LA MORTE DI ISSAH
"Issah! Figlio mio, sei
molto giovane,
sei innocente, hai conosciuto la morte dei martiri!
Allah, sia fatta la tua volontą!".
La voce di un padre disperato
alta e forte risuonava nella moschea vuota e cadente,
implorando pace per il suo bimbo,
settimo di otto figli.
Intorno una desolazione di morte,
tutto raso al suolo, un deserto di pietre fumanti,
novella Hiroshima delle bombe sioniste.
"Non piangete, non gridate!
comportatevi con dignitą!
Questa č la nostra terra e qui resteremo;
Allah ci mette alla prova
e compenserą le nostre sofferenze",
disse alla moglie ed alle tre figlie superstiti,
dinanzi al corpicino maciullato,
estratto dalla cella frigorifera.
"Le gambe, dove sono le gambe del mio Issah".
Nella cella adiacente, due gambe, una testa, due braccia
attendevano che fossero composte in un corpo.
Non una lacrima dagli occhi
nascosti da feritoie di stoffa,
non un lamento dalle bocche nascoste dal niqab
delle donne di Issah.
Issah, un bimbo di dodici anni,
lineamenti di non comune bellezza,
mitragliato mentre cercava legna da ardere
nel vicino aranceto,
venne avvolto in un bianco sudario
e tumulato nel cimitero di Rafah,
il cimitero dei martiri palestinesi.
Martire della bieca e bestiale violenza sionista.