GIORDANO
BRUNO
1548 - 1600 |
Forse voi che pronunciate questa sentenza avete più paura di me che la
subisco".
L'uomo - Nacque a Nola nel 1548, figlio di un soldato
di professione, nel 1565 entrò nell'ordine mendicante dei domenicani
predicatori cambiando il suo nome da Filippo in Giordano. Manifestò
subito una personalità inquieta, dotata di viva intelligenza e voglia
di conoscere. Ebbe difficoltà a conformarsi alle convenzioni dell'epoca
ed alle rigide regole dell'ordine religioso, esternando un notevole
anticonformismo intellettuale. Ciò non gli impedì però di fare una
rapida carriera: ordinato sacerdote nel 1572 divenne dottore in teologia
nel 1575. Studiò San Tommaso d'Aquino, ma anche il proibito Erasmo da
Rotterdam (il divieto vigeva anche per i testi ebraici), lettura che,
quando venne scoperta, causò l'apertura di un processo a suo carico.
Nel 1576 si allontanò da Napoli, abbandonando l'abito ecclesiastico,
per sfuggire ai rigori dell'Inquisizione che si era già dimostrata
alquanto efficiente nel perseguire gli eretici. Soggiornò in Italia
settentrionale, raggiunse la Francia e poi Ginevra dove insegnò alla
locale università e aderì al calvinismo. Processato perché accusato
di aver diffamato un docente calvinista di filosofia che aveva commesso
venti errori in una lezione, Bruno ammise la sua colpevolezza, ma
dovette comunque lasciare Ginevra.
Giunse a Tolosa dove ottenne un posto come lettore all'università.
Nella zona infuriava la guerra tra Cattolici e Ugonotti. Si recò a
Parigi, dove fu nominato lettore straordinario alla Sorbona e pubblicò
varie opere tra le quali la commedia in lingua italiana Il candelaio.
Nel 1583 lo troviamo in Inghilterra insieme all'ambasciatore francese
dove pubblicò La cena delle ceneri, De la causa, principio et uno,
ecc. Ottenne di insegnare ad Oxford la nuova cosmologia copernicana, ma
fu accusato di plagio e dovette ritornare a Londra dove pubblicò altre
importanti opere tra le quali De infinito, universo et mondi, De gli
eroici furori.
Tornò in Francia dove le sue tesi fortemente antiaristoteliche lo
coinvolsero in nuove dispute accademiche e fu quindi costretto a
lasciare il paese.
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Giordano
Bruno, il frate che preferì la
morte per non tradire le proprie idee |
Si recò in Germania e in Europa orientale dove pubblicò opere di
filosofia, cosmologia, fisica, arte della memoria e tecniche magiche. A
Praga aderì al luteranesimo, ma fu poi scomunicato.
Il filosofo critica duramente alcuni aspetti della religione cattolica
che gli appaiono frutto di pura superstizione. Considera la confessione
calvinista intransigente e ancora più pericolosa e fanatica di quella
cattolica. Esalta il lavoro come attività e l'amore per la ricerca
della verità. Bruno auspica la diffusione della filosofia come rimedio
ai mali dell'umanità della sua epoca.
Bruno ha dedicato la sua vita allo studio ed alla ricerca della
conoscenza, è un uomo di vasta cultura e di grande memoria; si può
considerare tra gli uomini più colti del suo tempo. Il suo
comportamento anticonvenzionale aveva però, in varie occasioni,
generato odio tra le persone che la pensavano diversamente.
E' contro il geocentrismo tolemaico ed afferma l'infinità dell'universo
che non ha centro; ogni suo punto è al tempo stesso centro e periferia.
Il centro ha senso solo se considerato in relazione di un punto di vista
particolare; nega quindi l'esistenza di qualsiasi posizione
privilegiata. I tempi non erano ancora maturi per accogliere le sue
idee.
In un certo senso può essere considerato anche un precursore di
Internet, dove centro e periferia sono nozioni puramente relative. La
Rete delle reti è dotata di un'architettura aperta modellabile secondo
le esigenze del ricercatore.
