Lina e Lucciola
Mi piace riportare il profilo che la "Società Letteraria" di Verona ha scritto su Lina, semplicemente scorrendo le pagine di "Lucciola".
"Lina Caico (Lina) è la fondatrice e la prima direttrice della rivista. Era nata a Bordighera nel 1883 dal matrimonio di un ricco possidente siciliano con una gentildonna inglese.
In Sicilia, da tempo diventata un centro di interessi economici soprattutto per la produzione del vino Marsala, succedaneo del Porto, assai apprezzato in Gran Bretagna, si erano stabilite molte famiglie inglesi formandovi una piccola colonia che col tempo si era perfettamente integrata con l'aristocrazia locale. L'originale incontro tra la mentalità industriale degli inglesi e le raffinate tradizioni della nobiltà isolana aveva dato vita, nel periodo della giovinezza di Lina, ad una stagione di grande vivacità artistica e culturale che ebbe il suo culmine con la grande Esposizione Universale di Palermo nel 1892. La città veniva consacrata come una delle capitali del Liberty europeo.
La madre di Lina, Luisa Hamilton, era una donna colta e di larghe vedute. Lina viene educata in Inghilterra dove vive fino ai quindici anni, insieme alla sorella Letizia e al più giovane Federico. La famiglia poi si trasferisce a Montedoro, piccolo centro agricolo e minerario in provincia di
Caltanissetta, dove il padre possedeva terre. Sebbene viva in un paesino del povero ed arretrato entroterra siciliano, Lina ha, grazie all'educazione ricevuta ed alla posizione sociale, la possibilità di intrattenere rapporti epistolari con i migliori esponenti della cultura palermitana e di tessere da Montedoro una rete di relazioni che oltrepassa i confini nazionali.
A Montedoro d'altra parte Lina inizia la scoperta delle proprie radici siciliane e vuole conoscere le tradizioni popolari, in sintonia con l'avvio degli studi etnologici in Italia, inauguratasi in quegli anni, proprio a Palermo, con i lavori del Pitrè e del De Giovanni. Per "Lucciole" raccoglie e trascrive canti e serenate siciliane, i cui testi riecheggiano la grande tradizione della scuola siciliana del Duecento.
Nel 1933 Lina, che era stata educata nella regione protestante, si converte al cattolicesimo. Scrive: "Da protestante ero molto cattolica, da cattolica sono un poco protestante".
Il rigore e la libertà di pensiero che si respira nei suoi scritti non le permettono mai di abbandonarsi a giudizi convenzionali; ma le fanno anticipare spesso tematiche che ancora oggi sono al centro del dibattito tra le donne cattoliche. Così come quando scrive su "Lucciola", contro la legge che vietava il divorzio, l'articolo "Quello che Dio ha congiunto", che pubblica insieme ad altri nella raccolta "Pensieri sul mio cammino", Palermo 1930.
Dopo una breve esperienza di lavoro a Napoli come istitutrice, Lina è insegnante di lingua inglese presso la scuola statale Turrisi Colonna di Palermo. Pubblica soprattutto articoli su problemi morali e religiosi su "Fede e vita", "Lumen", "Primavera siciliana", ecc. Sul "Giornale di Sicilia", con Laura Mangione, anch'essa aderente a "Lucciola", tiene, dal 1931 al 1938, sotto lo pseudonimo di Lino Lauro, una rubrica intitolata "Attualità e curiosità". Chi la conobbe, la descrive come una creatura dolcissima e forte, la cui esigenza di verità era animata da una grande energia spirituale. Anche dopo che la direzione della rivista passò ad altre socie, Lina resta, e questo si intuisce dal tono di affettuoso rispetto con cui le altre redattrici le si rivolgono, la più amata tra le Lucciole.
Alla sua morte nel 1951 le viene dedicato il refettorio per i ragazzi del popolo del quartiere di Castellammare di Palermo".
