La storia di Louise ed Eugenio
Se don Cesare fu una persona molto colta, abbastanza dovette esserlo anche il fratello Eugenio, mandato a studiare a Firenze da Cesare (primogenito e più anziano di Eugenio di 23 anni), e che, morto il padre don Franco, reggeva con fermezza le redini della famiglia.
Per meglio capire la storia di Eugenio e Louise, riporto una memoria scritta a Palermo nel 1992 dal prof. Alfonso Alfano, a seguito di sue ricerche.
<< Louise Caico Hamilton nacque a Nizza l'8 febbraio 1861 da Federico Hamilton e da Pilatte Zulmà. Il padre discendeva dal ramo irlandese del casato degli
Hamilton; ancora giovane lasciò il Regno unito, per divergenze con i rami scozzese ed inglese del casato, e non volle più mettere piede in patria per tutto il resto della sua vita, rifiutando anche di parlarne la lingua.
Scelse la Francia come sua patria elettiva e fissò la sua residenza a Nizza, dove sposò la giovane Pilatte appartenente ad una famiglia di mercanti marsigliesi.
Dal matrimonio nacquero sei figli, di cui ultima Louise nel 1861. Quando questa aveva appena due anni, nel 1863, il padre decise di trasferire la famiglia a Firenze essendo suo intendimento dare ai figli una cultura artistica ed umanitaria di alto livello d'impronta italiana. Fissò la sua dimora nei dintorni della città e precisamente in una villa chiamata "La
Canovaia".
Fu in quello stesso anno che Eugenio Caico, allora dodicenne ed appartenete alla più cospicua famiglia di Montedoro, da quel piccolo comune della provincia di Caltanissetta fu mandato dalla famiglia a Firenze per compiervi i suoi studi medio superiori. Alla ricerca di una sistemazione abitativa e per circostanze che ci sfuggono, Eugenio si trovò ad essere ospitato nella villa degli
Hamilton. Tale convivenza durò fino al 1870 quando il giovane Caico, non dimenticando le radici laiche della sua famiglia, preso dall'entusiasmo per la caduta di Roma in mano alle truppe piemontesi, decise di recarsi in carrozza con un gruppo di amici nella nuova capitale d'Italia.
La scappatella non fu gradita dalla famiglia, la quale richiamò Eugenio in Sicilia facendogli troncare gli studi ed avviandolo all'amministrazione dei notevoli beni di famiglia.
Fino al 1880 per il giovane Eugenio fu un decennio di espiazione durante il quale non gli fu consentito di lasciare il paese di Montedoro. In quell'anno finalmente gli fu accordato di fare un lungo viaggio in giro per l'Europa e così, passando per Firenze, pensò d'andare a salutare gli
Hamilton, con i quali non aveva più avuto neppure rapporti epistolari.
Recatosi alla villa "La Canovaia" trovò nuovi inquilini dai quali apprese che la famiglia da lui cercata da alcuni anni si era trasferita a
Bordighera, dove viveva in una villa di proprietà. Eugenio, senza frapporre indugi, vi si recò e qui, lui ormai ventottenne, trovò Louise divenuta una bella ragazza nel fiore dei suoi diciannove anni.
Fu il classico colpo di fulmine tra il giovane signorotto di campagna e la leggiadra fanciulla che frattanto, oltre alle scuole italiane, aveva frequentato le migliori scuole francesi e londinesi. Si fidanzarono e decisero di sposarsi in tempi brevi. La famiglia di Eugenio però oppose un reciso rifiuto al matrimonio, soprattutto per l'opposizione del fratello Cesare, il quale in quella unione con una straniera vedeva il pericolo di una dispersione del patrimonio familiare.
Eugenio non volle sentire ragioni ed in quello stesso anno (era il 1880) sposò la bella
Louise, accettando la pesante penalità dell'assoluto divieto di rimettere piede a Montedoro, anche se la sorella Giulia, di nascosto a Cesare, non gli fece mai venire meno le rimesse di denaro.
I giovani sposi rimasero a convivere con gli altri membri della famiglia Hamilton e fu lì infatti, nella villa di
Bordighera, che nacquero tutti i figli di Louise ed Eugenio; il primo fu Franco (morto in fasce nel 1881), a cui fecero seguito Lina, Giulia, Federico e Letizia nel 1892. Frattanto il rigore dell'esilio si era attenuato e gli venne consentito il rientro a Montedoro, ma da solo.
