La Scappuccia (Giacca a vento)
Nervoso lo ‘Zzi Calò (Calogero)
tutto confuso e pieno di rabbia, mentre cercava al buio una stiarina,
(piccola candela di cera) andava tantiannu (rovistare al buio a
casaccio) in tutti i cassetti del tavolo, dello stipetto mentre fuori
sentiva la pioggia a catinelle con lampi e tuoni ed andava dicendo:
"A lu scuru ristavu sta sira, unni la potti mintiri sta cannila?!"
E cercava e cercava, sempre più nervoso, in tutti gli angoli della
casa, sbatteva le sedie sul pavimento e dava pugni rabbiosamente sul
muro, ma come d’incanto la luce ritornò, illuminando a giorno la
stanza buia. Lo ‘Zzi Calò con la mano baciava il pavimento e
guardando la lampadina diceva: "Beato quel giorno quando è nata la
luce elettrica. E lode e lode a quell’uomo che la scoprì". E
così di fretta e ansioso, continuò a cercare la candela non trovandola
in nessun posto e stanco di cercarla decise di andarla a comprarla nella
bottega più vicina. Guardò fuori la porta e vide che pioveva ancora e
tra se e se pensò: "E’ meglio che mi metta la scappuccia ,
quella di plastica, che mi portò mio figlio Paolino dal Belgio";
la mise, si guardò nello specchio dell’armadio, si girò e rigirò
per due volte e soddisfatto si disse allo specchio: "Ma quante cose
belle ci sono moderne!…" Benedicendo il figlio per avergliela
regalata. Si ammirò ancora allo specchio e continuò: "……
anche il colore, questo verdone scuriccio che a me piace tanto, ha
indovinato mio figlio". Lo ‘Zzi Calò uscì chiudendo la porta a
chiave e continuando a benedire il figlio per quella scappuccia, che
oltre a non farlo bagnare lo teneva anche caldo, si avviò di fretta per
la strada; ma fatti pochi passi di colpo finì di piovere e allora per
non sgualcire quel prezioso regalo pensò di tornare di nuovo a casa per
posare la scappuccia; ma arrivato proprio davanti alla porta di casa,
andò via, di nuovo, la luce elettrica in tutto il paese. Lo ‘Zzi
Calò in quell’oscurità mise la mano in tasca e prese una chiavone,
di quelli di una volta fatti di ferro, che pesava più di mezzo chilo.
Con le mani fredde la chiave gli scivolò per terra e innervositosi si
chinò per cercarla ma non riusciva più a trovarla; era rimbalzata
sotto il marciapiedi e tra una bestemmia ed una lode riuscì, dopo
alcuni minuti di cercare, finalmente a trovarla. Era già tardi, quasi
le otto di sera, e d’inverno a quell’ora, con le luci spente, non si
vedeva neanche ad un palmo dal naso, lo ‘Zzi Calò dopo alcuni
tentativi riuscì a centrare la toppa della porta e dopo averla aperta,
posò la scappuccia sopra una sedia dietro di essa e richiudendola si
riavviò al buio per andare a comprare la candela. Lo 'Zzi Calò, quasi
ottantenne, "Quattro ventine" rispondeva a chi gli chiedeva l’età,
ancora arzillo abitava da solo da quando gli era morta la moglie; era
abile a farsi tutto da solo si cucinava, puliva la casa, si faceva la
spesa e via dicendo. Abitava in un mezzo dammusu (stanza a pian
terreno): più lungo che largo; ci aveva dentro tutte quelle cose
necessarie di quell’epoca; anzi, cosa rara, aveva l’armadio con lo
specchio che gli aveva lasciato la figlia quando se n’era andata in
America. Era orgoglioso di averlo tanto che sempre diceva: "Intra
ni mia ci aiu lu gurdarrobbi cu lu specchiu!". Tornato dalla
bottega con la candela in mano, tutto contento, perché nel mentre la
luce era tornata e le strade erano illuminate, entrò in casa e gurdando
la candela gli diceva: "Non ho più bisogno di te perché è
