolo per la strage di Portella delle Ginestre, ma, a dire del figlio, "innocente e inconsapevole come tutti gli altri".

 

Il nipote di Giuliano. La verità su Giuliano  sta nel segreto di Stato 

Lo Stato italiano prende in giro il suo popolo e quello siciliano spacciando verità pre-confezionate su Salvatore Giuliano e sulla strage di Portella delle Ginestre: la verità la sapremo, forse, se non hanno fatto scomparire tutto in questi anni, solo quando verranno fuori i documenti custoditi fino al 2016 con il segreto di Stato...

 

Una analisi del "caso Giuliano" che non fuga i misteri sulla sua morte

A colloquio con l'ex magistrato del pool antimafia di Palermo Giuseppe Di Lello che su Salvatore Giuliano ha scritto un importante saggio Di Lello, in una recente intervista, il regista Francesco Rosi ha dichiarato che, se dovesse rifare oggi il il film "Salvatore Giuliano" certo dovrebbe cambiare la fine. Ma oggi c'è realmente una "fine" giudiziaria del processo sulla strage di Portella delle Ginestre?

 

Giuliano ucciso nel sonno da Gaspare Pisciotta

Diamo oggi finalmente la chiave del mistero che più ha appassionato gli italiani; spieghiamo cioè per quali motivi, da chi e in quali circostanze è stato ucciso il bandito Giuliano. Si tratta naturalmente di informazioni di primissima mano e che non potranno mai essere smentite, con prove fondate. Tre mesi e mezzo fa caddero in mano ai carabinieri due fra i più importanti uomini della banda Giuliano, il furbissimo Frank Mannino e l'audace e feroce Nunzio Badalamenti; per quanto colti di sorpresa, i due banditi evvero tuttavia il tempo di sparare qualche colpo di pistola e un carabiniere, ricoverato poi all'ospedale militare, fu ferito piuttosto gravemente a una spalla, Giuliano lo seppe subito e riuscì anche in breve tempo a ricostruire la causa principale della cattura dei suoi fidati compagni. continua

LO SBARCO ALLEATO ED IL RIEMERGERE DELLA MAFIA

Il 10 luglio 1943, le coste meridionali della Sicilia furono teatro di un avvenimento straordinario, che avrebbe determinato il futuro corso della seconda guerra mondiale: lo sbarco delle imponenti truppe anglo-americane (3.000 navi, 4.000 aerei e 450.000 uomini) In trentotto giorni, l'Isola fu completamente occupata, e liberata dal fascismo. Il secondo dopoguerra iniziò, così, con l'istituzione dell' A.M.G.O.T. (Allied Military Government of Occupied Territory), il governo militare alleato per i territori occupati. 

 

Il Viaggio di De Gasperi

In gennaio De Gasperi si reca negli Stati Uniti ottenendo cospicui aiuti da parte di quel governo. Il 9 gennaio, con la scissione di palazzo Barberini, i socialisti dissidenti guidati da Giuseppe Saragat e Matteo Matteotti, danno vita al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (dal 1951 PSLI). De Gasperi si dimette da capo del governo, ma il 2 febbraio forma un nuovo gabinetto con socialisti e comunisti. In virtù del trattato di pace del 10 febbraio (approvato il 31 luglio dal Parlamento), il "Territorio libero di Trieste" resta diviso in una "zona A" (sotto amministrazione anglo-americana) e in una "zona B" (sotto amministrazione jugoslava). Il 24 marzo l’Assemblea costituente vota (con l’appoggio anche dei comunisti) l’art. 7 che stabilisce l’inserimento nella nuova Costituzione dei Patti Lateranensi. Il l° maggio, a Portella delle Ginestre, in provincia di Palermo, 11 partecipanti a una manifestazione sindacale vengono uccisi dalla banda di Salvatore Giuliano. Il 12 maggio comunisti e socialisti vengono estromessi dal governo; il 21 giugno il nuovo gabinetto De Gasperi ottiene la fiducia dell’Assemblea Costituente, con i voti di democristiani, liberali, monarchici e qualunquisti. Il 22 dicembre viene approvata la nuova Costituzione repubblicana. Gli ultimi contingenti militari alleati lasciano l’Italia.


Cento anni di impegno per la difesa dei lavoratori.

Era di maggio a Portella delle Ginestre 50 anni fa, quando 11 uomini e donne, contadini della provincia palermitana, colpevoli solo di chiedere la riforma agraria, colpevoli di farlo in occasione del 1° Maggio, colpevoli di avere il coraggio e la speranza della libertà, dopo gli anni bui del fascismo e della guerra, vennero brutalmente trucidati. Non bastò la guerra per loro, non bastarono le legnate dei fascisti, nemmeno quelle dei padroni, no, per loro ci volle il piombo della banda del bandito Salvatore Giuliano che, assoldata dalla mafia feudale, sparò all’impazzata sulla folla. E le camice semplici, fatte di stracci rimediati con fatica , sopravvissute agli orrori della guerra, della miseria, della morte, si tinsero, ancora una volta, di sangue. In quella terra luminosa che è la Sicilia, la mafia continua a pennellare col sangue i sogni di libertà della povera gente. In quello spicchio di Paradiso, oggi più che mai, la forza vitale dei giovani e l’energia armoniosa della musica fungono da balsamo per lenire le troppe ferite, le troppe dimenticanze ed assenze dello Stato.

 

Il Governo di Unità Nazionale e i Decreti Gullo

La formazione, a Salerno, del Governo di Unità Nazionale, in cui sono rappresentate tutte le forze che nel nord, ancora occupato dai nazifascisti, operano nei Comitati di Liberazione Nazionale porta i Decreti Gullo (dal nome del Ministro comunista all'agricoltura) per l'assegnazione delle terre incolte e la ripartizione dei prodotti. Questi Decreti danno nuovo impulso alla organizzazione e alla lotta dei contadini siciliani Per 10 anni (dal 1944 al 1955) si sviluppa nel Mezzogiorno, e in particolare in Sicilia, una grande lotta per la terra, da molti intesa come una vera e propria lotta di liberazione equivalente al processo di liberazione svoltosi l'8 settembre del '43 e fino al 25 aprile del '45 nell'Italia occuta dai nazifascisti. contadini, nella loro lotta per la terra, chiedono soltanto l'applicazione delle leggi emanate dal nuovo Stato (i Decreti, appunto) e sono organizzati dal PCI, dalla CGIL e dalla Confederterra, ma subiscono parecchie repressioni spesso sanguinose realizzate dalla mafia e dall'apparato governativo ereditato dal fascismo. Il '48 e il '49 sono anni di organizzazione e di lotta per il rispetto delle leggi. Nell'autunno del '49 e nella primavera del '50 si arriva all'

Occupazione delle terre Le province maggiormente interessate sono quelle di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Palermo.

I contadini del Corleonese e delle Madonie vanno ad occupare le terre degli agrari e dei gabelloti mafiosi che la voce pubblica indica come i mandanti degli omicidi di Placido Rizzotto, di Cangelosi, di Epifanio Li Puma. La forma di lotta è quella dell' occupazione effettiva: i contadini cioè dissodano, arano, seminano enormi distese incolte e sassose trasformandole in terreni ridenti e fertili. Nel frattempo, a livello regionale, (ricordiamo che la Sicilia è una Regione a Statuto Speciale) si lavora (tra mille difficoltà ed ostacoli posti dalla mafia e dal blocco agrario) ad una legge di riforma che consenta la rottura del latifondo ed il passaggio da una agricoltura estensiva ad una intensiva