Dalla collina di Palermo
Di tutto ciò era stato capace Federico, in meno di
quarant’anni, con le sue sole forze e tanta fortuna. Sì, quel Papa
Innocenzo III gli aveva dato una mano da piccolo, gli aveva fatto da
"balia" alla lontana, lasciandolo poi quasi morire di fame
nella sua Palermo; ma alla fine gli si era rivoltato contro e lo aveva
fortemente ostacolato nei suoi ambiziosi progetti imperiali. Adesso,
dall’alto di quel poggio, tutto ciò che vedeva era suo, e suo era il
merito di avere creato un regno, una scuola poetica, l’università, un
esercito, una flotta, e soprattutto un corpo di leggi organiche in grado
di governare l’intero regno. I Saraceni da tempo non erano più un
fastidio per l’ordine pubblico, ma non mancavano i problemi cui
bisognava fare fronte, che poi erano quelli di sempre: il Papa ed i
Comuni del nord.
Con quel bonaccione di Innocenzo III le cose erano
andate bene, promettendo e non mantenendo, accettando e poi negando; ma
con questo Gregorio IX c’era poco da scherzare. Quando una cosa non
gli garbava o si sentiva preso in giro, come successe per la Crociata,
brandiva l’arma della scomunica ed allora non restava che
accondiscendere alle sue richieste. Anche Federico, così come il Papa,
si sentiva investito direttamente da Dio, e dal pulpito lo trattava da
pari a pari, lanciando feroci accuse ed invettive. Ma la scomunica era
una cosa molto seria (lui ne sapeva qualcosa), poiché isolava dal mondo
lo scomunicato ed autorizzava, anzi obbligava, i sudditi alla
disubbidienza. Dopo la Pace di S. Germano e l’incontro amichevole di
Anagni con Gregorio IX, Federico aveva momentaneamente rasserenato le
acque del fronte papale, ma restavano sempre agitate quelle dei comuni
dell'Italia settentrionale e presto bisognava decidere sul da farsi.
Dopo questa lunga riflessione, l’Imperatore,
spronato il cavallo saraceno chiamato Drago, si diresse verso il palazzo
reale per un periodo di meritato riposo.