tornata la luce miracolosa", la posò in un cassetto del tavolo,
aprì l’altro prese il pane, perché con tutto quel da fare ancora non
aveva mangiato per sera, lo posò sul tavolo aprì il cassetto dell’armadietto
e guardò se era rimasto del cumpanaggiu (companatico); trovò:
quattro passiluna (olive nere), alcuni fichi secchi e due noci,
prese dell’acqua dal bummulu (piccolo recipiente di terra
cotta) riempì la cannata (brocca) di creta mise tutto sul tavolo
e facendosi il segno della croce e chiedendo la benedizione al Signore
per quel cibo si mise a mangiare. Finito di cenare cercò il tabacco
nella tasca della camicia accese la pipa cominciò a passeggiare su e
giù per la stanza ma guardando intorno lo sguardo cadde sulla sedia
dietro la porta e si accorse che era sparita la scappuccia dal posto
dove di sicuro l’aveva messa. Preoccupato cominciò a girare e
rigirare per tutta la stanza cercando di pensare dove avesse messo la
scappuccia. "L’ho messa proprio qui!? Su questa sedia, proprio
qui!? Non ce nessun dubbio!……" e ripeteva e si ripeteva,
toccando la sedia e sollevandola da terra, "…… l’ho messa
qui! e lo giurerei a tutto il mondo, che l’ho messa proprio qui!? La
mia scappuccia"; sbattendo la sedia si metteva le mani in testa tra
i capelli per cercare di ricordare tutto ciò che, in quei pochi minuti
di andata e ritorno dalla bottega, avesse fatto. Cominciò a ripetere ad
alta voce ciò che aveva fatto e passo passo tutte le mosse che
ricordava: "Ho cercato la candela in tutta la casa perché era
andata via la luce; non l’ho trovata. Mi sono messo la scappuccia,
quella che mi ha portato mio figlio, ho chiuso la porta. Sono ritornato
a casa perché non pioveva più, aperta la porta, e come è vero che c’è
Dio, l’ho posata qua, qua!!" e metteva le mani sul quadrato
intrecciato di cordicella della sedia dietro la porta. Ripetendo sempre
le stesse cose ogni tanto apriva la porta e guardava nella speranza che
distrattamente senza volerlo avesse lasciato la scappuccia proprio fuori
di casa. Continuò a cercarla in tutti gli angoli della casa dicendo che
"non si sa mai, senza volerlo mi sono dimenticato di averla messa
in un altro posto quando sono ritornato a casa!?", e continuava a
cercare persino sotto il letto, ma non trovò niente. Ormai sfinito e
inerme, deluso del cattivo esito della ricerca, cominciò a pensare che
la casa fosse infestata di spiriti maligni e la mente cominciò a vagare
tra tutti i racconti di maghi, fattucchiere e streghe che conoscesse.
Disperato non aveva pace, parlava da solo e aveva persino paura di
andarsi a coricare; però guardava quel letto che così stanco, per
tutti i fattacci che erano successi in quel pomeriggio, ne aveva tanto
bisogno: per sdraiarsi e dormire; ma la paura aumentava sempre di più e
lu sangu c’ingrussava (espressione dialettale per indicare uno
stato di paura) nel pensare che quel giorno era di 17 (febbraio)
e pure di venerdì. "Come la febbre – si diceva – sale a più
di 40 la mia paura". Pregava a tutti i santi e al Signore facendo
gli scongiuri per scacciare tutti gli spiriti immondi che dal pomeriggio
fino alla sera si erano scagliati contro di lui. Facendosi il segno
della croce guardava in quale mano diabolica fosse andata a finire la
sua scappuccia. Dopo aver finito di fumare ed aver spento la pipa con le
dita incenerite dal tabacco bruciato, veramente stanco ed abbattuto,
andò a letto pieno di paura e continuando a scongiurare si addormentò.
