Mia cara Letiziuccia,
Mi è arrivata or ora una "Lucciola" (ed un'altra ne ho spedita ieri), ma la faccio aspettare, e ti scrivo! Mi ha fatto tanto piacere la tua scribacchiatina sulla busta di mamma, e mi rincresce che non c'era almeno una letterina mia insieme alla cuffietta; ma la colpa fu proprio della cuffietta, che mi portò via tutto il tempo! Sì, mammà è ancora ingrassata, ma qua l'ho trovata con certe pieghe d'impazienza repressa, di stanchezza, di rughe di nuovo accentuate sul suo viso, mentre quando era passata da Napoli di ritorno da laggiù queste pieghe m'erano parse tutte spianate, e mamma pareva ringiovanita! Ma mi figuro che si saranno spianate di nuovo non appena la carrozza di "gnuri Paruzzo" se la portò fuori di Montedoro, verso la stazione! Uh, questo orribile e delizioso Montedoro! Come ci si sta bene e come ci si sta male! Io per ora mi prendo il male come provvisorio, e mi godo il bene più che posso. E del resto il male di Montedoro per me è principalmente negativo, mancano tante cose, poiché il male positivo della casa mi tocca relativamente poco, tutto l'urlio, il brontolio, il parapiglia consueto, non si volge verso di me; ma oh! che cosa, che cosa, contentarsi di questo come d'una fortuna, ed avere d'attorno normalmente questo genere di vita, non potere mettere nemmeno un pizzico della propria vera vita nelle relazioni con le persone d'attorno, e che! si può vivere contenti, affettuosi, lieti d'essere insieme, avendo bisogno gli uni degli altri, si può essere allegri, si può comunicarsi le cose che reciprocamente c'interessano, si può scherzare e godere di tutte le cose buone, si può vivere insomma, anche in questo mondaccio cane, e si potrebbe magari qui, in questa "casaccia cane" malgrado tutti i guai giudiziari del mondo! E un godere della vita così, almeno così, con un po' d'affetto, un po' d'allegria, un po' di pace, un po' d'intelligente interesse reciproco, in questo momento mi pare un tale spreco della vita!
Ma, ripeto, tutto considerando me la passo benissimo, mi sveglio al suono di grosse parole, "fetente e
fetoso", eccetera, ma io non c'entro mica, c'entra Rosario, la zia Giulia, le quartare, le galline, sicché non posso proprio lagnarmi. E con me papà è proprio sul suo best
behaviour! Mi sceglie le uova migliori, mi ha dato dieci lire senza che le chiedessi, e così via… Quello che è un vero guaio è che Federico non trovi mezzo di partire! T'assicuro che si rovina sempre più a star qui; tra l'ozio, e il far amicizia con tutta la gioventù
montedorese, è proprio un danno per lui restare qui! Puoi dire a mammà che lui continua a dare lezioni di francese a quella figlia di trafittera, la "signorina Sciandra" come lui la chiama, ma che fortunatamente papà non se ne rende conto, quantunque sia sempre sospettoso quando Federico esce. Del resto, fortunatamente papà non se la prende mai direttamente con lui, né lui con papà, sicché quando lui si rinchiude sino a mezzogiorno nella dispensa per fare il bagno, e papà intanto nel passare per prendere il formaggio, le irritazioni d'ambo le parti si rivolgono verso di me, ma queste sono le amenità di Montedoro!
E io sto bene, cara Letiziuccia! Ancora starnuto spesso, e con più detonazione che mai, e consumo fazzoletti in quantità; ma è già meno che a
Capodimonte, e vedrai che questa specie di raffreddore cronico localizzato nel mio naso a poco a poco qui mi passerà. E faccio il possibile per ingrassare! Mangio cinque o sei uova al giorno, e piatti di pasta rispettabili e mandorle fresche ad libitum! Mi pare così buono il mangiare di Montedoro! E la mia camera è deliziosa, ombrosa e luminosa, e tutta mia! Sono in gran trattative con mastro
Caliddo, e questa volta che ho i miei bravi quattro solducci da spendere, dico per davvero, faccio sul serio, e quando, uh, non presto!, tu ritornerai qui per un poco vedrai finalmente questo miracolo, la camera di Lina finita, coi suoi vari mobili a pluralità di usi belli e completi e terminati. Ancora non la vedo così, ma, insomma, la cosa è avviata! E non ci lavoro tanto perché anzitutto voglio scrivere, scrivere, e non hai idea quante cose persistono a rubarmi il tempo. Ieri ho aggiustata una camicia di papà, e per ora ho da rattoppare un suo pantalone bianco, e poi c'è un paio di mutande che richiede toppe tremende, e poi c'è un tal mucchio di calze…!
