Eugenio resta a Palermo fino al 19 dicembre dello stesso anno, finché, recuperata una parte dei soldi richiesti, decide d'imbarcarsi per Bordighera ("purché mi allontani di qui e mi instradi verso di voi…" scrive disperato), angustiato dai calcoli renali che non gli fanno chiudere occhio. Anzi, alla vigilia della sua partenza riesce ad espellerne uno che terrà in ricordo per farlo vedere alla sua cara
Loulou!
E' proprio un simpatico personaggio, questo don Eugenio. Il 3 novembre scrive a Loulou: "Ieri sera vidi Beniamino che mi consiglia la prudenza, che nel caso mio è proprio quella del Giusti, "la virtù del ciuco", pur riconoscendo gli immensi torti dei miei fratelli e la santità delle mie infinite ragioni".
Il 20 febbraio del 1896 è a Milano per visitare una "Esposizione ciclistica", parla della città che s'è ingrandita e migliorata, ma non vi vorrebbe mai prendere stabile dimora, va dal Libraio Hoepli alla ricerca di cartelle, quindi da Bocconi, alloggia nella stanza 25 dell'Hotel Passarella, sotto il Duomo, non va alla Scala dove danno il "Ratcliff" di Mascagni, ma preferisce andare a vedere una commediuccia al Manzoni. Sa insomma come muoversi!
Quando poi si agita, suscita ilarità come quando, dovendosi recare a Caltanissetta, il 9 febbraio del 1924, parte alle cinque del mattino per la stazione di Serradifalco in mezzo ad una bufera di neve su un carretto sgangherato e per tre volte viene catapultato a terra, col resto della comitiva, per la rottura del sottopancia del mulo! Nel 1881, a Roma per impegni politici, così scrive al fratello Federico: "Era l'ora di partire quando trovo solamente parte del mio bagaglio. Mi mancava la valigetta piccola e la cappelliera, ecco che io mi comincio a mettere in agitazione, per calmarmi mi fu detto che forse l'omnibus dell'Albergo li avesse portato per sbaglio alla stazione; non c'era tempo da perdere, corso alla stazione trovo l'omnibus ma niente affatto la mia roba; a questo punto lo stato della mia agitazione arriva al colmo, le bestemmie in italiano ed in dialetto si moltiplicano a più non posso, io ero in tale stato che avrei, se avessi potuto, sconquassare e cielo e terra". Mica male questo signorotto di campagna che se ne va in giro per l'Italia con la cappelliera e che non disdegna i teatri! All'Apollo di Roma va a sentire "Aida", all'Argentina invece "Il Barbiere di Siviglia"!
Ma sa essere anche tenero e romantico. Passando da Firenze nel 1881, racconta: "Sono stato ieri a visitare la villa che era un tempo del Signor Hamilton (non ancora "belva" e dov'era stato ospite da studente!), e ciò mi ha fatto un piacere immenso, ho colto alcuni ramoscelli che porterò a Bordighera come ricordo".
Sa essere un padre affettuoso, come quando la moglie si reca con la figlia Lina per un breve periodo a Torre Pellice, vicino Torino, e lui resta a Bordighera a fare da balia a Federico, Giulia e Letizia che spesso di notte bagna il letto.
Nonostante tutti i suoi guai, traffica con le sue biciclette Beeston, che chiama eufemisticamente "macchine", segue con assiduità la rivista inglese Cyclist, richiede in continuazione pezzi di ricambio (la figlia Lina ne troverà pieni i cassetti), spedisce e fa spedire a Loulou decine di lettere, litiga col suo fornitore inglese che non si decide a restituirgli alcuni scellini ed a spedirgli le biciclette ordinate! E tutto perché vuole il modello più aggiornato, coi meccanismi da lui richiesti, che sia pratico da oliare, etc. nonostante Loulou ha urgenza di ricevere la sua bici e rinunzia volentieri a tutte le novità avveniristiche. Per non fare capire al suocero chi sono i veri proprietari delle biciclette, suggerisce a Loulou di fare credere di averle prese in prestito: immaginarsi altrimenti l'ira della "belva di nuovo genere", che attende con ansia il pagamento arretrato della pigione, e che già rimproverava ad Eugenio di sprecare i soldi in stravaganze, quali quello di andare in giro con la carrozza, anziché usare i piedi come fa lui!
Un vero signore, insomma, che non meritava di patire le pene che sconvolsero la sua esistenza, anche se la figlia Lina, alla morte della madre, dirà amaramente, in una lettera diretta alla sorella Letizia: "Povera mammà, se avesse sposato un uomo buono ed equilibrato, e dei suoi paesi, la sua vita sarebbe stata molto diversa. Si vede che essa non chiedeva di meglio che di dedicarsi alla sua famiglia, a suo marito".
Povero don Eugenio! Dopo anni di patimenti e tutte le delusioni subite, evidentemente non ne poteva più, e mandava tutti al diavolo, se in paese è rimasta famosa una sua frase: "Và facitivìlla! Và facitivìlla!". Come dire: "Sono proprio stanco di tutti i patimenti subiti! Non rompetemi più le scatole ed andate a farvi
fottere, tutti quanti….!".