Gisella
Modica su Lucciola
L’esser manoscritto dapprima fa
senso ai nostri occhi moderni abituati alla stampa ma a lungo andare ci
si affeziona a vedere ogni lavoro con la scrittura dell’autrice. Le
diverse scritture ci danno un po’ l’impressione di sentire la sua
voce, di vedere l’espressione di ciascuna; sicchè quello che può
parere un difetto finisce con l’esser considerato un pregio.
Fare di un difetto un pregio:
ho scelto questo titolo alla mia comunicazione
perché in esso mi è sembrato condensarsi il senso dell’esperienza di
Lucciola, sua leva e punto di forza.
Scrivere a mano:
un gesto spiazzante, non previsto, che rende Lucciola un’esperienza
unica. Un gesto originale, che ribalta il senso comune, non più
rintracciabile per esempio in riviste nate in anni successivi, di piena
e compiuta emancipazione femminile, dove l’emulazione ai modelli
maschili si fa più evidente, a danno della creatività.
…. Ho immaginato una notte d’estate
del 1908 a Montedoro, in provincia di Caltanissetta.
Una giovane donna passeggia in
giardino e pensa all’Inghilterra, dove ha vissuto fino a 15 anni e
dove ha studiato. Ricorda le compagne del college, con le quali
conversava di arte e di letteratura, e forse la assale la nostalgia.
Forse ha un attimo di smarrimento…
Ho immaginato che in quel momento una
lucciola, che nelle notti d’estate a Montedoro dovevano brillare in
tante, fa capolino tra l’erba. In Inghilterra le chiamano Firefly,
"vermi lucenti" perché non hanno le ali.. Ma Firefly, alla
giovane donna, ricorda anche il nome di una rivista scritta a mano,
animata da una piccola comunità di lettori, tra cui lei medesima, che
si incontrava per parlare, leggere, discutere insieme. …..E allora la
donna immagina di mettere le ali a Firefly affinchè dall’Inghilterra
"voli di paese in paese, là dove ci sia una donna desiderosa di
mantenere quel fuoco di luce in vita". E decide di lanciare un
appello.
Lo fa da una "Rivista per
signorine" che si stampa a Milano, con la quale la donna spesso
collabora. Intitola l’articolo La Firefly che viene
pubblicato nel Gennaio del 1908 .
La donna si chiama Lina Caico, di padre siciliano e madre
inglese. Ha 25 anni e ha già viaggiato per tutta Europa.
Nell’articolo Lina spiega cos’è Firefly, descrive con ogni
particolare formato, impaginazione e regole per diventare socie. Parla
dei racconti in essa contenuti, di uno in particolare, intitolato
"Il libro dell’amicizia".
Quel racconto l’ha colpita "per la verità dell’esperienza
delle due giovani anime che acquistano luce e forza da ogni prova che
attraversano.…Forse poche anime giungono a sentire questa comunione di
spirito - scrive Lina -, non più inverosimile della telegrafia senza
fili…Ho pensato di parlarvene per invogliare quelle di voi che amano
la letteratura e l’arte, ad avere una lucciola anche loro".
Lo definisce, il suo, "un atto di ricreazione, un bel passatempo,
da cui possono nascere amicizie basate su affinità di gusti e di
pensieri" seppure con lo sguardo attento "alle grandi e umili
questioni dell’umanità".
"Creare una comunità basata su affinità di gusti e di pensieri,
con lo sguardo attento alle grandi e umili questioni dell’umanità":
è il programma della futura rivista.
"Un atto di audacia da parte mia" commenta in chiusura Lina,
che si auto candida "direttrice-editrice-tipografa-rilegatrice"
della rivista ancora da creare.
C’è audacia nel suo gesto, ma anche tanta generosità, e molta
umiltà. "Non sono tipo da dirigere cosa alcuna" specifica
infatti Lina.
Un passaparola tra donne e da tutta Italia rispondono circa in 40, e un
anno dopo nasce Lucciola, dotata di regole (doveri
luccioleschi), statuto, resoconto amministrativo, e quota
associativa fino a tre lire. E di una direttrice col potere di
"espellere socie troppo disordinate o incuranti dietro prove
inconfutabili fornite dalla direzione".
