La lotta con Gregorio IX
Per uno dei tanti controsensi della storia, la
vittoria di Federico avvenuta a Cortenova a discapito della Lega
Lombarda, si ritorse contro lo stesso Imperatore, che aveva stimato tale
vittoria definitiva per la sua politica nell’Italia settentrionale e
per il grande Impero tanto agognato. Questa sua sicurezza e questa sua
improvvisa potenza gli alienarono però parecchi amici, cosicché
Cortenova segnò l’apice della sua ascesa, ma anche l’inizio del suo
vorticoso declino. Il desiderio di Federico di avere la supremazia sui
mari, spinse Genova e Venezia ad allontanarsi da qualsiasi accordo con
lui. Genova, infatti, rifiutò ogni compromesso ed ogni concessione,
mentre Venezia si rivoltò contro l’Imperatore non solo perché memore
della triste fine che aveva fatto il podestà di Milano, figlio del
doge, morto impiccato in Puglia, ma soprattutto per la continua
pressione che Ezzelino da Romano esercitava in terraferma, dove Venezia,
incontrastata potenza marinara, intendeva consolidare il proprio
dominio. Non ultimo, il fatto che Federico aveva proclamato re di
Sardegna il figlio Enzo (Enrico) che era andato in sposo ad Adelasia,
signora dei territori di Torres e Gallura, che si trovavano sotto il
dominio pontificio. Diritti pontifici che Federico aveva riconosciuto
legittimi sin dal 1213 e che adesso metteva in dubbio con questo
matrimonio. Il Papa, toccato nei suoi interessi economici e sentitosi
defraudato, reagì violentemente.
Genova e Venezia, con la mediazione del Pontefice, il
30 novembre 1238 strinsero un patto d’alleanza per la durata di
nove anni, in base al quale s’impegnavano a non negoziare con l’Imperatore
senza l’assenso del Papa. Federico reagì con veemenza, accusando di
eresia quanti rifiutavano la sua autorità imperiale, sperando di
screditare il papato accusato di nutrire simpatie per la lega e quindi
per gli eretici. Era evidente che la politica di Federico era ormai in
palese contrasto con quella pontificia, giacché il Pontefice mostrava
di volere attuare una politica di equidistanza, mentre Federico
prediligeva estendere a tutta l’Italia la stessa politica
assolutistica del regno di Sicilia. Del resto era altrettanto evidente
che la sconfitta dei Comuni, per il Pontefice, equivaleva alla fine
dello Stato della chiesa.
La guerra sotterranea divenne palese il 20 giugno
del 1239, Domenica delle Palme, quando Gregorio IX scomunicò per la
seconda volta Federico, con 15 capi d’accusa. Descriveva l’Imperatore
come la bestia blasfema dell’Apocalisse, empio e miscredente, l’anticristo
per eccellenza; e d’avere diffuso un opuscolo intitolato "De
tribus impostoribus", la storia dei tre ingannatori e cioè
Mosé, Gesù e Maometto: due morti gloriosamente mentre il terzo finito
miseramente sulla croce. Federico reagì violentemente, da par suo,
facendosi difendere pubblicamente da Pier delle Vigne, accusando a sua
volta il Papa come il vero anticristo e di appoggiare la causa degli
eretici. E mentre rimetteva ogni decisione in merito ad un concilio
cardinalizio che sarebbe stato convocato e diretto da lui stesso, in
base ad un diritto riconosciuto in passato all’Imperatore, estese la
lotta all’Italia centrale, occupando la Marca di Ancona, il Ducato di
Spoleto, Benevento ed accerchiando la stessa Roma. Ma non potendo, per
mancanza di forze, né volendo, per una questione morale, prendere d’assalto
la Città Santa, fidò in una insurrezione popolare contro il Pontefice.
Sennonché Gregorio IX, allarmato, ricorse al solito stratagemma: portò
in processione per le vie di Roma le reliquie degli apostoli, riuscendo
in questo modo a stringere a sé la popolazione che ritornava nemica
dell’Imperatore. Federico, adirato, se ne tornò in Puglia dove,
raccolto un buon esercito marciò ancora una volta verso la Lombardia.
Dopo varie imprese assediò la città di Faenza. Ma, rimasto a corto di
denari, fu costretto ad emettere monete di cuoio che in seguito furono
rimborsate in valuta reale.
Il Papa, in seguito a questo successo, rinsaldò gli
accordi con Genova e Venezia, e convocò lui, e non Federico, il
Concilio in San Giovanni Laterano per il 31 marzo del 1241, giorno di
Pasqua, al quale sarebbero intervenuti i delegati di Francia, Spagna e
Italia del nord, tranne quelli tedeschi manifestamente favorevoli a
Federico. Questi, conscio del pericolo che correva, ordinò al figlio
Enzo d’attaccare la flotta genovese, con l’aiuto di Pisa, rivale di
Genova. Lo scontro avvenne il 3 maggio 1241, al largo dell’isola
del Giglio, e fu vittorioso per Federico; delle 27 galee genovesi solo
cinque si salvarono, mentre le altre furono prese od affondate, i
prelati fatti prigionieri e portati nel regno di Sicilia. Federico,
imbaldanzito del successo, cercò di conquistare Genova; non
riuscendovi, rivolse la sua attenzione all’Italia centrale occupando
Albano e Tivoli e muovendo verso Roma. Era già sotto le mura della
Capitale, quando Gregorio IX, ormai vecchio e stanco, moriva
il 21 agosto 1241.
A questo punto Federico, che poteva dirsi arbitro
della situazione, non entrò in Roma dichiarando di non volere turbare i
lavori del Concilio, e che voleva soltanto un buon Papa e la pace. Aveva
capito infatti che la vittoria navale contro Genova era stata solo
formale, dal momento che Luigi IX reclamò i delegati francesi fatti
prigionieri, e suo cognato Riccardo di Cornovaglia lo invitò a
sottomettersi alla Chiesa, ma Federico trattenne in carcere tre
cardinali caduti nelle sue mani. Il conclave fu turbato dall’ingerenza
del senatore Orsini che temeva l’elezione di un Papa favorevole all’Imperatore.
Il 25 ottobre, un concilio composto da soli sei cardinali, elesse Papa
il milanese Goffredo Castiglioni, col nome di Celestino IV, che
però moriva a soli 18 giorni dalla sua elezione, il 10 novembre 1241.