Non
appartengo più a quella collina dove sono nato,
a quelle vie polverose che mi videro correre e giocare,
a quella piazza immensa che mi vide passeggiare,
a quella chiesa che mi vide pregare.
Non appartengo più alle campagne gialle di grano,
ai grigi maggesi appena arati e concimati,
all’odore amaro dei mandorli in fiore,
alle colline luccicanti di gesso a scaglie.
Neppure il respiro del giallo zolfo
che calpestavo e che fu pane e vita,
non le grotte, non gli anfratti,
non le memorabili battute di caccia.
Nulla, nulla più mi appartiene.
Alla grande Milano ormai appartengo:
ai suoi viali alberati,
al magnifico Duomo dalle mille guglie,
ai canali sempre colmi d’acqua,
ai grandi navigli sempre pregni di vita,
alle alte e moderne torri che sfidano il cielo,
alle storiche porte che grondano sangue
ma che fecero argine a tanti feroci nemici,
ai negozi, ai mercati, al glorioso castello,
alla grande Milano, insomma.
Come ti cambia il tempo!
Lontano dagli occhi, lontano dal ……cuore!
Eh, no, amico, non è così.
Il mio cuore batte a suo modo,
sento il suo ritmo e lo seguo.
I miei occhi vedono Milano grande e bella,
ma il mio cuore è rimasto là, su quella dolce collina,
su quelle vie, su quella piazza,
sull’aia colma di spighe pigiate dai muli
e tra la paglia il tenero generoso grano,
sulle scoscese trazzere che grondano ancora sudore,
sulle lucenti scaglie di gesso e zolfo.
Il mio cuore respira ancora quell’aria calda e secca,
batte per i disastri nella miniera,
per l’infame ed omicida lupara,
per la miseria, la fame, la sete.
Batte forte al ricordo di quei fiori di mandorlo
ora bianchi, ora appena rosati,
per il campanile di quella chiesa che,
bambino, scortato dal nonno,
mi vide salire i cento gradini
tra rimbrotti, brontolii e dolci carezze.
Solo lui, il mio cuore, sa a chi appartengo.