Pitture di emozioni attraverso le parole
Comunicare ad altri frammenti del proprio essere è
esigenza alquanto atavica per ogni uomo, primigenia forma di
sopravvivenza, nella lotta per la vita. Scegliere il mezzo più adatto,
quindi, al raggiungimento di tale scopo si rivela talvolta un tentativo
complicato, artificioso o, per meglio dire, inadeguato. Riuscire,
pertanto, a dipingere nella mente di altri, emozioni e realtà recondite
senza l’uso di pennelli, solo attraverso la parola, è certamente il
raggiungimento di una delle espressioni più alte dell’animo umano che
esula, indubbiamente, dall’essere pittori, musicisti o poeti. I colori
dell’anima sono elementi indispensabili nell’esaltazione di un
sentimento, di un ricordo, di una storia, che oltremodo si dibattono in
ognuno alla ricerca di una via d’uscita.
Ricerca affannosa di un mezzo che permetta la fuga di
queste informazioni. Contenuti, notizie, umori che ci albergano dentro,
che cercano di librarsi verso vette sconosciute nell’universo delle
incomprensioni e delle relazioni telematiche. Il fallimento di tale
impresa implica perciò il mancato contatto con altre menti, con atri
mondi. Così, lentamente, dentro ognuno di noi si chiude quel varco che
conduce l’uomo alla trasmissione della propria storia, delle proprie
radici, del proprio essere stato. La parola, in questo caso, invece, è
il medium che l’Autore ha trovato più adatto per la trasmissione
delle sue pulsioni. E’ il pennello con cui ha scelto di dipingere
alcuni suoi ricordi.
Tele raffiguranti fresche immagini d’infanzia,
brevi e concentrati flash-back negli occhi di un bimbo grande che
ripercorre i meandri del suo passato. Grandi tele intrecciate con la
lingua dei padri, legate con catene dorate a vecchi muri di un mondo
ormai quasi sommerso. Un’incommensurabile necessità muove il nostro
Poeta ad incidere con l’inchiostro fogli bianchi da donare alle
generazioni future, proteggendo, in questo rito, un memoriale storico
che rischia l’estinzione. Un rituale complesso, partecipato, vissuto
rigo per rigo, pagina per pagina, senza mai stancarsi.
Scavare dentro la propria memoria per riesumare
oggetti, personaggi, fatti, luoghi, appartenuti ad un passato che ha
dipinto la storia di un popolo. Testimone di una cultura, soggiogata
dalle dominazioni, ogni cosa riprende ad animarsi e si affanna nel
riproporsi viva dinanzi ad un presente teso al consumo e alla
prevaricazione. La riproposizione dei valori di un tempo, delle
costumanze, delle tradizioni, che hanno connotato la sorte della gente
di Sicilia, è il principio che guida questa raccolta.
Il cammino percorso a ritroso invita chi legge a
fermarsi e gustare delle varie tappe la freschezza del riposo su pagine
di vita paesana animata da piccoli eventi che hanno scolpito sulle
nostre vite i caratteri semiotici della nostra esistenza.
Ascoltare i racconti dagli anziani o sentire i
pettegolezzi sui vissuti della giornata era un momento magico che
definiva in un cerchio l’esigenza di unirsi e mettere in comune le
proprie vite in cerca di contatti, in cerca di nuove emozioni.
In quegli attimi avveniva la trasmissione del
bagaglio antropologico conservato dai nonni.
La mente si apriva ad inseguire eventi fantastici o
leggendari. Il sogno diveniva realtà e l’immaginario si arricchiva di
fatti, di gesta eroiche, di storie tristi, di memoriali di guerra o di
proverbi e vecchi detti, segni della saggezza dei vecchi narratori. Allo
stesso modo si viveva la strada in cerca di stimoli e motivazioni che
potessero dare un senso alla miseria del tempo.
In povertà si riscopriva il valore delle cose
semplici, come quella di un pezzo di terreno asciutto pieno di polvere e
di buche dove i ragazzi andavano a giocare a palla, probabilmente
utilizzando la vescica di un bue portato al macello. E ancora la gioia
nel ricercare in una festa di paese risposte a misteri, tra paura e
curiosità: "E ssi quarchi fisci sinni partiva facìannu cadiri n’testa
lu cìalu? ". Il dubbio di un bimbo, non soddisfatto dagli adulti,
rinforza nello stesso fobie da portare in sogno, sentimenti di ingenua
voglia di appagamento allo spuntar di fuochi nel cielo di una notte in
festa.
La mancanza di divertimenti è testimoniata dallo
splendido ricordo di una giornata al mare, la cui descrizione sottolinea
la volontà del cambiamento verso una realtà ambientale diversa, quella
del litorale, della spiaggia, che porta la bianca carne dei contadini a
confrontarsi per provare nuove emozioni. Il sentire dentro la diversità
come un handicap fino a fingere di saper nuotare pur di superare quel
senso di inferiorità che la diversa estrazione sociale denuncia.
L’incontro con il destino e con la fortuna sulla
strada, ancora maestra di vita, attraverso l’ambulante che annuncia
"la pianeta". Tra le gradevoli note di un carillon, un
pappagallo, su un carretto, estraeva un bigliettino che avrebbe svelato
il futuro del predestinato ed ecco che all’istante si accendeva la
fantasia. Nessuno era sfortunato, il responso era sempre di buon
auspicio e tutto questo riempiva il cuore di speranza.