Fu così che Eugenio nel 1894 trovò il coraggio di imbarcare moglie e figli a Genova per raggiungere la Sicilia: giunto a Palermo, al momento dello sbarco, gli venne incontro un messo che gli notificò l'ordine perentorio della famiglia di non presentarsi a Montedoro. A quel punto non poté fare altro che prendere in affitto un appartamento in Palermo e qui, in Via Mazzini, sistemarvi la famiglia.
Passarono tre anni, prima che venisse meno l'opposizione del fratello Cesare, colpito da malattia che presto lo portò a morte; così finalmente, nell'anno 1897, Eugenio poté per la prima volta portare la sua famiglia a Montedoro.
Era quello il periodo di massimo splendore della famiglia
Caico: era titolare di vasti possedimenti terrieri, di molte ed altamente produttive miniere di zolfo, di parecchi fabbricati ed aree urbane. Deteneva altresì il potere politico nel paese e vantava potenti amicizie anche a livello nazionale.
Louise Hamilton, ormai divenuta Luisa Caico, venne a trovarsi in questa realtà, nel cui contesto visse dal 1897 al 1913, anche se frequenti erano le sue partenze per soggiorni più o meno lunghi a Palermo, a Bordighera o a Londra.
I sedici anni di vita montedorese furono per la Caico-Hamilton una esperienza esaltante e ricca di interessi; usi, costumi, tradizioni, folklore fecero rivivere nella sua memoria ricordi ancestrali di una civiltà classica scomparsa, che aveva imparato a conoscere ed amare sui libri, ma di cui non aveva ancora avuto occasione di verifica o possibilità di scoperta delle radici.
Fu questo il periodo in cui maturarono nella scrittrice tutte quelle esperienze che lei felicemente tradusse nel libro:
"Sicilian ways and days". Quest'opera, forse senza che l'autrice lo volesse, è risultata un quadro pregevole di umanità; in essa però non troviamo nulla che ci aiuti a capire l'autrice nel suo contesto di vita familiare. Il soggiorno della Caico-Hamilton a Montedoro fu infatti ricco di interessi, ma non felice; i rapporti col marito si andavano sempre più deteriorando anche perché in quella realtà ambientale si evidenziava al massimo la diversa estrazione socio-culturale dei due coniugi, i quali finirono col vivere in un vuoto familiare ancor più aggravato dall'assenza dei figli, i quali, prima andati all'estero per i loro studi, avevano poi preferito inserirsi nell'ambiente palermitano in un momento felice della sua esistenza, quando nella città fiorivano i Florio ed il Liberty.
Fu così che la Caico-Hamilton decise di togliere definitivamente le tende da Montedoro nel 1923 per trasferirsi a Palermo per convivere con i figli. Mise casa in Via Isidoro Carini al civico n. 60; qui visse per tutto il resto della sua vita, inserita nei migliori ambienti della cultura palermitana. Spesso la stampa si interessò ai suoi scritti ed alla sua persona; in occasione della pubblicazione del libro
"Sicilian ways and days" il Giornale di Sicilia del 19 novembre 1911 pubblicò un'ampia recensione che occupava quasi un'intera pagina del quotidiano.
Aveva una perfetta padronanza del francese, dell'italiano e dell'inglese, scriveva indifferentemente nelle tre lingue e mise a frutto queste sue capacità facendo parecchie traduzioni come "Il tempo sepolto" di Maurice
Maeterlinke, "Come essere felici sebbene sposati" di Hardy, entrambi dall'inglese. Pubblicò una sua traduzione in francese di alcune liriche di Leopardi. Nel 1906, per i tipi di
Sciarrino, venne pubblicato in Palermo un suo interessantissimo opuscolo intitolato "Per un nuovo costume della donna in Sicilia". Il Giornale di Sicilia pubblicò molte sue corrispondenze di viaggi.
La morte la colse all'età di 66 anni nella sua casa il 7 marzo 1927; la sua salma riposa nella tomba di famiglia nel cimitero di Sant'Orsola di Palermo. Con essa riposano il marito ed i figli Lina, Letizia e Federico.
"Il Giornale di Sicilia" dell'8 marzo 1927, annunziandone la morte, così scriveva: "Si è spenta improvvisamente la nota scrittrice Luisa
Caico-Hamilton. Viene a mancare con Essa una delle figure più simpatiche e più interessanti del nostro mondo letterario…..".>>