La ‘Zza Rò (Rosa) Parrucca, detta la Papaluna, si risvegliò
sempre allo stesso orario degli altri giorni, scendendo dal letto
lamentandosi come al solito per i suoi dolori di artrosi, diceva:
"Mamma mia un altro giorno si presenta ed io sempre alla stessa
maniera con questi acciacchi e questi dolori in tutto il corpo, datemi
la forza, oh mio Dio! di sopportarli" ed assieme ai suoi dolori si
avviò verso il camerino dove c’erano le quartare (recipienti
in terra cotta) piene d’acqua per poter riempire il vacile
(bacinella smaltata); posatolo sopra una sedia, mentre con la brocca
prendeva l’acqua dalla quartara per riempirlo e così lavarsi la
faccia, gli cadde lo sguardo proprio dietro la porta e vide un indumento
verdastro sulla sedia. Era la scappuccia dello ‘Zzi Calò. Tutta
sorpresa e allarmata vedendo quella cosa a lei estranea e cominciò, un
po’ impaurita, a dire: "Ma che cosa è questa cosa qui?! Qui in
casa mia chi ce l’ha messa, oh Madonna mia! ….. – e portandosi le
mani alla faccia continuò sempre più impaurita - ….. Quale diavolo
è venuto stanotte a mettere sta cosa proprio a casa mia" e
allungando la mano tentava di toccarla, ma più impaurita che arrabbiata
si vestiva in fretta per poter subito aprire la porta e chiamare il
fratello per fargli vedere quella cosa strana che quella mattina
improvvisamente aveva trovato a casa sua. Alla sola vista della
scappuccia sopra quella sedia appoggiata al muro, la ‘Zza Rò si
agitava nel pensare chi avesse potuto fargli quello stupido scherzo per
mettergli paura; e mentre si metteva il fazzoletto sulla testa, dopo
aversi rifatto alla buona i lunghi capelli, mentalmente continuava a
farsi tante domande, ma quello che non riusciva a spiegarsi era il fatto
che la porta era chiusa a chiave. Tentò di non pensarci più ma alla
sola vista della scappuccia continuava a chiedersi come avesse fatto ad
entrare in casa sua quella cosa estranea e quale fosse lo scopo e le
cattive intenzioni di queste persone. Ma più guardava quell’indumento
e più si agitava, si impressionava e si sentiva male. "Proprio
male, mi sento fratello mio" mostrando a suo fratello Nardo
(Leonardo) dopo averlo chiamato, quella scappuccia di color verde
scuriccio. Anche il fratello rimase sorpreso e allibito per quello che i
suoi occhi vedevano e per ciò che la sorella gli stava raccontando. La
‘Zza Rò piangeva e singhiozzava come una bambina. Il fratello nel
consolarla gli diceva che ora ci avrebbe pensato lui a vedere chi fosse
stato a fare uno scherzo di così cattivo gusto; "Perché soltanto
di uno scherzo si tratta!…." gli diceva per incoraggiarla "…..
Piuttosto smettila! Non agitarti più! Calmati!" ma la sorella
senza neanche ascoltarlo continuava a parlare a parlare e ripeteva
sempre a non finire: "A me! Proprio a me, questo scherzo che sono
sola, vedova senza marito, senza figli e per giunta anziana, malata e
con tanti dolori addosso. Non credo che sia stato uno scherzo. Ho un
maleficio fatto alla mia persona. Ma perché?! Io non ho mai fatto male
a nessuno, nemmeno ad una mosca; oppure fratello mio qui dentro ci sono
degli spiriti maligni portati qui stanotte da esseri immondi, perché
soltanto un essere spregevole che l’aveva addosso poteva entrare
stanotte a porta chiusa a chiave e che togliendosela per farmi un
maleficio, quando se ne andato, se le dimenticata qui sulla sedia. E
proprio così, fratello mio, un maleficio, una fattura mi hanno fatto!
Per questo mi sento male e ho tutti questi malanni e dolori
addosso". Anche il nipote, la cognata ed alcune vicine tentavano di
calmare e convincerla che non c’era nessuno spirito malefico o
iettatura o fattura o maledizione sulla sua persona; ma lei impaurita
rispondeva: "Allora, ditemelo chi ha messo questa cosa qui? Questa
cosa che vedete tutti con i vostri occhi davanti a voi; non sono una
visionaria è la realtà e allora rispondetemi chi ce l’ha messa, se
non uno spirito maligno. La porta era chiusa a chiave con dodici giri di
serratura come al solito; perché io ogni sera prima di andare a
coricarmi la chiudo con le mie mani e stamattina l’ho trovata chiusa
come l’avevo lasciata ieri sera, però stavolta c’era sta cosa qui.
E poi in casa mia ieri non è venuto nessuno che poteva dimenticarla
qui! ….." e rivolgendosi a tutti i presenti continuò: "…..