Le usanze, le abitudini, rituali incondizionati dagli
umori della giornata. Ogni sera dopo il lavoro molti usavano recarsi all’osteria,
altro momento di aggregazione, dove ognuno a suo modo si premiava per la
fatica della giornata. Anche in questa tela la descrizione è dinamica,
ricca di particolari, ognuno di un colore diverso. Il grigio, colora la
sofferenza del minatore che solo al sabato, dopo una settimana di buio
dentro il ventre della terra e dominato dalla prepotenza dei padroni,
può recarsi all’osteria per comandare anch’egli, per una volta,
almeno un bicchiere di vino. Solo in quel momento egli può affrancarsi
dalla sua condizione, comandando ad altri il soddisfacimento di un suo
bisogno. Ecco, in quell’attimo, improvvisamente, la tela riceve una
pennellata di rosso. Così, tra parole e colori, l’autore narra i suoi
ricordi.
Tant’altro ancora si racconta in questo susseguirsi
di sensazioni che si rivelano con coerenza storica in una specie di
simbiosi linguistico cromatica, quasi ad annullare i limiti frapposti
tra pittura e letteratura. Ogni movimento di pensiero assume un colore
ed è così che gradatamente il foglio diventa tela e si dipinge
trasformandosi in immagine.
Aspetti diversi di una stessa realtà fanno sì che l’immagine
sia completata in ogni sua parte. Il percorso intrapreso dall’autore
assume, quindi, una connotazione didattica che procrastina, certamente,
la possibile scomparsa di questo patrimonio culturale da molti già
sconosciuto. Infatti, esso presenta sfaccettature varie e complesse per
la loro valenza etnostorica e semantica.
I suoni, i segni, i gesti, emergono senza sforzi
letterari dal contesto narrativo e sublimano, senza pretese, la
tradizionale e alquanto motivata condizione di "eroi tragici del
dovere" e "del focolare domestico", come ebbe giustamente
a dire il Russo.
Tra i diversi toni cromatici emergenti nel
verbalizzare la vita dei lavoratori del centro della Sicilia e dei loro
figli, assurge anche la componente religiosa che, in modo sommesso,
rivela la grande inquietudine spirituale che muove i siciliani alla
ricerca di una mediazione fra tradizione e fede religiosa. Il culto
verso i Santi spesso, da noi, si mischia in maniera recondita e quasi
occulta con la consuetudine di onorarne l’immagine attraverso forme
pagane di venerazione. Questo, naturalmente non influenza minimamente le
coscienze religiose che continuano a professare la loro fede senza
rendersene conto. Il fervore che accompagna i momenti della festa,
spesso culminano in vere e proprie espressioni di religiosità semplice
che tuttora caratterizzano la nostra gente.
Ciò è descritto con leggere e spumeggianti linee di
colore che ondeggiano nel dipinto quasi a sottolineare forme di
inquietudine diverse sfocianti in esilaranti momenti di gioia e di
entusiasmo. La capacità, pertanto, di non lasciare che alcuna emozione
sfugga alla revisione del proprio animo, permette all’autore di
consegnare una parte della nostra storia agli uomini di domani.
Lu tancinu, la brascera, la biddrina, l’Oriuni sono
splendide immagini di un’infanzia condivisa, di un tempo triste legato
alla miseria e alla lotta per la sopravvivenza. Questi ultimi, come
altri, sono contenuti che inneggiano ad un linguaggio semplice,
schietto, originario, permeato di elementi che integrano il vernacolo
con un contemporaneo poetare in rima che si diffonde come eco ed evoca
riconosciuti e familiari luoghi dell’animo collettivo. Pertanto, il
bisogno di tramandare ad altri quel patrimonio culturale, su cui si
fonda la nostra esistenza, nasce essenzialmente dalla paura di perdere
quell’identità sociale che contrassegna il nostro entroterra
siciliano.
Rare sembianze di un lontano passato, infatti,
riemergono come fantasmi a ricordare la fatica, il senso del dovere, l’amore
verso la famiglia, il rispetto per i propri vicini. Segni inconfondibili
di una educazione forte legata al lavoro dei campi e delle miniere,
valori che affondano le loro radici nel grembo della madre terra, fonte
di lavoro e di esistenze. Così, quasi per gioco, si intrecciano le
trame di queste tele. Tra sorrisi, urla e schiamazzi di ragazzi che si
divertono a giocare, su strade polverose, "la tuartula" e
"la strummula" diventano, ancora, protagoniste di un momento
di allegria e di appagamento. In quel momento, quando tutto sembra
scorrere nella caoticità di tutti i giorni, il nostro Poeta si ferma e
gioca anch’egli come quando era bambino e tuffandosi in quella polvere
rivive attimi ludici ormai negati alla coscienza di uomo adulto. Allo
stesso modo si ripristina la consapevolezza del dolore del tempo andato,
dei visi cari scomparsi e del non potere, se non giocando, riabbracciare
tutto lasciandosi trascinare in un oblio di carezzevoli sensazioni
ricche dei colori dell’anima.
Giusi Leone