Lina quindi, risulta in buona sintonia con la madre e ne segue la vena letteraria. E mentre questa è intenta a scrivere
"Sicilian ways and days", s'inventa il suo capolavoro, la rivista itinerante "Lucciola", scritta a mano, che dal 1908 al 1926 viaggerà per l'Italia passando di mano in mano alle varie corrispondenti, da Montedoro alle Alpi, e che, raggiungendo le varie corrispondenti, s'implementava lungo il percorso per completarsi alla fine del giro. Una specie di catena di sant'Antonio, il cui scopo era quello di conoscersi meglio tra le righe, parlando dei fatti della vita, di politica, di letteratura, d'arte.
Lina non era nuova ad esperimenti del genere dal momento che, nei vari college, era di moda dare vita a simili iniziative. In Inghilterra era nata una rivista di nome "Firefly", in Germania si chiamava "Parva favilla", in Francia "Mouche volante". Esperimenti, comunque, limitati nel tempo e nello spazio. E diverse erano in Italia le riviste a stampa alle quali collaboravano tante ragazze di buona famiglia, come "Rivista per le signorine", "Voci amiche", "Lumen" e "Prima lux". Ma come dirà una socia alla fine della sua collaborazione con Lucciola, "una rivista a stampa non può essere come una rivista manoscritta". E qui sta infatti la differenza, un'originalità che nasce dal modo di passarsi la rivista e dal fatto ch'era manoscritta.
La rivista, partendo dallo sperduto Montedoro, raggiungeva le corrispondenti, tutte e solamente donne (erano ammessi solo pochi uomini, cugini o fratelli), nei vari luoghi d'Italia, affidando la corrispondenza ai mezzi di trasporto dell'epoca, treni regi e carrozze. Che a giudicare dal risultato funzionavano abbastanza bene se, nel volgere di due o tre mesi, toccava oltre 40 località, da Montedoro a Catania, a Napoli, a L'Aquila, a Firenze, Modena, Venezia, Verona, Milano, Bergamo, Como, Pavia, Biella,
Saluzzo, etc. Così nasce la rivista che viene chiamata "Lucciola", piccola lanterna vagante che, unica nel suo genere e senza riferimenti, né prima né poi, vagherà per tutta Italia, dalla Sicilia alle Alpi, dal 1908 al 1926, anno della definitiva chiusura.
Il fascicolo dalla copertina intarsiata e lavorata a mano (in una foto dell'epoca si vede Lina Caico intenta alla preparazione della prima copertina), veniva
"inizializzato" dalla direttrice del momento, quindi raggiungeva le corrispondenti che, nel volgere di due giorni al massimo (pena una multa!), annotavano le loro osservazioni, esprimevano i propri pensieri di donna, parlavano di politica, di vita in genere, ponevano domande (che trovavano risposta nei numeri successivi, visto che nel frattempo erano in viaggio altri fascicoli), inserivano foto e racconti, e lo spedivano al destinatario più vicino che faceva altrettanto. Finché non tornava nuovamente al luogo di partenza. Così per ben 18 anni, questa rivista in unico esemplare per numero e scritta a mano, vagò carico di sentimenti, di preoccupazioni, di ansie, per le strade italiane, sfidando persino gli anni della guerra, per giungere miracolosamente a noi per puro caso, per merito di Gina Frigerio di Milano, l'ultima direttrice a conservare diligentemente tutta la raccolta. Le corrispondenti, che si alternavano nella direzione della rivista, si firmavano con uno pseudonimo, com'era uso del tempo.
