in cerca di tranquillità e solitudine mi misi a passeggiare e senza
accorgermene mi ritrovai in contrada Sacramento.
Mi ricordai di quando, piccolissimo, deciso ad andare (a piedi) in
città per raggiungere mio padre che vi si era recato per lavoro, fui
sorpreso da un violento temporale e, per evitare il torrente d’acqua
che veniva giù dal paese, mi ero arrampicato su un cumulo di pietre,
proprio vicino alla stradella che porta al Lavatore.
Stavo ripensando all’episodio quando vidi qualcosa muoversi proprio
in quello stesso luogo. Guardai con attenzione e mi accorsi che qualcuno
mi faceva cenno di avvicinarmi. Non ebbi alcun timore (e c’era d’averne,
dati il luogo, l’ora e la situazione). Mi avvicinai e mi sembrò di
riconoscere il volto familiare di un bambino al quale però non riuscivo
a dare un nome. Mi porse la mano e mi cominciò a guidare verso la
trazzera che porta al lavatore. Illuminava il nostro cammino una luce
diffusa ed una musica gradevole ci accompagnava. Una leggera brezza
portava fino a noi i profumi della campagna.
Io ti conosco – disse allora il bambino – e adesso ti condurrò
in un luogo dove potrai acquistare tutto ciò che vorrai, anche cose che
non troveresti da nessun’altra parte.
Non riuscivo più a connettere. La realtà era fantastica? o le mie
fantasie si erano materializzate? Di certo stavo vivendo la situazione
come un bagno rigenerante.
Durante il nostro andare incontravamo altre entità. Fantasmi? Forse
solo fantasia.
Stavamo raggiungendo la parte più bassa del Lavatore.
Quella parte di campagna è stata sempre considerata dai montedoresi
alla stregua di un "eldorado": i frutti più belli e saporiti
vi crescono. Anzi è l’unico luogo in cui certi frutti maturano. Gli
ortaggi che vi si raccolgono battono in sapore e profumo quelli che
crescono nelle altre campagne. Forse la spiegazione di tutto sta in un
bene prezioso per la nostra terra asciutta, arsa, assetata, un bene che
invece lì è presente in abbondanza: l’acqua. O forse sta in qualcosa
non facilmente spiegabile con la ragione: un mistero!
Mi venne in mente anche la volta in cui, con mio padre, ci recammo in
quella campagna per raccogliere le more rosse del gelso imbrattandoci
dalla testa ai piedi.
Stavo fantasticando quando il mio accompagnatore mi scosse per
presentarmi ad un vecchio che, come mi era successo prima in occasione
della prima apparizione, mi sembrava avesse dei tratti conosciuti. Mi
crucciavo a tentare di ricollegare la sua fisionomia a quella di una
persona conosciuta, mentre meccanicamente gli porgevo la mano.
Senza rendermene immediatamente conto mi ritrovai, assieme a loro,
immerso in un bazar. Solo che qui i rumori erano suoni; il vociare
bisbigli, sussurri; gli odori profumi di essenze le più varie. Niente
assordava, nulla abbagliava, nulla nauseava. Tutto era così discreto e
soffuso! Ero forse capitato nel Mercato Centenario di cui mi raccontava
lo ‘zì Pietro?
Non mi interessava raccogliere quanta più mercanzia potessi. Mi era
sufficiente essere presente e vedere quei tesori. Tutto luccicava d’oro
brillante. In me però non c’erano sentimenti di rapina, di
accaparramento. Mi voltai verso i miei compagni di viaggio. Fui percorso
da un brivido nel riconoscerli: l’uno ero io da bambino; l’altro ero
sempre io, ma da vecchio. Mi sorrisero avendo capito che li avevo
finalmente riconosciuti. Il passato ed il futuro. Il mio passato ed il
mio futuro. Una cordata ideale che mi faceva rivivere il passato
guidandomi verso il futuro. Un ritorno al passato che mi sarebbe servito
per andare avanti. In quel momento le due figure scomparvero.
Il mercato però continuava. Un venditore mi offrì, sorridendomi, un
cesto di more rosse di gelso, insistendo perché le accettassi.
Mi resi conto che adesso era ora di tornare a casa.
A quel punto (del sogno?) mi svegliai. Avevo dormito alla grande e
avevo sognato (?). Mi incamminai verso la cucina e sul tavolo trovai un
cesto di more rosse. Nessuno seppe dirmi chi ve le avesse poste!