§
Mentre leggevo La Firefly l’immagine
di Lina, "piccola, minuta, con gli occhi neri e i capelli crespi
divisi in due bande sulla fronte", come la ritrae la foto nel
libro, si sovrapponeva a tratti nella mente a quella di Simona Mafai.
Leggere Lucciola e ripercorrere l’esperienza di Mezzocielo
– che al pari di Lucciola vanta regole, statuto, resoconto
amministrativo e quota associativa superiore a tre lire - era da parte
mia inevitabile.
La stessa audacia, la stessa generosità inaugurò la nascita di Mezzocielo,
la stessa ammissione di "non essere all’altezza" che compare
nell’editoriale del primo numero, dove le fondatrici, per bocca di
Simona, si definiscono "imperfettissime, con molte idee
differenti", ma pronte a dare corso all’avventura di
Mezzocielo "con allegria, forse con un pizzico di presunzione,
certo con generosità".
Lo stesso auspicio che attraverso la rivista possano nascere relazioni d’amicizia
tra donne che non si conoscono. "Trame di democrazia" le
chiama Simona diversamente da Lina, essendo la nascita di Mezzocielo
collegata ad un progetto femminista di trasformazione della società,
che Lucciola non poteva ancora contemplare.
Anche Mezzocielo venne lanciato col sistema del passaparola
- "il martedì dalle quattro in poi chi ha qualcosa da dire o
segnalare passi da via Pasculli"-. Sono parole di Simona
durante l’intervista che le feci in un’altra occasione, e di cui
riporto di seguito uno stralcio:
"Una ventina di donne in media passavano per portare una
notizia inedita, una proposta, un dolce, una bottiglia di vino. Si
passava per rilassarsi, per raccontare del compleanno della
figlia, di un amore finito o appena cominciato, dello scippo sotto casa.
Alle dieci di sera, distrutta, le spingevo letteralmente fuori dalla
porta. Loro andavano via e io restavo con la testa che ribolliva a
tentare di mettere ordine in mezzo a quei puzzles di articoli,
molti dei quali scritti ancora a mano, sparsi sul tavolo tra bicchieri
di vino e tazze da the".
Dunque anche Mezzocielo vanta al suo esordio l’esser stato in
prima battuta "mano-scritto…".
§
Ed ecco che per atto di ri-creazione nasce Lucciola.
Così come per "ricalco", per atto di copiatura da un
ricamo, Lina crea il primo frontespizio di stoffa della copertina
- da lei stessa definito "uno sgorbio" – realizzato coi
ritagli di una camicia sua e del fratello: un esempio di pragmatismo
femminile.
A proposito di pragmatismo femminile una certa Amelia Signorelli,
esperta di ricami, scriveva che la forma creativa femminile per
eccellenza è ri-produrre nei suoi diversi significati di pro-creare
e di ri-creare, nel senso di copiare, saper adattare, rendere
somiglianti.
"Le stesse capacità – scrive Signorelli – che sono
necessarie nell’arte del ricamo, per molto tempo unica forma di
creatività concessa alle donne. Si ricamava infatti per imitazione,
ricopiando e adattando dalle fonti più disparate, purché a portata di
mano. Si racconta di donne, come Filòmela, che private della lingua,
raccontarono della loro vita attraverso i ricami. Alcune l’hanno anche
messa in salvo.
I ricami infatti altro non sono che metafore, allegorie, racconti per
exempla, forme di espressione "tra detto e non detto", tra
ciò che è esprimibile in parole (visibile), e altro che non è
completamente traducibile (invisibile).
Tra il chiaro e lo scuro.
Mi scuso per l’apparente digressione, ma questo parlare per metafora,
questo gioco tra visibile e invisibile, prediligere i chiaroscuri,
mi è sembrato il filo di seta che intreccia e tiene unita la
trama della scrittura di Lucciola.
Lo scrive la stessa Lina: "Lucciola è una bestiolina di
poche pretese, dà luce ma non ha la pretesa di illuminare
veramente".