L'intento iniziale era che la rivista si occupasse solo di vicende private, ma fu inevitabile che le argomentazioni si spostassero verso la politica, la letteratura, e soprattutto verso i fatti contingenti dell'epoca, molto agitata dalla guerra del '15-'18 e dalle conquiste coloniali. Il fascicolo era impaginato dalla direttrice, con dipinti, disegni, foto, copertine e frontespizi, propri o delle corrispondenti. Il contenuto della prima parte era essenzialmente letterario, con racconti, poesie, diari, descrizione di gite e conferenze. Nelle pagine finali era aperta la discussione, in cui le socie potevano esprimere i loro pensieri, porre domande, fare critiche. Le risposte delle socie arrivavano dopo qualche mese, al secondo giro di boa. Oggi, nell'era del computer e di internet, questo reperto quasi archeologico, ci appare come un'eredità prodigiosa. I fili delle esistenze di queste lucciole si annodano tra loro, e si vede la vita scorrere pagina dopo pagina.
La crescita personale s'intreccia con gli avvenimenti collettivi in un gioco di interferenze. Così le dolorose attualità della grande guerra traspaiono nella rivista, con le sofferenze delle famiglie, il dolore per i morti. Nel 1911 l'Italia parte per la conquista della Libia, e fra le lucciole serpeggiano fermenti di entusiasmo colonialista. Così Giulia cita ruggenti versi di D'Annunzio, mentre Lanternino scrive un lungo reportage sulla visita alle tombe dei caduti di
Sciara-sciat. Negli anni successivi cresce il fermento intorno alle terre irredente di Trento e Trieste, e Pia, che è triestina, si esprime con toni entusiasti perché fautrice dell'unione all'Italia di quelle terre.
A distanza di ben 80 anni, leggendo ed analizzando il contenuto della rivista, le sorelle Lina e Letizia Caico risultano le più colte, intraprendenti ed evolute del gruppo. L'educazione in Inghilterra e la religione protestante (poi si convertiranno al cattolicesimo) le rendono più libere nei giudizi, e capaci di guardare con occhio critico alle tante convenzioni che le circondano in Italia.
Lina ricorda una pagina di un giovanissimo caduto, Manfredi Lanza di
Trabia. La guerra è un'apocalisse che annuncia la palingenesi, ma anche una malattia che, se non mortale, si risolve con la rinnovata salute del corpo. In queste opinioni c'è il senso fatalistico e religioso di chi cerca una visione provvidenziale anche nelle catastrofi, ma in questo esprime la forza e l'energia della volontà di vivere.
Quando appare alla ribalta il partito fascista, "v.f.s." (Laura
Frigerio) di Milano, nel 1922, aderisce al clima di attivismo che i fasci sembrano annunziare. Ma non Lina, che così risponde ad una corrispondente che si dimostra entusiasta verso il nascente fascismo: "… Io socialista non sono. Ma ancor meno sono fascista, o Rosa Sfogliata ! (pseudonimo della socia che elogiava il fascismo). Credi tu davvero che il fascismo come idea e come persone sia tale da produrre una novella Italia? ….".
Lina era pervasa da una serietà profonda ed un grande senso religioso della vita, un'alta idea della dignità femminile, senza scadere nel bigottismo. E sappiano che la sorte mise a dura prova il coraggio che si rispecchia nelle sue parole. L'amicizia creatasi attraverso la fitta corrispondenza si protrarrà oltre la chiusura della rivista, che avviene nel 1926, dopo ben 18 anni di pellegrinaggio attraverso l'Italia. Lina nel 1942 (morirà nel 1951), inferma ed in ristrettezze economiche, viene accudita dalla "lucciola" Licia (Laura Mangione di Palermo), nella casa di Montedoro fino al 1943, prima di trasferirsi definitivamente a Palermo. E
"v.f.s.", mossa da senso religioso, le manda una carrozzina per invalidi (tanti in paese ricordano ancora Lina su questa carrozzella). Finito il sodalizio, Nunziatina, commossa, scrive nel suo congedo: "Le varie grafie erano come altrettante voci".
