( risposta del Comune firmata dal Consigliere anziano M. Pappalardo
-- il Sindaco era Onofrio Caico)
Di riscontro al riverito foglio del 24 spirante, il sottoscritto
pregiasi informare la S.V. Ill.ima di quanto segue; siccome risulta da
pubblico patenti e notori fatti.
Morto D. Martino Caico, i di lui eredi Giovanni, Pietro,Gaetano e
Franco ne divisero l’eredità .
In considerazione però di molti segni che additavano esistenza di
zolfo lasciarano indivisa ed in comunione fra loro la chiusura di terre,
situate nella contrada Piano di Corsa e Stazzone, della estensione di
salma una circa, pari ad ettari 1.74.= e la destinarono a zolfara,
dividendo la sola superficie. La fortuna non si fece lungamente
attendere e di già sono molti anni che quella terra produce tesori,
diffondendo il benessere sulla intera popolazione di Montedoro. Ma la
lunga lavorazione, le escavazioni continue, e gli ammassi degli avanzi
dello zolfo, hanno ridotta quella terra alla sterilità in modo che ,
nessuno dei condomini superficiali, ha pensato, non già di migliorarla,
ma nemmeno di seminarla. D’altronde il fatto della comunione, che
metteva a disposizione della zolfara l’intiera superficie di essa e il
ben noto principio, che chi vuole il fine deve volere i mezzi,impediva
che qualcuno dei soci, col fatto proprio avesse menomato lo sviluppo
della zolfara sociale. Nel lungo corso della lavorazione, la sudetta
zolfara sociale attigua all’altra degli eredi del fu D. Franco non ha
rispettato distanze ed ha fuso in tutti i tempi, senza che alcun lamento
partisse dal fu D.Franco e dagli eredi di lui. Giovandosi di tali
agevolezze, i condomini della sociale, ne hanno ricambiato i padroni
dell’attigua zolfara e questo reciproco consenso, ebbe armonia e
durata da molti anni a questa parte. Gravi dissensi però vennero a
turbare i buoni rapporti, ed allora non prevalendo più la ragione del
passato ma il dispetto del presente, un reclamo fu fatto alla S.V.
Ill.ma, dopo che si erano poste alcune opunzie in terra
fisicamente infruttifera ed in tempo e modo non proprii. Lo scopo ne è
chiaro: attraversare la speculazione solfifera, chiamandosi in appoggio
la legge sulle distanze, come se la parola della legge potesse
mortificare il suo spirito e farsi puntello al capriccio altrui e
spingere nella miseria un popolo, che trova il suo lavoro e il suo pane
nella zolfara che il Sig. Giorgio Caico vuol condannare a perire.
Dimenticando inoltre ch’egli, Sig Giorgio, niun diritto si ha all’usufrutto
della terra in questione; stantechè il Sig. Cesare ha dichiarato che
quegli si ebbe concessa a tuttora si trattiene altra terra agricola di
particolare proprietà di esso Cesare, per usufruirne in compenso della
superficie in questione, consentita a lasciare incolta per la
lavorazione delle vicine zolfare sociale e particolare di essi eredi D.
Franco.
Oltre che questa esiziale pretesa resiste il difetto di confinazione
tra le terre sociali e quelle degli eredi D.Franco Caico. Forse esisté
un tempo, ma le lunghe lavorazioni e gli ammassi cumulativi la
cancellarono e D. Giorgio pria di reclamare dovrebbe giustificare la
proprietà della terra che gli eredi di D. Franco Caico gli contendono.
De resto, a parte di questa inattendibile molestia, a cui non poteva
badarsi prima che fosse il preteso ben fatto esistito, il Sig. Cesare
trovasi sin dal Dicembre in perfetta e scrupolosa osservanza delle leggi
sulla fusione degli zolfi, destinata a garantire e proteggere ambo le
industrie agricola e zolforaria.
Oltre poi a tali validissimi titoli opponendosi alla esiziale domanda
del Sig. Giorgio, altre patenti ragioni si aggiungono, molto più
interessanti, attesa la frazionata divisione di questa contrada.
Talmente che potendosi far buono il capriccio d’implorare alla lettera
il soccorso della legge sulle distanze, agevole riuscirebbe con pochi
pali di opunzie , ammortizzare interamente l’importante
industria solfifera di questo territorio, obbligando sinanco alla
inazione le stesse zolfare comunali.
Dappoiché le opunzie entro le 50 canne impedirebbero la
fusione anco in està. In vista di quali gravi danni e pericoli cui
trovasi esposta la principale sorgente di ricchezze di questo comune,
chi servire sente il dovere di manifestare in proposito al Signor
Prefetto i propri apprezzamenti sulle gravi conseguenza arrecabili alla
pubblica cosa.
Né giova l’opporre che i produttori di zolfi abbiano facoltà d’intendersi
coi proprietari circonvicini, perché non venendo infrenato con
pubbliche leggi l’illimitato sommo diritto dei circostanti, come
saviamente fu disposto pel conteso diritto di acquedotto, è ben
illusoria una tale abilità concessa, in vista delle esorbitanti
monopolistiche pretese cui lascia arbitro e facoltà, come esempio ne
soffre il fatto che forma oggetto del presente rapporto.
Or in considerazione di si patenti e dannose conseguenze e pericoli,
lo scrivente porta avviso che dalla autorità amministrativa, deputata a
vegliare alla protezione di tale pubblico interesse più che privato, in
vista del sucennato ricorso manifestante appieno intenti si nocivi, si
venga a dichiarare e prescrivere che alla evenienza di simili casi e
situazione minacciante la vita di essa industria, alla cui esistenza
tutto un pubblico e stato è interessato, che anco entro la distanza di
50 canne, venga facoltato e permesso l’abbruciamento, col dar obbligo
al produttore dello zolfo, del legale indennizzo del recato danno, a
norma e somiglianza di quanto ben praticato, per lo stesso obbietto di
pubblica utilità, pel diritto di acquedotto sulle terre altrui.
Riepilogando adunque : al capriccioso reclamo del Sig. Giorgio Caico
resiste la mancanza di limite tra le sue terre e quelle degli
eredi D. Franco.
Resiste l’usufrutto che il Sig. Giorgio si gode di altre terre
in compenso della superficie in questione.
Resiste ancora la destinazione a zolfara perché non si coltiva
né si migliora una terra destinata ad uso direttamente opposto e
divenuta sterile pae tale uso, nel qual caso la distanza dai colti e dal
migliorato non trova applicazione.
Resiste il lungo e reciproco consenso a tali agevolezze, che
non può distruggersi di un tratto da chi per amor di vendetta invoca
una legge per distruggerla nel suo spirito e farla odiare.
Resiste il reclamo di un popolo, che si trova un pane, ed infine
la speculazione solfifera si vedrebbe esposta a cessare trovandosi a
discrezione di qualunque vicino avesse voglia di piantare opunzie
nella terra sua.
E’ doloroso che la degradazione umana non manchi mai d’invertire
l’uso delle leggi, assegnate al miglior benessere sociale. Ne è meno
doloroso che spesso l’oscurità di certi fatti imponga all’autorità
di apprestar braccio forte onde legalizzare cose che lo spirito della
legge non può non combattere. Ma ove la chiarezza dei fatti e dei loro
fini non lascia alcun dubbio in chi è chiamato a giudicarne, allora l’implorare
le autorità in appoggio del malfare, è il massimo insulto che la
cecità umana possa fare al dritto, alle leggi, al governo.
Pel Sindaco il Cons. anziano M. Pappalardo