Una luce che proviene da sguardo particolare, non diretto, che trae
origine da un atteggiamento contemplativo più che speculativo
nei confronti della realtà. Un accostarsi alle cose del mondo
attraverso "il sentire" piuttosto che il "capire".
Per esempio attraverso la musica "che scuote l’anima" –
come scrive una socia (nella rivista gli spartiti infatti sono parte
integrante dei testi); o attraverso l’arte "che può redimere
più del femminismo".
Che trae origine sopratutto da una attenzione al "divino che sta
dentro le cose", di cui è portatrice in particolare Lina:
"Domina la vita non chi si ribella o la subisce, ma chi
religiosamente l’accoglie e nell’accettarla pone tutta l’attività
gioiosa e dolorosa dell’anima propria".
Scrivono Le Lucciole: "Lucciola è intimissima lettura, è
legame e scambio d’anime, gusto dell’interiorità; è riconoscersi
in una comunità tra simili".
"Gusto dell’interiorità" che scaturisce dal desiderio di
mostrare all’altra la nudità della propria anima, come dimostra anche
l’uso di motti e pseudonimi per nominarsi e farsi riconoscere.
Come per esempio "with my soul", o "sogno di gloria"
("una gloria vaga che aspiriamo di trovare nei sogni, fatta di
sensazioni illusive …che ci astrae dal reale") - come scrive una
socia che si firma Onera.
Sguardo differente dunque che si manifesta anche attraverso il
continuo ricorrere nei testi alle metafore della luce e della fiaccola,
da tramandare per genealogia femminile, come scrive Mimetta nella
lettera di commiato: "Avrei voluto che (il giornaletto) fosse
tramandato come luce che non si spegne, come fiaccola ardente, da una
generazione all’altra, e che un giorno le figlie giovinette delle
prime lucciole si ritrovassero tra queste pagine come sorelle".
"Fiamma, raggio di sole che riscalda l’anima e illumina il
cammino": metafore appunto a cui ricorrono coloro che non riescono
a separare la mente dal cuore, come scrive Maria Zambrano in Verso un
sapere dell’anima.
Sguardo differente che si posa anche su argomenti non propriamente
intimi, come fa Lina parlando di socialismo: "Il socialismo vedeva
nell’avvenire un sogno troppo meccanicamente congegnato, impossibile a
raggiungere per vie unicamente esteriori. …Al grande convegno
socialista c’erano fede e speranza ma mancava la carità, il
materialismo storico la sconosce. .Ove non opera la carità opera la
violenza".
E molto argutamente conclude: "Rileggendo quel che ho
scritto, se dovessi esser giudicata da un tribunale socialista e da uno
fascista si disputerebbero l’onore di condannarmi".
§
Questo "vedere del cuore"
come le chiama Zambrano, non poteva non influenzare lo stile di Lucciola:
"scrittura che si fa occasione di meditazione, di dialogo con se
stesse" dicono le curatrici del volume. Uno stile tipicamente
femminile "a partire da sé" già dalla forma prescelta di
lettera o pagina di diario.
A partire da sé: una delle intuizioni originarie del femminismo della
differenza.
In apertura ho accennato all’originalità della rivista, a quel gesto
autorevole che in tempi di emancipazione femminile ancora tutta da
conquistare, la mette al riparo dall’emulazione di modelli maschili, o
dell’appiattirsi della scrittura sulla "questione
femminile", tema dominante delle future riviste di stampo
socialista.
"Ognuno comprende solo quello che ritrova in sé" - scrive
Lina, anticipando un’altra delle affermazioni originarie del
femminismo della differenza: nessuna modificazione del mondo è
possibile se non attraverso modificazioni personali.
Altre anticipazioni ho ritrovato ancora nei rimandi continui nei testi
"all’altra che legge", alla necessità della sua presenza.
"Quel secondo personaggio femminile che, entrando in risonanza col
primo, permette ad entrambe di esistere", come scriverà più tardi
Assja Djebar.
"Leggere Lucciola per me è sentire delle voci amiche che
rispondevano alla mia voce, che mi avrebbero compresa", scrive
infatti Mimetta.
