Palermo
Da quel piccolo poggio, Federico osservava la città
che l’aveva visto crescere e ricordava i giorni della sua infanzia, i
suoi precettori Gentile da Manupello e Guglielmo Francesco. Gli sarà
tornata alla mente la scena della cattura da parte di Marcovaldo e la
sua violenta reazione che lo portò a ferirsi e a stracciarsi le vesti,
il suo vagabondare per le strade di Palermo, i vicoli del Cassaro, gli
amici della Kalsa e della Vuccirìa, la miseria in cui versava ed i
morsi della fame, che a dodici anni si facevano sentire imperiosi. I
suoi occhi lucidi d’emozione vedevano il popolino alle prese con la
miseria, ed i tedeschi di Marcovaldo rubare e dilapidare ogni ricchezza.
Ricordava i giuochi infantili coi suoi coetanei, le parolacce, le sue
abitudini scostumate poco consone ad un ragazzo che, sebbene re solo di
nome, era destinato a reggere le redini del potere del mondo.
Pur crescendo in quelle condizioni di strada, il
fanciullo osservava e registrava quanto gli succedeva intorno, imparava
usi, costumi e lingue delle popolazioni che coabitavano nella città:
siciliani, saraceni, normanni, greci, tedeschi ed ebrei. Cresceva forte
nel corpo, abile nell’uso delle armi, bravo a cavalcare; soprattutto
osservava la natura e quanto lo circondava e, nel suo girovagare per i
boschi che circondavano Palermo, restava estasiato alla vista di tante
varietà di piante, uccelli ed animali. Aveva un amore innato per la
cultura, e molto lo aiutò il contatto con la gente musulmana che
formava uno strato ampio della popolazione. Dal suo precettore Guglielmo
Francesco imparò il latino, e da Gregorio da Galgano le scienze
naturali; studiò i classici arabi e cominciò a conoscere l’Islam. In
una terra di forte cultura arabo-ellenistica aveva trovato saggezza e
sapienza. L’ambiente influì sull’indole di Federico, e l’atmosfera
cosmopolita che lo circondava forgiò in lui tendenze intellettuali e
politiche difformi dal suo tutore Papa Innocenzo III, senza lasciarsi
imbrigliare negli schemi spirituali dell’epoca; ma assunse
atteggiamenti rivolti a nuove forme di convivenza civile. Da uno scritto
anonimo risalta nella figura di Federico un eccezionale intuito ed una
ostinata volontà insofferente verso ogni subordinazione, e già si nota
un costante predominio della ragione nelle sue deliberazioni.
Aveva letto l’opera del geografo prediletto da suo
nonno Ruggero II, Ibn’Idris, che affermava: "Diciamo dunque
che la Sicilia è la perla del secolo per abbondanza e bellezza; primo
paese al mondo per bontà di natura e antichità d’incivilimento. Vi
vengono da tutte le parti i viaggiatori ed i trafficanti delle città e
delle metropoli, i quali tutti a una voce la esaltano, lodano la sua
splendida bellezza, parlano delle sue felici condizioni…. E veramente
i re di Sicilia vanno messi innanzi di gran lunga a tutti gli altri re,
per possanza, per la gloria e per l’altezza dei propositi".
La città aveva assunto un aspetto cosmopolita, dal
momento che accanto alle numerose moschee sorgevano chiese e sinagoghe.
I palazzi ricordavano lo stile bizantino, ed accanto ai cupi e
mastodontici castelli medioevali sorgevano giardini esotici ricchi di
sole e palmizi.
Ed ancora il geografo arabo Ibn Gubayr, dice di
Palermo: "Città antica ed elegante, splendida e aggraziata, ci
appare con aspetto allettante: superba tra le sue piazze e i suoi
dintorni che sono tutti un giardino; graziosa nelle strade maggiori e
minori, affascina dovunque per rara bellezza del suo aspetto; stupenda
città che ricorda Cordova per lo stile coi suoi edifici tutti di pietra
intagliata. Un limpido fiume la divide e acque purissime sgorgano da
quattro fontane sulle sue rive. I palazzi del re circondano il centro
della città come monili intorno alla gola e al seno di una bella
fanciulla, così che il sovrano può sempre, attraversando palazzi e
giardini amenissimi, passare da un punto all’altro della
capitale".