Prima tutto voglio un prete che dia la benedizione alla mia casa e alla
mia persona e poi che bruci questa scappuccia del diavolo. Levatemela di
davanti se no pazza sto diventando" e togliendosi il fazzoletto che
ancora teneva stretto in testa, e girando vorticosamente attorno alla
stanza andava facendosi il segno della croce gridando: "Andate via,
andate via spiriti maligni da questa casa, non fate male a questa misera
donna ammalata che nella vita non ha mai fatto male a nessuno". Il
fratello preoccupato nel vederla comportarsi in quel modo disse alla
moglie di portar casa sua la scappuccia: "Se no mia sorella
veramente diventa una pazza".
Anche quella mattina piovigginava e
come dicono in paese: " Oji chiovi a assuppa viddanu, chiovi aria
tunna chiovi a tutti banni". L’altro fratello della ‘Zza Rò:
Alfonso detto Fofò, con tutta la saggezza e la sua filosofia si era
preso la scappuccia e tornato a casa sua se l’era messa in testa
cominciando a passeggiare sotto la pioggia su giù per la strada. In
quel mentre, dall’altra parte del marciapiedi passava lo ‘Zzi Calò
che tornava a casa sua dopo esser andato a comprare una ‘mroglia
minuta (mezzo chilo di pane a forma di mezza luna), delle patate e
un bummulu (fiaschetto di creta) di vino. Nell’altra mano
teneva l’ombrello, e che non fu non appena vide il suo vicino, gli
venne un colpo e senza volerlo gli caddero di mano tutto ciò che
teneva; persino il fiasco di vino che nel rompersi, fece tanto di quel
fracasso da far affacciare, preoccupati per quel rumore, le persone del
vicinato alle finestre, inondando di profumo tutta la strada. Lo ‘Zzi
Calò con gli occhi arrossati dalla rabbia corse incontro allo ‘Zzi
Fofò e prendendolo per le spalle si mise a gridare come una sirena dei
pompieri: "Ah! Sei tu, allora, il ladro della mia Scappuccia! Porco
infame mi fai pure i dispetti, passeggiando così spavaldo per la strada
col la scappuccia che mi ha portato mio figliodal Belgio!?" Lo ‘Zzi
Fofò, a quelle parole come una furia d’inferno, lo afferrò, con
tutte e due le mani, per la testa cominciando a gridare più forte:
"Oh porco e disonesto! A te vado cercando! Come hai fatto a mettere
dentro casa di mia sorella Rosa questo straccio lurido e brutto come la
tua facciaccia?! Qual’è il tuo scopo? Spaventare le persone con
questa cosa così vomitevole, fitusa (puzzolente) e maledetta di
un coloraccio che come si dice …………………………… o sono
maledette o sono traditori"; "Chi? …. – ribattè lo ‘Zzi
Calò - …. La mia scappuccia è maledetta?! Tu sei maledetto figlio di
un cane bastardo" strappandogli, infuriato, dalle mani la
scappuccia. La ‘Zza Rò, che anche lei si era affacciata alla porta,
al sentire tutte quelle grida, non appena vide il fratello che si stava
bisticciando corse da loro dicendo che aveva ragione lei che la
scappuccia era una cosa maledetta ed infestata di spiriti maligni. Tutta
la gente del vicinato si riversò per strada nel tentativo di sedare
quella discussione che oramai si era trasformata in una vera e propria
zuffa. Lo ‘Zzi Calò diceva che la scappuccia l’aveva lasciata a
casa sua dietro la porta sulla sedia e chiedeva come mai ce l’avesse
addosso lo ‘Zzi Fofò; la ‘Zza Rò ribatteva che se l’era trovata
dietro la porta sulla sua sedia, continuando a maledire, facendo corna,
la scappuccia: "Vedi che è indemoniata sta cosa!? Che magicamente
ha trapassato il muro e si è andata a posare sulla mia sedia?!";
"Ma che magica ed indemoniata! …. – insisteva lo ‘Zzi Calò -
…. Me l’ha rubata tuo fratello!"; nel sentirsi dato per ladro,
lo ‘Zzi Fofò si erse e, facendo valere la sua nota saggezza e tutta
la sua filosofia, come un giudice sentenziò: "E’ la tua
scappuccia che è maledetta e piena di spiriti maligni!" voltò le
spalle e andò, con passo fermo, via. E che furono quelle parole, come
