Onorio III

La morte di Innocenzo III tirò momentaneamente d’impaccio Federico II; venne eletto infatti Onorio III (Cencio Savelli), già in età avanzata, d’animo mite e tranquillo, esperto di arte amministrativa più che di politica. Tra l’altro era stato maestro di Federico, e per lui nutriva una forte simpatia e fiducia. Questo Papa, agli intrighi della politica, preferì l’opera pastorale, si dedicò alla organizzazione dei tributi (Liber censuum) da pagare alla curia pontificia, e lottò per il rafforzamento dei diritti ecclesiastici. Combatté l’eresia e riorganizzò il famigerato tribunale dell’Inquisizione, la cui direzione venne affidata ai più che solerti Domenicani.

Dopo avere fatto concessioni ecclesiastiche ad Onorio, Federico rinnovò l’impegno, preso verso Innocenzo III, di lasciare cioè la corona di Sicilia al figlio Enrico; ma con abile mossa diplomatica, mentre da una parte concedeva una serie di privilegi in favore dei principi tedeschi ed appagava le richieste ecclesiastiche di Onorio, dall’altra, nel 1217 conferiva al figlio Enrico, giunto in Germania con Costanza l’anno precedente, la corona del ducato di Svevia. Questo fatto non poteva non allarmare Onorio, ed alle sue rimostranze, Federico si giustificò col fatto che, dovendo partire per la crociata, lasciava il figlio a tutela dei suoi svariati interessi.

La partenza per la Crociata assillava e preoccupava Federico. Dall’Oriente, infatti, giungevano notizie più che allarmanti poiché il sultano d’Egitto, al-Kamil, aveva assediato Damietta. La sua partenza quindi, dopo il rinvio di due anni ottenuto dal Papa, si rendeva urgente, anche perché dall’Europa era partita una spedizione con alla testa il re d’Ungheria, ed erano necessari rinforzi. Federico II che, almeno a parole, non intendeva sottrarsi ai suoi impegni, nella dieta di Augusta del 1219 si disse pronto a partire assieme ai principi tedeschi, finalmente convinti ad organizzare una spedizione. Onorio III fu convinto dai discorsi di Federico II, che, a riprova della sua buona fede, chiedeva allo stesso Papa di prendere sotto la sua protezione l’Impero e i suoi diritti, durante la sua assenza. Ed Onorio si dimostrò talmente soddisfatto che, come riconoscenza, convinse il fratello di Ottone IV a consegnare le insegne imperiali al vero Imperatore.

A Federico, però, premeva l’elezione del figlio Enrico a re di Germania, e finché ciò non fosse avvenuto, non sarebbe stato tranquillo e mai sarebbe partito per la Crociata. Quindi cercava in tutti i modi di prendere tempo, e di procrastinare al massimo la sua partenza verso l’oriente, spedizione dagli esiti per nulla scontati. In Germania, l’opposizione dei principi ecclesiastici verso l’elezione a re del figlio Enrico, era ancora molto radicata, e per ammorbidire le loro posizioni, Federico non esitò a fare notevoli concessioni economiche e religiose che, in un certo qual modo, salvaguardavano l’autonomia religiosa dal potere imperiale. Il suo scopo era raggiunto: il 23 Aprile del 1220, nella dieta di Francoforte, il figlio Enrico venne eletto re di Germania, o come si soleva designare il candidato alla corona del Sacro Romano Impero, "Re dei Romani". Onorio III si sentì preso per il naso dal suo discepolo d’un tempo; ma alle sue rimostranze Federico rispose che l’elezione era avvenuta a sua insaputa ed in sua assenza (non vi aveva partecipato ad arte!), e che in ogni caso non sarebbe servita per riunire l’Impero di Germania alla Sicilia, cosa che anelava ardentemente: ma, solito ritornello, per cautelare i suoi interessi durante l’assenza per la Crociata. Onorio dovette accettare il fatto compiuto, anche perché a lui premeva soprattutto la liberazione dei luoghi santi che, se in parte, come Damietta e Gerusalemme, erano stati sottratti al sultano d’Egitto, molto ancora restava da fare per giungere ad una completa sottomissione degli infedeli.

Federico ancora una volta agì con tatto e diplomazia, costringendo il Papa Onorio III ad accettare la sua tesi. A modifica degli accordi di Eder, Federico aggiunse la clausola che sarebbe successo al figlio Enrico se questi fosse morto senza eredi. E mentre il Papa si lamentava per il ritardo della partenza verso i luoghi santi, Federico, ormai convinto della sua forza, con abile diplomazia ribatteva ad Onorio che sarebbe partito per l’oriente solo dopo avere ricevuto la corona imperiale. Così scriveva al Papa: "La nostra Madre Chiesa non deve temere né sospettare, perché, desiderando noi la divisione delle due corone in tutti i modi, quando saremo in Vostra presenza, adempiremo pienamente ogni Vostro ordine e desiderio".

Poco alla volta, con furbizia diplomatica, era riuscito a fare accettare il figlio Enrico sovrano di Germania e di Sicilia, e poiché gli accordi riguardavano la sua persona e non quella del figlio, i patti con la Chiesa erano pienamente rispettati.