Come ti dissi, ho mandato la piccola sirena a Gina Floreale; essa non me ne ha accusato ricezione; forse ne scriverà a te. E finito quello, ho lavorato a terminare una paginetta che avevo abbozzata a Capodimonte quando ero a letto malata, e fu perché le Aspesani mi esortarono vivamente a scrivere nella rubrica "osservazioni, di "Voci Amiche", sui lavori comparsi nella rivista; ed io, cerca, cerca, trovai che la cosa sulla quale avevo più da dire era un vibrato discorsetto antidivorzista, che diceva delle cose vere, si, (è facile dire cose verissime, sia parlando pro divorzio che parlando contro!), ma il modo vero di considerare il divorzio, il suo posto nella società, non era compreso, e poi io da un pezzo avevo da esprimere qualcosa che ho pensato riguardo alle parole di Gesù a quelli che chiedevano del divorzio. Così, molto laboriosamente, al solito mio, ho finita adesso la mia piccola parola sul divorzio, e debbo mandarla sia a Voci Amiche che alla Lucciola; ma ho paura che in quest'ultima non garberà punto a
Flamen!. E anzitutto ne ho fatta una copia per te, e te la mando insieme a questa. Dimmi se la ricevi, perché non val la pena raccomandarla. Dì! hai ben ricevuta la lettera che ti scrissi da Napoli, accludendone una per la signora
Keene? Non vi hai mai accennato, ma spero che non si perse, perché, per una lettera certa, era proprio lunga!! Ti spiegavo un po' come l'era andata pel ritardo del libro e delle fotografie, pur recitando il mio "mea culpa" di sbadatura… Ora, come nell'ultima ti dissi, quel povero pacchetto è là che aspetta nella camera di Vincenzo a Napoli, mentre avresti potuto averlo da tanto tempo! Questo, vedi, è proprio destino, ecco! Ma ti prego di mandare a Vincenzo (Biblioteca di … piazza Dante 93) una cartolina dandogli il tuo nuovo indirizzo, appena ne avrai uno, se nel frattempo non riceverai il pacco. Vedi, non so ancora s'egli è ritornato a Napoli. Doveva esserci ai primi di agosto. Oh! povero Vincenzo, se tu sapessi che cosa dolorosa, terribile, lo stato di suo padre per lui e tutta la famiglia! Ti copio dalla sua ultima lettera; sai che lui andò perché suo padre era colto da una bronco polmonite, che pareva egli non potere superare. Dice Vincenzo: "Dal dì del mio arrivo ad oggi l'ho sempre vegliato io la notte, fino alle 5; e queste povere donne lo assistono di giorno. Ma che vuol dire questo assisterlo non sai. Egli ha perduto come ogni facoltà di moto, così e più ogni intendimento; e non avverte i suoi bisogni. Così è un continuo rimutarlo da un letto ad un altro contiguo per cambiare la biancheria; e ogni volta che lo sollevo di peso mi si rompe la schiena. E' terribile! Povero caro, ha negli occhi una tristezza e una pazienza infinite, e come una continua domanda piena di sgomenti; e questo è quanto gli rimane della sua coscienza. Non parla, non conosce nessuno. Pure ha superato la bronco polmonite. Ma rimane, peggio di prima, un tronco morto. E queste povere donne senza riposo!"