Scoprire questa storia (ancora da studiare ed esaminare attentamente), di cui a tutt'oggi nessuno aveva parlato e raccontato, riempie di emozioni; sia per la vicenda in sé, nata per scopi letterari e culturali, sia per le storie umane che inevitabilmente si sono intrecciate tra le varie corrispondenti di tutta Italia, mostrandone uno spaccato esemplare. Infine perché, Lina, una pia donna colma di sentimenti umani e cristiani, insieme alla sorella Letizia, era stata una degna ambasciatrice nel mondo della cultura del profondo sud.
La scoperta
La scoperta della rivista "Lucciola" e di tutta la sua storia è avvenuta quasi per caso, come per caso avvengono spesso grandi eventi. Fede e Franco Carlassare sono gli eredi di Gina Frigerio
(v.f.s), l'ultima direttrice di Lucciola, abitanti a Milano. Durante la sistemazione del solaio di casa scoprono una cassa piena di quaderni rilegati e scritti fittamente a mano, e cercano di disfarsene. Capita a casa loro un mercante che per poche lire ne preleva una decina, mentre la maggior parte resta nella cassa. Fede e Franco incuriositi informano un loro parente di Verona che portano sul posto alcuni amici della Società Letteraria. Grande è lo sbalordimento quando, dopo un primo esame sommario, si rendono conto che si tratta non di semplici manoscritti ma di un'opera straordinaria, che va studiata e valutata in tutti i particolari. Quando il mercante, conscio del valore di quei quaderni, che ha appena venduto alla Unione Femminile Nazionale, torna per recuperare i rimanenti, trova la cassa vuota: fortunatamente! Il grosso dell'opera è salva.
Quando ho avuto sentore di tutta questa "storia" é troppo tardi, perché i giuochi sono ormai fatti. Non mi resta che mordermi le mani perché, ironia della sorte, Fede e Franco Carlassare abitano a poche centinaia di metri da casa mia e chissà quante volte sono passato vicino a quel solaio che nascondeva una bellissima storia nata a duemila chilometri di distanza, a Montedoro, a poche decine di metri dalla mia abitazione. Inizio affannose ricerche, contatto le persone che presumibilmente possano ancora conservare documenti della famiglia
Caico, da Montedoro a Palermo, all'annosa ricerca dei quaderni mancanti perché, da una stima di circa 180 totali, soltanto 120 risultano ritrovati. Scopro da un amico in Svizzera una quantità di documenti e lettere della famiglia in questione, che mi serviranno per compilare il presente libro, ma di Lucciola nulla! Finalmente a distanza di anni da Palermo ho ricevuto due quaderni della rivista (1908-1910), molto interessanti anche se mutilati, conservati nella biblioteca del Prof. Maltese la cui famiglia aveva avuto rapporti con Lina
Caico. Segno che è ancora possibile rintracciare se non tutta almeno parte dell'opera mancante.
Il quaderno del luglio 1908 risulta mutilato nella seconda parte, mentre la prima è abbastanza in ordine. E' composto da:
- bella copertina ad opera di Sakuntala
- indice delle illustrazioni
- indice degli scritti
- indirizzi e date delle spedizioni delle socie
- una lettera di Lina Caico alle socie, di ben 42 pagine
- la pagina dei voti delle opere delle socie (racconti, saggi pitture disegni
fotografie)
- il contenuto fino a pagina 123 é di racconti, disegni, foto
Il quaderno del 1910 (ottobre?) manca della prima parte e contiene una serie di
articoli, foto e disegni
Complessivamente contiene circa 100 pagine, mentre nella versione originale ogni quaderno era composto da non meno di 400 pagine!
Per capire meglio quale fosse il compito della direttrice della rivista riporto la lettera di Lina Caico alle socie nel quaderno del luglio 1908.
Lettera, Montedoro, luglio 1908
Mie care socie,
Dice il proverbio, non si può andare alla processione e suonare le campane. Ciò significa, non si può dirigere la Lucciola e collaborare ad essa; in questo mese ho voluto farlo, e questa è la ragione del terribile ritardo.