Come andò che Mussolini non si fermò a Serradifalco
(da una lettera di Letizia Caico a Lucciole)
Montedoro 14 Maggio 1924
Care Lucciole,
cinque giorni orsono me ne sono andata con altri alla
stazione di Serradifalco. E' la più vicina stazione ferroviaria di
questo "borgo selvaggio": e sono quattordici chilometri di
tortuoso e polveroso stradale, fra monti solitari e selvaggi, sotto un
sole cocente. Man mano che si avvicinava la meta altri si univano a noi.
Erano frotte di giovani d'ogni ceto, eran carretti carichi di contadini
dai volti arabi nei pittoreschi fazzoletti, eran monelli scalzi e laceri
che correvano dietro al nostro sgangherato carrozzino, supplicando,
finché ne presimo tanti che … scesi io (è una mia abitudine lo
scendere nella salita dello stradale). Da Serradifalco paese a
Serradifalco stazione vi sono altri due chilometri (povera Sicilia!),
improvvisamente popolati da una folla con bandiere, e musiche, e
associazioni…. Andavano a vedere Mussolini! Dicevano che passerebbe
alle 11,30 e pareva sicuro che il treno fermerebbe….
La stazione era coperta di bandiere e festonata
d'edera e ginestre. Un arco d'edera stava elevato sul binario. Alle 9,30
il marciapiede rigurgitava e il telegrafo ci informava ad ogni quarto le
mosse del Presidente. E' giunto a Campobello… ne è partito… è
giunto alla miniera Trabia… è sceso nella miniera.. è risalito.. gli
offrono il banchetto.. ci sono i discorsi.. è giunto a Canicattì…
sta inaugurando il monumento ai caduti… è partito! Finalmente! Erano
le 1,15. Perché tanto ritardo? Principalmente, lo seppimo poi, perché
la visita alla miniera Trabia fu molto più lunga di quanto i programmi
ufficiali non avessero fissato. Ciò per forte volontà del Presidente,
che volle veder tutto, fra cui molte cose che i pezzi grossi a lui
dintorno avrebbero preferito ch'egli non vedesse.
Alle 1,30 il suo treno passò. Dopo vari falsi
allarmi che ci regalarono varia musica dalle bande, e non si fermò,
perché non poteva più ritardare, stante l'enorme programma di quella
giornata. Ma egli ci vide, e stese la sua mano nel romano saluto. Il
treno era già lungi, ed ancor si vedeva la sua mano stesa, alla
diritta. E ce ne contentammo.
Dopo in vari suoi discorsi a Caltanissetta, a
Caltagirone, a Catania, ho trovato la nota della sua commozione alla
festa tributategli dalle piccole stazioni, dalle remote borgate, al
caratteristico affollarsi di carretti e di muli, dietro i cancelletti ed
i muri…. ed ho pensato che in una "casella" della sua
memoria ci fosse anche la stazioncina di Serradifalco, e - perché no? -
anche l'edera del nostro orticello.
Care Lucciole, io lo ammiro con tutta l'anima perché
in lui la volontà è temprata d'un fervore grande. O fervore, o calore,
o ideale senza di cui ogni azione è morta, e la vita un incubo, quanto
sei mancata all'anima italiana? C'è uno che lo possiede e lo irradia
meravigliosamente. Se ogni italiano se ne accendesse e vi collaborasse
secondo la sua forza e i suoi mezzi, avremmo la terza Italia. Ed ora
leggete, vi prego, il suo discorso di Palermo e compatite il mio
entusiasmo.
Letizia Caico