INNOCENZO IV
Coi cardinali che, riuniti in conclave, non
riuscivano ad eleggere il successore di Celestino, Federico non era
molto tenero. Così, infatti, li apostrofava: " A voi, figli di
Belial, a voi, figli di Efrem, a voi, gregge di perdizione, indirizzo la
parola, a voi, colpevoli di ogni umano sconvolgimento, pietra di
scandalo di tutto l’universo!". Dopo oltre un anno e mezzo di
vacanza, il 24 giugno 1243, dal conclave uscì finalmente eletto Papa,
col nome di Innocenzo IV, il cardinale di S. Lorenzo in Lucina,
Sinibaldi Fieschi, genovese dei conti di Lavagna. Giurista e teologo,
era amico di Federico che, alla notizia della sua elezione pare abbia
esclamato: "Di questa elezione noi abbiamo disavanzato assai,
poiché costui, che ci fu amico cardinale, ci sarà nemico
pontefice". Un papa, infatti, mai avrebbe potuto essere amico dell’Imperatore,
per i noti conflitti di interessi politici, e questi fu veramente la sua
bestia nera! Fu subito evidente come volesse mantenere la politica
teocratica del suo predecessore Innocenzo III, anzi la volle esasperare
fino alle estreme conseguenze, sostenendo la netta supremazia del potere
spirituale su quello temporale. Iniziarono comunque le trattative per
addivenire ad una giusta pace, poiché nessuno dei due voleva cedere.
Federico era coadiuvato da giuristi eccellenti come Pier delle Vigne,
Taddeo di Suessa e Raimondo di Tolosa. Il 31 marzo del 1243, Papa ed
Imperatore giunsero a firmare i preliminari di una pace, ma subito si
resero conto delle difficoltà esistenti, per via della questione
lombarda, dal momento che papato e comuni erano rimasti uniti nella
lotta contro l’impero. L’accordo quindi svanì miseramente sul
nascere. Federico, che si trovava a Terni, cercò allora d’incontrare
personalmente il Pontefice, col quale aveva intrapreso trattative per il
matrimonio di una sua nipote col proprio figlio Corrado, a condizione
che Innocenzo abbandonasse la protezione verso i Lombardi. Ma questi,
nottetempo, travestito da soldato, da Sutri passò a Civitavecchia, da
dove salpò per Genova e da lì si recò a Lione, dove giungeva il 2
dicembre del 1244. La fuga del Papa irritò notevolmente Federico che l’accusò,
giustamente, di tradimento e d’essere passato dalla parte dei ribelli.
Ingenuamente l’Imperatore non si rese conto che quel
"furbacchione" gli stava scavando la fossa!
Intanto in Europa la situazione politica diventava
preoccupante. I Turchi avevano ripreso Gerusalemme, ed i Mongoli,
capitanati da Gengis-Kan, erano alle porte della Germania, dove Corrado
non era in condizione di contrastarli efficacemente. Anche in Germania
la situazione non era tranquilla per Federico dal momento che l’arcivescovo
di Magonza ed il langravio di Turingia, Enrico Raspe, negli ultimi tempi
avevano avuto strani abboccamenti con messi papali francesi. Nel nord
Italia le cose non andavano meglio, visto che Federico aveva imposto il
programma amministrativo già in vigore nel regno di Sicilia, ed erano
scoppiato parecchi malumori.
Il Papa da Lione, il 3 gennaio 1245, indisse il
Concilio, invitando l’Imperatore a comparirvi per discolparsi delle
solite accuse. Invano Federico tentò di bloccare il concilio, quindi
come risposta indisse una dieta a Verona cui parteciparono i principi
tedeschi, i ghibellini italiani, Ezzelino da Romano e Uberto Pallavicino.
Nel frattempo il 28 giugno ebbe inizio il concilio a Lione, con
molti prelati francesi e spagnoli, di tendenza guelfa, e pochi italiani
e tedeschi, favorevoli a Federico. Questi mandò in sua rappresentanza
Pier delle Vigne e Taddeo di Suessa. Invano questi cercarono di
ritardare il concilio in attesa che si presentasse l’Imperatore che,
partito per Lione, si era fermato a Torino; ragion per cui il 17 luglio
fu pronunciata la scomunica contro Federico, reo di persecuzione verso
la Chiesa. Si dichiarava Federico decaduto, si chiedeva l’elezione di
un nuovo imperatore, ed i sudditi era sciolti dal vincolo dell’ubbidienza.
