MONOTONIA DI UN MATTINO MILANESE
Varcata la soglia del portone, come tutte le mattine
verso le sette e trenta, ho appena acceso una sigaretta e sospinto
l'uscio, che già odo il primo saluto della giornata:
"Buon giorno!".
Guardo la persona che mi sta quasi di fronte, e stento a riconoscerla,
per un attimo.
"Buon giorno dottore, come va?".
Ma sì, è proprio lui, il dottore della porta accanto. Grasso e
traballante fino al mese scorso, adesso mi sembra un ballerino della
Scala. Una metamorfosi incredibile! Secco e quasi macilento, due
baffetti alla Adolf Hitler, passo svelto e sicuro. Se non mi avesse
salutato per primo non l'avrei riconosciuto. Ma cos'è successo? Che sia
andato a disintossicarsi? In un mese ha smesso di bere, è dimagrito di
parecchi chili, non fuma più? No, no, il fumo no: fatti alcuni passi,
scorgo che ha in bocca la solita sigaretta e l'accendino pronto alla
bisogna. Povero dottore! Spero abbia risolto tutti i suoi problemi,
perché è una persona a modo, gentile, si ferma a parlare con tutti,
saluta e discute con garbo. Saranno stati i due bei bambini avuti
nell'arco di qualche anno e la nuova bella moglie a farlo risuscitare
dal limbo in cui s'era cacciato. Sempre al bar, sempre col bicchiere di
vino in mano, sempre traballante ed insicuro. Mi sono spesso chiesto
come facesse a guidare l'auto, ma soprattutto ad esercitare un mestiere
già di per sé difficile e problematico ai nostri giorni. Meritava una
simile trasformazione, poverino: mi auguro che quel repentino
cambiamento non sia il sintomo di altri e più seri problemi.
Pochi passi, il tempo di archiviare questi pensieri,
ed eccoti al cospetto di un bellimbusto!
"Questo sì che meriterebbe quattro calci nel sedere", è la
mia prima riflessione.
Un saluto sommesso, appena accennato, e lo lascio lì con la scopa in
mano mentre tenta, così pare, di spazzare il davanzale del portone. Che
tipo, questo filippino! Bassotto e tarchiato, qualcuno ha avuto l'ardire
di commentare che sia un vero fusto! Forse per i suoi compaesani, sì
per i suoi compaesani è sicuramente bello ed atletico, dal momento che
tutti sono piccoli e mingherlini rispetto a noi italiani. Fa finta di
spazzare, ma i suoi pensieri vagano sicuramente lontani, migliaia di
chilometri oltre oceano, verso la sua terra d'origine, dove, dice,
d'avere un'altra moglie e forse altri figli! Ma qui non ne ha una e
piuttosto carina? Mica gli basta, questa, la solita di tutti i giorni.
E' stato sufficiente che tornasse dalle sue parti per un periodo di
ferie per procurarsene un'altra, quella dei suoi sogni, e che già
chiama "la mia seconda moglie". Per aiutarla le manda un po’
di quattrini ogni mese, e ne parla come se in quella terra, forse più
cattolica della nostra, fosse ammessa la bigamia come nei paesi arabi.
E' la sua vera moglie a sgobbare tutti i santi giorni, in portineria o
nelle case a fare i lavori domestici, per crescere ed accudire il figlio
che oramai si sente italiano e non vuol sentire parlare di tornare nelle
Filippine.
Ancora pochi passi e sono al semaforo, a quel
benedetto semaforo tanto agognato e adesso odiato ancor di più! Perché
per quell'attraversamento s'era reso veramente necessario un semaforo,
visto che le macchine sfrecciavano rischiando d'investire qualche
incauto pedone. Anzi l'incidente era successo mandando un ragazzino
all'ospedale. Richiesto a furor di popolo il semaforo è stato
installato: ma non solo uno, due addirittura! Poiché per fare pochi
passi da un marciapiede all'altro i due semafori non sono sincronizzati
e bisogna fermarsi nel mezzo dell'aiuola ed attendere che scatti il
secondo verde prima d'attraversare. Con il pericolo che la gente, e
soprattutto i ragazzi che vanno di fretta verso gli istituti scolastici,
attraversino col rosso, sgaiattolando tra una macchina e l'altra.
