RELAZIONE
II comune di Montedoro, in provincia di Caltanissetta,
è stato fondato nell'anno 1635 in esecuzione dì una delle 119 "lieentiae
populandi " concesse sul territorio Siciliano dai Re nel periodo
tra il 1583 e il 1714,durante il quale sono stati censiti in Sicilia
circa 90 centri abitati di nuova fondazione (1).
Ciò era dovuto alla necessità di colonizzare le
terre interne dell'Isola per accrescere la produzione frumentaria, da
tempo in crisi, che rappresentava ancora una delle principali merci
destinate all'esportazione. Tuttavia la Sicilia incominciava a perdere
definitivamente il primato di "GRANAIO D'ITALIA" sia a causa
dell'aumentato consumo interno per la crescita demografica, sia per la
destinazione a colture diverse (vigneti, agrumeti etc. ) di vaste
superfici agrarie prima coltivate a grano.
Il comune di Montedoro sorge come piccolo centro
agricolo accanto ad alcuni casolari agricolo-pastorali preesistenti.
Essendo era moderna, !'abitato viene tracciato senza più muri di cinta,
ma con strade dritte, larghe e aperte verso la campagna e con diverse
piazze molto estese.
I fabbricati, in prevalenza modesti, erano tutti in
muratura di gesso che costituiva l'unico materiale da costruzione per il
semplice fatto di essere abbondantemente presente sul posto.
(1) Storia della Sicilia- Società
editrice: Storia di Napoli, della Sicilia e del Mezzogiorno continentale
- Napoli 1978- volume VI - capitolo terzo.
Infatti il paese è sorto su una superficie di roccia
gessosa, costituente un vastissimo lastrone bianco che aveva fatto
attribuire alla contrada il nome di BALATAZZA (dall'arabo: balata =
lastra).
Il gesso veniva impiegato in due stati diversi, sia come pietrame da
muratura che come legante, previo impasto con acqua dopo cottura e
polverizzazione.
Fino all'anno 1955, nelle prossimità nord dell'abitato, in contrada
Manica Longa è esistita una vasta cava di tale materiale con annesse
fornaci per la produzione di gesso cotto in polvere, denominate "carcare".
Nel decennio comprendente gli ultimi anni quaranta e i primi anni
cinquanta di questo secolo, è stata tenuta in attività una fornace a
forno continuo, appena fuori l'abitato sulla strada per Bompensiere, per
la produzione di calce idraulica, impiegando le marne calcaree (trubi)
presenti in loco, ma è rimasto un episodio isolato. Il trionfo del
cemento ha inesorabilmente soppiantato gli altri leganti edili.
Solo tenendo conto della generale povertà dei contadini siciliani del XVI
e del XVII secolo, in particolare di quella gente che si trasferiva a
Montedoro per sfuggire alla miseria vissuta nel paese d'origine, si spiega
l'adozione generalizzata di un modello di abitazione tanto umile.
Un modello funzionale, perfezionato nel tempo, che si
ispirava al principio di soddisfare le esigenze della famiglia contadina
col minore spazio possibile. Su un'area coperta variabile intorno ai 35
metri quadri (7X5 - 6X6) o anche meno veniva realizzata un'abitazione col
volume di circa 140 metri cubi, sufficiente allora a consentire la
completa protezione delle persone, degli animali e delle cose di un nucleo
familiare.
Alla sua costruzione prendeva parte attiva l'intero parentado:
marito, mogli, consuoceri e cognati sotto la guida del mastro muratore
(unica persona estranea al casato).
Nell'annata precedente la costruzione veniva ammannito
sul posto il pietrame da fabbrica necessario in considerevole quantità.
Nei mesi di aprile e maggio che coincidevano con un periodo di pausa dei
lavori agricoli per le colture allora praticate, si procedeva alla
edificazione. Alcuni membri della famiglia aiutavano manualmente il
muratore, mentre altri, con l'ausilio dei muli, rifornivano il cantiere di
acqua per impastare, di gesso cotto in polvere che ne occorreva
abbastanza, di canne, legname e tegole curve di terra cotta per la
copertura.
Il completamento veniva celebrato con la benedizione
impartita dal Parroco, indipendentemente dalla rituale benedizione annuale
per scacciare i demoni dalla casa.