Pronunciata la sentenza, i cardinali in segno di esecrazione,
rovesciarono le candele che tenevano accese, mentre Taddeo di Suessa
fuggì dal concilio percuotendosi il petto ed esclamando: "Giorno d’ira
è questo, giorno di sangue e di sventura!".
La lotta tra Papa ed Imperatore continuò furiosa,
con lo scambio reciproco di accuse e polemiche. A seguito degli intrighi
di Innocenzo IV, in Germania fu eletto antirè, da un’assemblea di
preti, il langravio di Turingia, Enrico Raspe, che raccoglieva intorno a
sé i prelati della Renania, mentre le città rimasero fedeli all’Impero.
In Italia i guelfi continuavano una lotta sotto forma
di crociata, e fecero fallire un attacco congiunto di Federico ed il
figlio Enzo contro Milano. Le milizie imperiali puntarono su Milano. I
Milanesi si attestarono sul Ticinello, mentre Ezzelino da Romano
giungeva alle loro spalle e re Enzo risaliva da Lodivecchio. Mentre
Federico fu bloccato dall’accanita resistenza del legato milanese
Montelongo che impedì il passaggio del fiume, accanita infuriò invece
la battaglia a Gorgonzola, il 4 novembre del 1245, dove i
milanesi si scontrarono con Ezzelino e re Enzo provenienti da Cassano.
Il valoroso re Enzo fu fatto prigioniero, ma tornò presto libero in
seguito ad uno scambio di prigionieri. L’Imperatore, impantanato nella
bassa milanese, si rese conto che sarebbe stato inutile insistere oltre,
e decise ch’era più saggio battere in ritirata. Tornò a Pavia il 14
novembre 1245, e dopo essersi incontrato col figlio, attraverso Lodi e
Parma andò a svernare a Grosseto.
Grave fu invece l’avvenimento all’inizio del
1246. L’Imperatore si trovava a Grosseto, ospite di Guglielmo
Aldobrandeschi nel Palazzo dei Comites, quando fu informato di una
congiura che aveva come scopo principale di fare scoppiare un’insurrezione
nel regno di Sicilia ed assassinare lo stesso Imperatore. Il capo dei
congiurati era Bernardo dei Rossi, cognato di Innocenzo IV! Vi
facevano parte alti funzionari del regno tra cui: Giacomo de Morra, gran
giustiziere del regno, Francesco Tebaldo, podestà di Parma, Ruggero de
Amicis, capitano generale, Pandolfo di Fasanella, vicario generale in
Toscana. Alcuni riuscirono a sfuggire alla cattura, ma quelli catturati,
chiusi in sacchi di cuoio, furono gettati a mare.
Intanto continuava lo stato di guerra latente; lo
Stato pontificio perdeva Viterbo, mentre i guelfi ottenevano il
principato di Taranto, che era passato a Manfredi. Federico preoccupato,
per attenuare gli effetti della scomunica, fece professione di fede
nelle mani dell’arcivescovo di Palermo, del vescovo di Pavia ed all’abate
di Montecassino, che, anche se a lui politicamente vicini, erano pur
sempre autorità ecclesiastiche di rilievo: questi, infatti, lo
dichiararono "perfettamente ortodosso". Ricorse persino
alla mediazione di Luigi IX, re di Francia. Ma Innocenzo IV rimaneva
inflessibile ad ogni tentativo, pretendendo che l’Imperatore si
recasse personalmente a Lione a professare la sua sottomissione: la qual
cosa equivaleva ad una grave sconfitta politica. Federico, capito
finalmente di non avere alternative di fronte alla coriacea
testardaggine del Pontefice, che oramai lo teneva in pugno, pensò
veramente di andare a Lione. Ma non si sa bene quali fossero le sue vere
intenzioni: se per professare la sua fede al "transfuga
romano" (e già si vedeva ai piedi di Innocenzo come il nonno
Barbarossa ai piedi di Papa Alessandro III) o, cosa assai più
verosimile, per un colpo di mano militare.
Intanto un fatto molto grave, la defezione dell’amica
Parma, lo distolse da ogni proposito o intenzione di recarsi in Francia.