MORTE A BAGHDAD
Veloce come avvoltoio
scende la morte su Baghdad,
sotto una densa coltre di sabbia arrossata.
E come un rapace in picchiata,
di sangue assetato,
ghermisce le povere vite ormai smunte
che il sangue han donato al feroce rais.
L’allarme non suona da un’ora,
e al mercato si reca la povera Alfina,
gonfio il ventre tremante in attesa:
in braccio il piccolo Hassam e
per mano la tenera Irina.
Un sibilo, un lampo, un fragore assordante.
Sha’ab diventa un sobborgo di morte,
un macello di carni a brandelli,
un odore di carne arrostita allo spiedo.
Sventrate le case e i caffè odoranti di menta,
ogni cosa distrutta e fumante,
una padella grondante di sangue
in mano all’oste Malek Hammoud.
Alfina il ventre squarciato nell’angolo giace,
Hassam sparito nel nulla,
Irina stampata sul muro,
terrore negli occhi lucenti e sgranati.
Al sibilo, al lampo, al fragore di morte,
un pianto convulso di donne lacera il cielo,
le mani levate implorano Allah
e i pugni socchiusi di Hammoud
vendetta chiedono a Dio.
Diranno che è stato il rapace Saddam
a portare quei lutti a Sha’ab;
che il feroce rais ha succhiato
più forte di prima.
Ma Hammoud lo sa che il pilota
di un altro rais criminale,
rapace avvoltoio,
ha portato libertà a Baghdad:
la morte!