Il tempo di schiacciare il bottone per chiamare il
verde: li vedo, sono loro, dall'altra parte della strada che
s'apprestano ad attraversare.
"Adesso si baciano!", penso tra me e me.
Non faccio in tempo a pensarlo che già s'abbracciano e si baciano, come
due innamorati che non si vedono da chissà quanto tempo, ignari dei
passanti che stanno loro intorno. Ma per questi due quarantenni pare che
il tempo si sia fermato da chissà quanti anni! Mano nella mano,
grassottelli, lei con la borsa a tracolla, lui con uno zainetto dietro
le spalle, sono fermi sul marciapiede in attesa che il semaforo dia il
lasciapassare. Li osservo mentre i loro sguardi voluttuosi s'incrociano,
i loro corpi quasi attaccati per timore di perdere il contatto, le loro
mani grossolane da operaio più che delicate e asfittiche da impiegato.
Li incrocio mentre traghettiamo quel maledetto lungo semaforo. Parlano
animatamente guardandosi negli occhi. Fatti una decina di passi sul
marciapiede opposto, mi giro con curiosità per osservarli. Anche loro
hanno attraversato e sono già fermi, vicino lo spigolo del palazzo,
naturalmente abbracciati e si baciano. Ed immagino che rifaranno la
stessa mossa non dieci, ma venti o cinquanta volte prima di giungere sul
posto di lavoro.
"E se lavorassero insieme? Chissà i loro compagni!", mi
chiedo proseguendo verso il giornalaio.
Spengo la sigaretta consumata a metà, perché fra
poco dovrò entrare nella panetteria, e la conservo per dopo. Attraverso
i giardinetti, e mi trovo di fronte il solito Tarek l'egiziano, seduto
sulla panchina in attesa di qualche evento. Oramai ci comprendiamo a
distanza con dei semplici gesti. Faccio cenno con la mano per chiedere
se desidera una briosche, ma dal suo sguardo e dal gesto della mano
alzata a diniego, capisco che oggi la risposta è negativa.
"Ha già fatto colazione, povero Tarek!", penso. Non chiede
mai nulla, anche se a volte gli do qualche euro e qualche sigaretta che
accetta volentieri.
Tarek, così mi disse di chiamarsi un giorno che tentai una discussione,
conosce poche parole d'italiano, ed in occasione del mio primo approccio
si spaventò notevolmente, almeno così mi parve, mostrandomi la tessera
di una mensa, credendo che fossi una guardia o qualcuno della polizia
che volesse indagare sul suo conto. I primi tempi dormiva all'angolo del
viale, su dei cartoni e coperto da alcuni cenci. Fu un inverno molto
rigido quello passato, e lui sempre lì dal calare della sera alle prime
luci dell'alba, nel suo giaciglio sempre in ordine, le scarpe allineate
verso il muro, una bottiglia d'acqua a fianco. E russava, poverino,
russava forte, di stanchezza o di fame: perché chissà se aveva
mangiato quel giorno. Qualche sabato sera, tornando dalla pizzeria e
passando accanto al suo giaciglio, gli lasciavo una pizza che consumava
volentieri. Da qualche tempo ha cambiato "dormitorio"
trasferendosi in un posto meno aperto alle intemperie. Ma alle sette e
mezzo del mattino è sempre lì, sulla panchina dei giardini, a scrutare
il cielo o ad interrogare i suoi faraoni, per sapere se quel giorno
sarà propizio o se dovrà stringere ancora la cinghia.