un anatema in pochi minuti si diffuse per tutto il paese; Sia i bambini
che i grandi, i sarti e i calzolai, il notaio e il farmacista, accorsero
per vedere ed ammirare quella scappuccia magica che trapassava i muri
senza lasciare nessun buco nelle pareti e maledetta che faceva
spaventare le persone, così come testimonia la ‘Zza Rò la Papaluna
che se le trovata di buona mattina a casa sua. E dopo un po’ se ne
sentivano dire di tutti i colori: chi l’aveva visto volare per i cieli
del paese; chi l’aveva visto ballare per le vie; chi diceva che si
trasformava a forma di mazza e dava botte a chiunque incontrasse; chi,
invece, l’aveva visto far spuntare tante cose buone da mangiare. Ormai
quella scappuccia era diventata uno sfogo, ognuno la vedeva a modo suo
secondo i propri desideri repressi. Perfino i carabinieri accorsero per
constatare e mettere fine a tutte quelle stupide dicerie. L’appuntato
Pernici, non appena arrivato subito fece sgombrare la strada e per
approfondire e mettere in chiaro questa storia di magie e maledizioni
mise a confronto lo ‘Zzi Calò e lo ‘Zzi Fofò, facendosi, calmando
i due con voce autoritaria, raccontare realmente come stavano i fatti e
come si fosse arrivato a tanto parlare. Lo ‘Zzi Calò cominciò per
primo, raccontandogli della scappuccia, regalo del figlio Paolino, della
candela della sera prima, della chiave cadutagli per terra, della
bottega e della nottataccia perché non l’aveva trovata più. Poi lo
‘Zzi Fofò cominciò a raccontare di come la sorella quella mattina si
fosse trovata quella scappuccia sulla sedia dietro la porta di casa sua.
Il milite si portò una mano in testa e con l’altra afferrando la
bandoliera si appoggiò al muro tra le due porte dello ‘Zzi Calò e la
‘Zza Rò e si mise a pensare; poi rivolgendosi allo ‘Zzi Calò, con
fare persuasivo, cominciò a dire: "Allora, era buio ieri sera,
quando tornò a casa per posare la scappuccia! Giusto?",
"Signor si comandante! Era tutto scuro perché era andata via la
luce elettrica in tutto il paese" ribattè, prontamente a voce in
su, lo ‘Zzi Calò; "Si calmi, si calmi….. – continuo con voce
sicura l’appuntato - …. e venite tutti con me. Voi signor Calogero
prendete la vostra chiave!"; lo ‘Zzi Calò rimase sorpreso e
perplesso a quella richiesta cominciando a borbottare a bassa voce, cosa
c’entrasse la chiave in tutto questo imbroglio; "C’entra, c’entra
…. - replicò l’appuntato …. - è proprio qui il mistero della
scappuccia e di come sia andata a finire nella casa della Signora
Rosa". Calmatosi e convintosi, lo ‘Zzi Calò andò a casa a
prendere la chiave. Non appena tornato, l’appuntato prese in mano
quella chiavona e la infilò nella serratura della porta della ‘Zza
Rò, prima la chiuse con dodici mandate e poi l’aprì e rivolgendosi
ai tre disse loro: "l’avete ora capito? Com’è il mistero della
scappuccia? le due serrature sono identiche, di conseguenza sono uguali
anche le chiavi. Ieri sera al buio il Signor Calogero anziché aprire la
porta di casa sua per posare l’indumento in questione, erroneamente
aprì la porta della Signora Rosa, e pensando di essere a casa sua lo
posò sulla sedia, chiuse la porta ed andò via. Sta tutto qua il
mistero della scappuccia, il perché non si trova al posto giusto. Ora
riappacificatevi e senza rancore amici come prima". L’appuntato
Pernici prese le mani di tutte e tre e con voce suadente invitò loro e
tutta la gente a dimenticare questo piccolo fattaccio perché: "Non
esistono ne maledizioni e spiriti maligni, ne fatture e malocchi, ne
streghe e maghi l’unico mistero che esiste è l’amore di Dio per l’intera
umanità". Ma la gente a capo chino ritornò alle proprie case,
delusi per aver ricacciato nella quotidianità le loro recondite paure e
i loro repressi desideri.