Come si rileva dai disegni allegati, la parte anteriore
del locale costituiva il soggiorno, mentre nella parte posteriore un
piedritto centrale sorreggeva due arcate affiancate, sormontate da un
solaio e da un tramezzo sul frontale; questi elementi delimitavano i
seguenti scomparti:
-l 'alcova per il letto dei coniugi e la culla per il
neonato (amaca) sospesa sul letto affinché la madre potesse accudire il
bambino di notte rimanendo a letto;
- la stalla per il mulo e i polli con conigliera
sottostante la mangiatoia;
- il soppalco in cui trovavano posto le derrate, le
fascine di fieno e di sterpi, il letto per i ragazzi e, attraverso una
botola veniva utilizzato come granaio lo spazio chiuso sottostante il
solaio tra gli estradossi delle due volte affiancate.
La scala per l'accesso al soppalco veniva costruita
pure in gesso a ridosso di uno dei muri laterali e lo spazio sottostante
veniva utilizzato come ripostiglio.
In apposita nicchia nel muro ai piedi della scala trovava posto un
focolare con fumaiolo per cucinare, spesso circoscritto da una cappa.
Mancava in questo tipo di case un localetto per i servizi igienici e vi si
poneva rimedio alla men peggio.
Nelle famiglie numerose era sentita intensamente la necessità di un
maggiore spazio abitativo, e appena si riusciva a superare l'indigenza per
effetto di buone annate con abbondanti raccolti si dava mano
all'ampliamento della casa monolocale. Tali ampliamenti avvenivano sia in
piano, costruendo ex novo altri vani o acquistando locali limitrofi, sia
in altezza, con edificazioni a prima e anche a seconda elevazione con
solai sorretti da volte in muratura di gesso del tipo a padiglione. Alla
stalla ed alla pagliera (fienile e legnaia) venivano assegnati appositi
locali separati da quelli per uso civile. Anche la rete fognaria era stata
a sua volta sviluppata, mentre l'acqua potabile è potuta giungere in
paese solo nella seconda metà del secolo scorso, dopo l'unità d'Italia,
attraverso un acquedotto costruito mediante un mutuo concesso al comune di
Montedoro dalla Cassa Depositi e Prestiti.
Sono state realizzate molte abitazioni plurivani
dall'aspetto modesto, ma comode e decorose, tuttora esistenti ed abitate.
Dall'esame di un gran numero di tali edifici sono state formulate le
seguenti considerazioni:
- sorprendente si è dimostrata la resistenza ai
carichi e al tempo delle volte in muratura di gesso: volte a botte e volte
a padiglione con luci fino a 7 metri. Esse sono ancora presenti e
osservabili in tanti edifici realizzati due-trecento anni addietro e
tuttora abitati. Non sono stati mai registrati crolli improvvisi neanche
in occasione di terremoti;
- nessuna fra tutte le case esaminate risulta perfettamente quadrata o
rettangolare pur avendone l'aspetto, perché le due diagonali non hanno
uguale lunghezza; evidentemente si disponeva di maestranze poco raffinate;
- la coibentazione risulta soddisfacente sia per la qualità e lo spessore
dei muri che per la particolare struttura della copertura, costituita da
una distesa di canne affiancate, poste su travi di legno e rivestite sopra
e sotto da uno strato di malta di gesso a sua volta protetto da un
soprastante manto di tegole curve e di terra cotta;
- tantissimi edifici sono ormai disabitati e inutilizzati in seguito al
forte movimento migratorio succeduto allo'irreversibile superamento della
civiltà contadina .che ha dimezzato la popolazione residente dai 3720
abitanti del 1945 ai quasi 1900 attuali, e anche per effetto della
concomitante chiusura definitiva delle miniere di zolfo, che avevano con
la loro attività concretamente partecipato, per circa 150 anni(dal 1820
al 1970) al sostegno dell'economia locale, il cui futuro si presenta oggi
tutt'altro che roseo.
Per quanto riguarda gli arredi si rimanda al disegno allegato (veduta
interna) segnalando che:
- nella grande cassa (m 2 X 1,10 X 0,75) veniva conservato
di tutto: coperte, biancheria, abiti, oggetti sacri, danaro, farina,
gioie, armi e quant'altro doveva essere custodito;
- una miriade di cose trovava posto sotto il letto: pila di legno per il
bucato, bacinella di terra cotta (lemmu) per la sciacquatura dei panni,
madia, scarpe, vaso da notte, etc.