Ora sai Letizia una cosa tanto dolorosa: Vincenzo ha fisso in testa che lui finirà come suo padre, perché è un resto di malattia ereditaria, ed anche un suo zio è morto similmente. Ma, come di tutte le cose sue, egli si fa una fissazione di questa idea, la considera una cosa
certissima, si abitua ad aspettarsela, dice che prima di arrivarci si ucciderà. Oh, qualche cosa che mi fa tanto male! A lui pure, sai! Mentre io cerco persuaderlo che questa eredità è ancora tanto diminuita nella sua generazione, e che tutt'al più come ipotesi può dirlo, ma mai come certezza, e poi il suo organismo è ben diverso da quello suo padre, perciò quando verrà l'ora la sua fine sarà meno prolungata, e poi la sua vecchiaia è ancora lontana! lontana! Ah! povero Vincenzo, come si lascia penetrare da ogni malinconia! E il vero modo di combatterle non è di dimostrarle fuori luogo con dei ragionamenti, delle esortazioni; solo si mettono in fuga quando nella sua vita penetra della gaiezza, e della buona salute, e del lavoro riuscito, e della compagnia cara; allora si dileguano le idee che lo deprimono e lo tormentano. Ora c'è quella sua novella, che la lettura rifiutò perché non adatta a quel genere di rivista, pur chiamandola "requisiti"; ed altro ancora, che gli restò un pezzo inutilizzato nel cassetto, perché, col suo sensibilissimo amor proprio, si sentiva scoraggiato per quel rifiuto, e temeva che non servisse offrirla ad altri. E poi, con quella sua implacabile critica, se l'era tutta demolita, mi andava sempre dimostrando, con tutta la sua capacità di sottile analisi, come e qualimente quella novella non valesse niente. Finalmente la inviò a un suo amico a Roma, perché la presentasse alla Rassegna contemporanea; ed ora egli mi acclude una lettera di questo amico (un giovine scrittore di filosofia) il quale, insieme a tanti altri, si è acceso d'un tale entusiasmo per questa novella! E il commento di Vincenzo in proposito è: "dunque Lina aveva ragione"; perché io mi ostinavo a ritenerla una bellezza, quella povera novella, ed ero desolata che non si pubblicasse. Ora però, riguardo a pubblicarla non è più avanzato di prima; perché i suoi amici non gli consigliano la Rassegna che non pagherebbe più di 80 lire, gli dicono di farne un
volumetto, "un volumetto elegante con disegni", che guadagnerebbe di più, ma bisogna veder di persuadere un editore; ed io capisco che bisogna essere molto fini ed intelligenti per comprendere la bellezza di quel lavoro. E' solo la storia di un vecchio, in un villaggio calabrese, che decide di andarsene a fare il mendicante, per non essere più a carico di sua figlia, la quale ha tanti bambini. E' niente, vedi, ed è un poema! Lui non sapeva che titolo dargli, e considerava la possibilità di un titolo "a fantasia", tratto da qualche particolare secondario della storia, per es. "le fragole e l'usignolo", perché al principio il vecchio mangia delle fragole, ed alla fine c'è un usignolo che canta, ma sono particolari del tutto secondari, fra molti altri; allora io gli suggerii d'intitolarlo l'usignolo, e di svolgere di più quel canto dell'usignolo alla fine; e lui ha fatto così; ed è così bello e misterioso quell'usignolo che canta mentre il vecchio mendicante dorme sotto l'albero…. Oh, spero che riuscirà presto a pubblicarla! Ma Vincenzo si scoraggia così facilmente! Chi sa ora se non spunterà qualche altra cosa che può fermare la novella nel cassetto. Io vorrei tanto che fosse un piccolo volume, con incisioni su legno, uso quelle che illustrano la Francesca di D'Annunzio, sai, all'antica.
Ed ora, Letizia, si tratta di finire Luisella e scrivere almeno un altro atto della P.S. questo mi propongo per questa estate; ma sarà un trascuramento generale d'ogni corrispondenza; se scrivo lettere, io non arrivo a scrivere altro, è inutile; mi pare tanto peccato come ho trascurate, abbandonate, tutte quante le mie vecchie amiche lucciole; ma non ho che farci per ora.
Devo scrivere a Elena, a Concettina, ho da vari giorni da rispondere a Laura, la signora
Distefano, dopo i miei lunghi silenzi mi scrive sempre incominciando "sebbene tu non lo meriti..". Ma vedi, adesso se non riesco a scrivere per davvero, a Montedoro non ci resisto! Ed ora mi do questo termine, ci resterò finché avrò scritto queste cose; poi vedrò!
E sai che temo sia sfumato il mio piano (te lo dissi? Credo di sì, ma non sono sicura) di rivedere Vincenzo a Palermo quando lui andrebbe da sua sorella Fausta, che ci si reca perché suo marito è direttore della banca di lì. Perché ora che è rimasto tanto a Roma, la biblioteca non gli accorderà facilmente altri permessi! Vedremo! Mi sorrideva tanto far vedere a lui e Fausta i miei mobili a Via Mazzini!