Pochi passi e sono sul marciapiede del viale opposto,
di fronte al giornalaio. E d'incanto, come tutte le mattine, sbuca il
signore del telefonino. Elegante, giacca e cravatta, occhiali, sulla
settantina passata, sembra pronto per prendere posto sulla poltrona
dirigenziale di qualche azienda. Fa sempre lo stesso tragitto e
l'incontro sempre su quel marciapiede: a parlare col telefonino
incollato all'orecchio. Mi sono sempre chiesto cos'abbia da dire a
quell'ora del mattino, quali affari debba discutere e con chi, se
dispensa ordini di servizio, improbabili data l'ora, o se discute con
un'amante segreta che ha passato una notte insonne e non vede l'ora di
un abboccamento. Entra dal giornalaio e ne esce con due o tre giornali
sotto il braccio, pronto a riprendere la conversazione interrotta o ad
iniziarne una nuova. "Spenderà tutta la pensione in
telefonate", immagino.
Nel mentre che attraverso ecco il giovanotto che ha
tutta l'aria di chi s'interessa di politica. Faccia caldo o freddo,
porta sempre la giacca piegata sul braccio sinistro o appoggiata sulle
spalle, come nel manifesto del Terzo Stato, mai indossata normalmente,
mai la cravatta. Mentre con la mano sorregge un libro, tenendolo in
bella vista, quasi voglia dire: "Ecco cosa leggo, guardate!".
Che abbia sempre caldo? Che sia un segno di distinzione, dato il sorriso
quasi sardonico che lo contraddistingue? Fuma sempre e tiene la
sigaretta in modo particolare: tra il pollice e l'indice. Il giornale è
sempre lo stesso: "Il Giorno". Che sia uno degli ultimi
Craxiani sopravvissuti alla grande bufera politica?
Incontro il solito signore che, pipa in bocca e due
bei cagnolini al guinzaglio, uno bianco e l'altro marrone, passeggia tra
le aiuole, la signora tutta elegante che mena a spasso il suo bassotto e
porta in mano in bella mostra una busta per recuperare il bisognino del
suo amato animale, i soliti passanti che con passo frettoloso corrono
verso il posto di lavoro.
A ridosso delle mura spagnole si svolge una scena oramai solita ed
usuale in tutte le città italiane. Un barboncino giocherella con un
grosso cane che, evidentemente, cerca il posto adatto ai propri bisogni
e non intende essere distratto né importunato da un animaletto di poco
conto. Questo lo stuzzica, gli mordicchia la coda, gli gira intorno come
una mosca noiosa e petulante. Finché annoiato da quelle cerimonie, con
una zampata lo sbatte contro un alberello. Al suo guaire, il padrone
s'infastidisce e brontola contro il padrone del grosso cane; questi
risponde che la colpa è del moccioso che disturba il suo mastino,
l'altro risponde per le rime che quel bestione dovrebbe tenere la zampe
al suo posto, etc.
Prendo il giornale, passo dal tabaccaio, quindi in
panetteria acquisto pane e latte. Accendo la mezza sigaretta che avevo
spento e conservata ad inizio percorso. Ritorno sui miei passi ed
attraverso il solito maledetto doppio semaforo, tra mugugni ed
imprecazioni non solo miei ma di quanti stanno lì in attesa.
Chissà se qualcuno di quelli che incontro tutti i
santi giorni, ha fatto o fa di me la stessa fotografia che io faccio di
loro! Sarei curioso di sapere cosa pensano di me e delle mie mezze
sigarette.
Il medico dirà che sono puntuale e giudizioso, il filippino invidierà
la mia nazionalità, i due amanti mi scambieranno per un curioso
guardone, Tarek mi manderà al diavolo nella sua lingua se qualche volta
lo ignoro, l'uomo col telefonino penserà che non conto nulla, mentre il
signore con la giacca sulle spalle penserà che sono un suo avversario
politico e mi etichetterà come "l'uomo che legge La
Repubblica".
Così tutte le sante mattine, o quasi.