Moltissimo aiutò il piccolo Federico nella crescita
e nella formazione del suo carattere l’eredità che i suoi avi
normanni avevano lasciato in Sicilia. Non gli restava quindi che,
superate le difficoltà contingenti dovute alle sua tenera età,
continuare l’opera momentaneamente interrotta a causa della morte
prematura del padre Enrico VI e della madre Costanza.
La conquista della Sicilia da parte dei normanni, nel
1091, ridusse la popolazione musulmana che vi abitava da secoli in quasi
servitù; ma Ruggero I e suo figlio Ruggero II conobbero molto presto la
grande civiltà dei vecchi conquistatori, e riuscirono ad amalgamare con
intelligenza i due popoli, assorbendo quanto di meglio poteva offrire il
loro sapere orientale. Nel 1130 Ruggero II venne incoronato re nella
orientaleggiante e splendida Palermo, e dopo l’unificazione della
Sicilia alla Calabria ed alla Puglia, ebrei, normanni, greci e arabi
convivevano pacificamente, mantenendo proprie leggi ed usanze. Palermo
era diventata la capitale del regno più ricco d’Europa e Ruggero II,
nello splendido mosaico della chiesa della Martorana, si era fatto
rappresentare, quale imperatore bizantino, nell’atto d’essere
incoronato direttamente da Dio. La cultura greco-bizantina ebbe un
notevole influsso, e lo stesso Ruggero II si era formato in un ambiente
in cui si parlava e si scriveva in lingua greca. I loro successori,
Guglielmo I e Guglielmo II, non furono da meno dei loro avi. Cosicché
Palermo divenne la città da Mille e una notte, con lussuosi palazzi,
ville sempre fiorite e fontane, mentre la corte siciliana fu centro di
cultura e del sapere. Furono tradotti in latino Aristotele, Tolomeo e
Platone, trattati di geografia, di matematica, di retorica, di
astronomia. Il pensatore musulmano di Spagna, Averroé, (Ben
Ahmed Ben Rushd) non si limitò a tradurre le opere dei filosofi greci,
ma contribuì a criticare ed a rinnovare le teorie filosofiche di
Platone ed Aristotele, separando la teologia, fondata sulle sacre
scritture, dalla filosofia, che deve basarsi sull’esperienza e sulla
ragione. Per questo motivo fu avversato dai cristiani e pure dai
musulmani, perennemente ancorati alle sacre scritture, mentre Averroé
osava mettere sullo stesso piano e a confronto la parola rivelata con la
ragione filosofica. Cospicua fu la circolazione dei codici bizantini e
fu coltivato persino il papiro, proveniente dalle terre orientali,
elemento indispensabile per la scrittura, prima che venisse soppiantato
dalla pergamena. Guglielmo II, che amava vestire secondo la foggia
orientale, soleva dire: "Che ognuno si rivolga al suo dio. In pace
è il cuore di chi crede al proprio dio".
L’incontro tra popoli di diversa estrazione è
sempre stato l’elemento fondamentale dell’evoluzione umana, in tutte
le sue espressioni. E non v’è dubbio che la Sicilia, per la sua
posizione geografica strategica, è stata uno degli scenari del tutto
particolare per questi appuntamenti storici: la fusione dei barbari
Normanni venuti dal nord, e le civiltà di Roma e dell’orientale
Bisanzio. L’epicentro di questo scenario fu l’antica Palermo. E non
c’è da stupirsi se ancora oggi Palermo, e non solo, mostra gli
splendori di quell’epoca da fiaba: El Kasar, la via che porta al
castello, la bella Cattedrale, il Palazzo dei Normanni con la stupenda
Cappella Palatina, la Zisa, castello arabo da fiaba, l’incredibile
Duomo di Monreale, dove campeggia l’imponente figura del Cristo "Pantocrator",
il Duomo di Cefalù.
Sarà tornata in mente a Federico, mentre dal piccolo
poggio ammirava la sua città, la birichinata operata ai danni di suo
nonno Ruggero II: la sottrazione dal Duomo di Cefalù dei due bei
sarcofagi di porfido rosso che dovevano essere l’ultima dimora per sé
e per la moglie, e che invece fece spostare nella Cattedrale di Palermo,
nel 1215, per uso suo e del padre Enrico VI. Appena ventenne,
evidentemente, già presagiva un futuro di gloria.