- la giarra e le quartare contenevano la provvista d'acqua che veniva
attinta a sorgenti lontane in mancanza di pozzi o fontane nell'abitato.
In questa seconda metà di secolo l'abitato di
Montedoro è stato oggetto di grandi trasformazioni migliorative:
- le fognature completate;
- la rete idrica rifatta e capillare;
- le strade e le piazze sono state pavimentate;
- i servizi di nettezza urbana resi puntuali ed efficienti;
- dentro e tutt'intorno al centro storico sono state costruite da privati
e dalla pubblica
amministrazione tantissime nuove avvenenti palazzine cori strutture in
cemento armato. Perdurano ancora, disornando la fiancata est della piazza
principale, i resti di due vecchi grandi magazzini di grano; pare che
siano rimasti lì a perenne memoria di quella che fu la cerealicoltura
della Sicilia centro-meridionale.
Il paesetto è lindo, carino ed amabile, ma è
spopolato, sembra un luogo di riposo e meditazione.
IL MULO, UTILISSIMO ANIMALE DOMESTICO,FORTE E
RESISTENTE
Ma che c'entra il mulo con l'edilizia rurale? Si che
c'entra e da protagonista per giunta, perché occupava una parte della
casa e perché partecipava alla sua costruzione direttamente col trasporto
dei materiali edili e indirettamente col reddito del proprio lavoro.
II mulo era indispensabile al contadino come mezzo di
lavoro e di trasporto, era il sostegno dell'economia agricola. Colui che
non possedeva un mulo doveva assoggettarsi al ruolo di semplice
bracciante, costretto alla continua ricerca di precaria occupazione dal
magro salario.
I contadini singoli, cioè senza altri familiari in
grado di lavorare, si associavano tra loro in un patto di "opera a
rendere" in cui univano sia la loro opera che il lavoro degli
animali, particolarmente nei periodi di aratura e semina e durante la
trebbiatura. Mentre l'uno guidava l'aratro, reso più efficiente perché
tirato da due muli, l'altro al seguito spargeva i semi. Nella trebbiatura,
mentre l'uno faceva girare gli animali sull'aia, !'altro col tridente
rivoltava le spighe standovi attorno; mentre l'uno trasportava con le
bestie le granaglie prodotte a casa, l'altro rimaneva a custodia dell'aia.
Queste operazioni venivano eseguite, senza conguagli monetari,
alternativamente nei campi dei due collaboratori, i quali con ciò non
divenivano compartecipi ai prodotti, ma ognuno manteneva interamente per
sé i frutti del proprio campo.
Di contro l'animale imponeva alcuni sacrifici alla
parte padronale (intera famiglia) : raggiungimento di una fontana, due
volte al giorno, per abbeverarlo; approntamento continuo di foraggio ;
pulitura della stalla almeno una volta al giorno e relativo allontanamento
dei rifiuti.
Lo stallatico non veniva perduto. Attorno all'abitato
vi era una vasta fascia di terreni incolti di proprietà municipale,
lasciata a disposizione degli abitanti, per cui ogni agricoltore si
sceglieva un posto tondeggiante col diametro di 10-15 metri e vi
depositava tutti i rifiuti della casa e della stalla, formando così una
concimaia. Il letame, ogni anno nel mese opportuno, veniva prelevato e
trasportato per la concimazione dei campi coltivati.
Negli anni trenta di questo secolo vi erano a Montedoro
oltre 1000 equini: in massima parte muli, pochi cavalli e pochi asini. In
atto (aprile 1996) resiste ancora un solo mulo che viene guardato con
curiosità sia dai forestieri che dai residenti. Al loro posto vi sono
molte autovetture, alcuni autocarri e furgoni e poche macchine agricole,
un paio di mietitrebbia, pochi trattori e alcune motozappe.
Attualmente non solo non si produce più letame in
paese per mancanza di animali, ma è il servizio ecologico comunale che
provvede allo smaltimento dei rifiuti.
Al posto delle concimaie che sembravano una corona di
piccoli crateri attorno al paese, l'amministrazione comunale ha realizzato
ville fiorite, boschetti e viali alberati.