Scrittura "d’andirivieni" tra chi scrive e chi legge, che
Lucciola crea attraverso l’invenzione delle Osservazioni - con
tre righi lasciati bianchi per le contro osservazioni - disposti in modo
circolare intorno al testo: "Un sistema di continui rinvii interni
quasi che gli inchiostri rincorrendosi sulle carte …anticipano una
sorta di blog- grafie", scrive Paola Azzolini.
Scrittura d’andirivieni, che non
può che essere fondata sull’inclusione e sull’ascolto dell’altra,
piuttosto che sulla contrapposizione. Come fa Etelka, pseudonimo
di una redattrice, parlando delle donne turche, argomento scivoloso, nel
quale il punto di vista occidentale, nelle moderne democrazie, sconfina,
bene che vada, nel paternalismo. Non così per Etelka che scrive:
"Noi pure, come le fanciulle
turche, siamo tenute segregate dal resto del mondo, impedite di
dedicarci alle occupazioni alle quali vorremmo attendere - strette da
rigidi freni loro, da severe legge consuetudinarie noi -. Noi ci
adagiamo comodamente nella vita che troviamo preparata …e non mi
stupirei se avessi a sentire che le turche si siano liberate dai
pregiudizi prima di noi, essendo la loro mente più adatta della nostra
a liberarsi dalla schiavitù".
Le "parole scritte a mano", che diventano voce/scrittura, una
scrittura che non tradisce la voce ma ne conserva traccia; insieme alle
"cose fatte a mano" (ricami, lavori ad uncinetto, ma anche
dipinti, disegni e spartiti musicali contenuti nella rivista); e ancora
l’uso del ritratto e dello pseudonimo per riconoscersi, rendono l’esperienza
di Lucciola unica e irripetibile, come unica e irripetibile è la
vita di ogni donna che ci sta dietro. Leggendo si ha veramente l’impressione
di sentire la voce di chi scrive, vedere l’espressione del volto.
"La sua calligrafia ti fa esclamare: è lei".
- Partire da sé, necessità dello scambio, della presenza dell’altra
necessaria, consapevolezza che non tutto può o deve essere esplicitato,
atteggiamento contemplativo, gusto per l’interiorità – ci parlano
di una idea di libertà da parte delle Lucciole, più vicina alla
ricerca di senso, di restare fedeli a se stesse, piuttosto che conquista
di diritti (che nella rivista è comunque presente) e come poi l’emancipazione
moderna ha inteso la libertà.
Libertà sostituita spesso dal termine dignità come assunzione
di responsabilità:
"Femminista dici tu? Affatto, solo desiderosa di una più ampia
concezione della nostra dignità, della responsabilità nostra"…
scrive Mimetta.
Una ricerca di libertà che attinge a piene mani alla propria
genealogia, per legame col passato e non per rottura, senza rinnegare il
proprio sapere, e senza rinunciare ai valori tradizionali, alla
quotidianità dell’opera femminile di civiltà.
E su questo desiderio di libertà collegato alla propria tradizione e
genealogia, che non rinnega il passato, in chiusura voglio riportare tre
citazioni.
La prima per bocca di Mimetta che sul tema della partecipazione
democratica, scrive: "Lentamente dovremo educarci per il compito
nuovissimo, ma siccome somiglia un poco - specie ora dopo la grande
guerra – al lavoro quotidiano che noi compiamo nelle nostre piccole
case - ripulire, rigovernare, amministrare, abbellire - noi sapremo
compierlo bene anche fuori dalle mura domestiche".
La seconda è di Anna: "Perché
la donna non appaia uguale a l’uomo, occorre che ella batta vie
diverse dalle sue e si eviteranno inutili confronti in quanto le
attività dell’uomo e delle donne – come un qualunque vegetale –
per dare copiosi frutti ha bisogno di un terreno adatto a loro…"
E per finire Lina: "Perché la
donna possa svolgere la sua opera sociale le occorrono due cose: portare
nel campo sociale quell’amore del bene altrui che è la sua gloria nel
campo domestico, e conoscere bene tutto ciò che avviene nella società,
oltre le pareti domestiche".