Nel trattato De infinito, universo et mondi l'eresia è
ravvisata, tra l'altro, quando Bruno, parlando dell'intero universo, non
vi include Dio. Tornò a Francoforte, dove nel 1591 ricevette un
insolito invito a Venezia dal nobile Giovanni Mocenigo che desiderava
imparare l'arte della memoria. In quell'epoca la Repubblica di Venezia
era ancora uno stato indipendente. Bruno sentiva, probabilmente,
l'ostilità della chiesa riformata, di quella cattolica, di essere
inviso ai puritani e indesiderato a livello europeo. Spinto anche dal
desiderio di rivedere la sua terra di origine e confidando nella gelosa
autonomia della Serenissima accettò la proposta. Sottovalutò
ingenuamente i rischi di un suo rientro nella penisola e non immaginò
quello che stava per accadergli.
Dopo alcuni mesi, il Mocenigo, insoddisfatto dell'insegnamento di Bruno,
lo denunciò all'Inquisizione veneziana accusandolo di eresia.
Il processo, tuttavia, sembrava favorevole ad un'assoluzione per Bruno,
ma la Congregazione del Sant'Uffizio, desiderosa di saldare i
conti in sospeso, chiese la sua estradizione a Roma. Il Senato veneto
dapprima rifiutò, poi cedette. Il 27 febbraio del 1593, Bruno terminò
così il suo peregrinare europeo in una cella del nuovo palazzo del
Sant'Uffizio a Roma (sito nei pressi di porta Cavalleggeri).
Nell'autunno del 1593 il processo subì una svolta fatale, disperata. Un
frate cappuccino, Celestino da Verona, compagno nel carcere di Venezia
quale eretico , forse posseduto da segreta invidia, lo accusa gravemente
di eresia chiamando in causa altri tre testi che confermano in parte. Lo
studio delle opere di Bruno per raccogliere i capi di accusa fu svolto
dal gesuita Cardinale Roberto Bellarmino. Gli furono contestati anche i
suoi comportamenti e gli stili di vita (aveva soggiornato in paesi
eretici, vivendo secondo il loro costume).
Sul soglio pontificio vi era allora papa Clemente VIII (Ippolito
Aldobrandini, nato a Fano), intransigente nell'applicare quanto
stabilito dalla Controriforma nel concilio di Trento, nonché fautore di
una politica repressiva contro gli eretici e gli ebrei. I colpi inferti
al metodo scientifico moderno ed alla separazione degli ambiti
disciplinari avrebbero creato un notevole distacco tra la cultura
italiana e quella europea.
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Il
frontespizio di uno dei più
importanti libri di Bruno |
Subì sette anni di carcere duro, un lunghissimo processo, numerosi e
interminabili interrogatori nonché almeno una volta la tortura.
Nonostante ciò Bruno rimase coerente con se stesso e fedele alle
proprie ragioni; non accettò mai di rinnegare in blocco le sue idee
giudicate radicalmente incompatibili con l'ortodossia cristiana. Le
richieste di udienza con il Papa non furono accolte; Bruno perse ogni
speranza nella clemenza pontificia. Il filosofo, in ultimo, ha forse
creduto che il sacrificio della vita sarebbe valso ad una maggior
diffusione delle sue idee. Un altro grande personaggio aveva anticipato
il suo destino: Michele Serveto, umanista e medico spagnolo, scopritore
della circolazione polmonare del sangue, uomo dal carattere impetuoso ed
irruento. Il Serveto, a causa delle sue posizioni antitrinitarie, fu
arso vivo a Ginevra il 27 ottobre 1553, vittima dell'intransigenza ed
intolleranza religiosa del riformatore Giovanni Calvino.
Anno Santo 1600, 8 febbraio: Giordano Bruno è condannato al rogo come
eretico impenitente e ostinato ed espulso dalla Chiesa; le sue opere
vengono bruciate sulla scalinata di Piazza San Pietro e inserite nel
"Indice dei libri proibiti". Viene quindi consegnato al
braccio secolare che esegue materialmente le sentenze del Sant'Uffizio (Ecclesia
abhorret a sanguine).
All'alba di giovedì 17 febbraio 1600 lascia la prigione di Tor di Nona,
viene condotto in processione tra una folla vociante fino a piazza di
Campo de' Fiori. Indossa il sanbenito, un saio penitenziale, ha
una mordacchia che gli impedisce di parlare (come dice un avviso:
"Per le brutissime parole che diceva") ed è accompagnato
dalle litanie dei frati. Sale al rogo con grande coraggio e dignità
viene denudato, legato ad un palo e arso vivo. Sarà ricordato nei
secoli come un martire del libero pensiero e dell'intolleranza
religiosa.
di Eno Santecchia |
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