Nell’Agosto del 1220, Federico tornava in Italia seguendo la via di Ceprano (Brennero, Bolzano, Trento, Modena, Bologna, Roma), pieno di gloria e potenza, in contrasto con lo stato di quasi indigenza al momento della sua partenza per la Germania, dileggiato come "Puer Apuliae" e "Chierico". Nel suo viaggio verso Roma, ignorò volutamente le città dell’Italia del nord, facendo sosta soltanto a Bologna, ma dovunque rizzasse le sue tende, veniva acclamato da principi, vescovi, e legati delle rispettive città. Federico dette ampie rassicurazioni ad Onorio circa la difesa dei diritti del clero, s’impegnò nella lotta contro gli eretici, e confermò l’utilizzo della forza dell’autorità imperiale per scacciare gli scomunicati dall’Impero.

 

L’incoronazione

Com’era successo in altre circostanze, Federico assicurò a Papa Onorio III che avrebbe governato il regno di Sicilia in assoluta indipendenza dall’Impero, e confermò tutti i diritti ecclesiastici da sempre vantati dalla Chiesa sull’Isola. Giunto a Roma, piantò le tende a Monte Mario. La mattina del 22 novembre, di buon’ora s’incamminò a cavallo lungo la Via Trionfale, e quindi da Porta Collina si diresse verso S. Pietro. Ali di folla acclamavano il suo incedere, mentre venivano distribuite abbondanti elemosine al popolino osannante. L’incontro tra il vecchio Onorio e Federico avvenne tra un gran numero di prelati e cardinali, dignitari tedeschi e siciliani; e fu traboccante d’emozione, dopo che Federico, che s’era prostrato a baciare il piede al vecchio Papa, fu stretto in un abbraccio cordiale e paterno. Quindi insieme a Costanza entrarono in S. Pietro e s’inginocchiarono dinanzi alla tomba del Santo. Federico, sopra i paramenti imperiali, indossava il famoso manto trapunto d’oro ch’era stato di suo nonno Ruggero, finemente e simbolicamente ricamato. Fu unto da un cardinale, e quindi insieme a Costanza salirono i gradini dell’altare maggiore dove il Papa Onorio, dopo averlo abbracciato ancora una volta e dato il "bacio della pace", lo cinse con la "mitra clericalis" e la corona appartenuta a Carlo Magno. Ricevuta la spada, Federico l’alzò ed abbassò tre volte in segno di protezione verso la Chiesa. Onorio gli consegnò il globo e lo scettro, simboli del potere universale. A questo punto, Costanza fu incoronata imperatrice.

Dopo la fastosa cerimonia, Federico prese la croce dalle mani del cardinale Ugolino d’Ostia (futuro Gregorio IX), e promise solennemente di partire per la Crociata nel 1221. Il nuovo Imperatore, ormai al culmine della gloria, non lesinò riconoscenza e riverenza verso il Papa Onorio. Mentre questi saliva a cavallo, Federico gli resse la staffa, e lo accompagnò fino al Tevere, tra ali di folla, prelati e dignitari acclamanti.

Torna in Sicilia

Il 13 dicembre del 1220 rientrava in Sicilia, dopo un’assenza di oltre otto anni (1212-1220). La mancanza di ogni autorità aveva fatto prosperare disordine ed anarchia nei territori dell’Italia meridionale, dove il potere era esercitato dai tanti baroni senza scrupoli. Stando così le cose, sembrerebbe una stranezza il fatto che Federico si avventurasse in quei territori senza un esercito od una nutrita scorta, ma solo con la moglie Costanza ed una schiera di amici, come Ermanno di Salza e Berardo da Palermo. Evidentemente, per risolvere il problema meridionale, voleva servirsi di un esercito reclutato sul posto, e non come aveva fatto il padre Enrico VI, che tanto odio e tanti lutti aveva procurato alle popolazioni dell’Isola.

 

Gli eretici

Quello stesso giorno Federico emanava una serie di leggi: condannava l’eresia, punita come un delitto politico perché considerata alla stregua della ribellione, esentava il clero da tributi e tasse, ed emetteva decreti a difesa dei pellegrini e contro il furto del bestiame. L’editto contro gli eretici era diretto soprattutto verso i Catari ed i Patarini: la loro concezione si basava su una visione dualistica e manichea del mondo, intrisa da un ascetismo radicale tale da portarli perfino alla condanna del matrimonio. Una simile concezione della vita urtava contro la visione dell’autorità costituita di Federico, perché disgregante verso il potere assolutistico, e che comportava il rifiuto all’obbedienza sia verso la Chiesa che verso lo Stato. Quindi andava combattuta ed abbattuta ad ogni costo, ed in questo fu veramente coerente: perché se spesso fu tollerante verso gli ebrei, mai lo fu verso gli eretici!

In Germania, il potere imperiale fu rappresentato da un vicario, l’arcivescovo di Colonia Engelberto, e trovò un valido apporto nell’Ordine Teutonico. A quest’ordine apparteneva il Gran Maestro Ermanno di Salza, che Federico portò con sé in Italia come consigliere. Il regno italico fu diviso in cinque vicariati, con particolare attenzione alle autonomie locali, almeno per alcuni anni. Della Sicilia, invece, anima del suo impero, fece uno stato modello secondo i suoi criteri politici assolutistici, con una impalcatura burocratica ed amministrativa dalle linee moderne, unico nell’epoca medievale. Le sue concezioni dello stato sembrano precorrere l’epoca rinascimentale.